Fiorella Infascelli
La Maschera
di Davide Milo
Un Settecento irreale e fiabesche figure. Il verde dei dintorni veneti, rilassati nel flusso costante delle stagioni, e i contrastanti spazi chiusi, caldi, infiammati dal sentimento. Sono lo scenario della storia di due vite, di due strade diverse, destinate ad incontrarsi sotto l'ombra di un comune elemento, la maschera.
Una villa patrizia, ormai lasciata a se stessa, stanca e segnata dal tempo, sta a rappresentare il suo signore, Leonardo. Nobiluomo deluso e rassegnato, ha scelto come compagni di vita o rifugio da se stesso, il sorriso fasullo del gioco d'azzardo e l'ammiccante e lascivo sguardo di Bacco. Irrequieto e insoddisfatto della vita, si troverà, per amore di una giovane donna, a compiere un viaggio interiore, a scendere negli abissi della propria anima per giungere fino in fondo e specchiarsi nel lago dell'Io. È una figura introversa dalle diverse sfaccettature. È l'uomo che ha smesso di sognare, che si è scontrato con la cruda realtà e ne ha registrati e fatti suoi i più angusti, tristi e decadenti anfratti. Scelto il vizio come unico compagno per sconfiggere il tempo e la noia, ha ormai deciso di capovolgere il giorno con la notte, di vivere in un sogno continuo, o di sognare continuamente la vita. Il suo più grande terrore è invecchiare. Nemmeno l'acqua - capace, secondo lui, di accelerare il decadimento della pelle - può toccarlo. È solo, triste, vuoto, nel pieno di una crisi che lo porta ad una forma acuta di depressione e alla perdita di contatto con la realtà e, conseguentemente, con i suoi doveri.
A tenerlo coi piedi per terra è il padre, figura con la quale vive un rapporto contrastante, difficile. Anziano, anch'egli solo, dopo la morte della moglie, ha trovato comunque il suo equilibrio riuscendo a vivere in perfetta armonia con le proprie contraddizioni. In questa complexio oppositorum, enantiodromica manifestazione dell'essere, il padre richiama la figura archetipica del saggio, con tutti quegli elementi che ad essa appartengono: solidità morale, capacità di giudizio e di discernimento del bene dal male, ma anche un'incredibile confidenza con l'infinito (ama infatti guardare le stelle da un monocolo), capace quindi di esperienze mistiche, totalizzanti.
In tutto questo appare Iris, fresca ed ingenua attrice che si troverà suo malgrado a condividere la ferita di Cupido con Leonardo. Giunta da quelle parti per una rappresentazione teatrale, regalo per la festa di compleanno del figlio di un certo Conte Andrea, è vinta invece da Leonardo in una notte, durante una partita di carte. Iris appare subito irrequieta, mossa dalle forti e contrastanti emozioni della sua età, donna alla ricerca costante di una identità ancora da svelarsi. Come Leonardo dovrà compiere un viaggio interiore, contorto e periglioso, un viaggio di crescita. Entrambi, per trovarsi, faranno delle scelte, inseguendo prima se stessi per poi ritrovarsi insieme. Ma entrambi saranno costretti a rinunciare a qualcosa.

Regista nascosto della scena è un mascheraio, guida di Leonardo ed artefice della sorte di Iris. In una sorta di alchimistico laboratorio, luogo senza tempo, il mascheraio lega le due vite come due lacci di disuguale lunghezza svelando loro i segreti della maschera. Leonardo sotto il suo influsso lascerà riemergere le emozioni e i sentimenti rimossi, riuscendo quindi a percorrere positivamente la strada per il suo ritrovamento. Iris compirà un cammino analogo, ma inverso. Al contrario di Leonardo, lei la maschera dovrà toglierla. Il ruolo di attrice che così bene la nascondeva dalle insidie della vita lascerà spazio ancora una volta all'emozione, allo svelare doloroso della verità celata nell'anima. Verità che la renderà donna.
86 minuti tra verdi paesaggi e intense emozioni splendidamente fotografati da Acacio De Almeida non potevano non lasciare la loro impronta sul film. Un'impronta spesso troppo marcata. Le sensazioni emotive e visive, infatti, relegano al magro ruolo di osservatore lo spettatore, reso forse troppo passivo dall'eccessiva fissità della macchina da presa. È come se la regista, incantata dal carattere "vedutista" del suo lavoro sia, per così dire, "rimasta a guardare". Sarà per l'impronta fortemente romanzesca o per il tema fin troppo abusato della maschera, ma il film con l'andare dei minuti si appesantisce del silenzio che troppo spesso irrompe nella fissità delle immagini. Un problema tutto italiano quello dei dialoghi che la brava Fiorella Infascelli non riesce a risolvere. Enzo Natta scriveva su "Famiglia Cristiana" il 15 Giugno del 1988: "Film di immagine, e di immaginazione, di sogno e di fantasia che si traducono in un corposo transfert scenico (geniali soluzioni di regia si incastonano perfettamente nella straordinaria fotografia del portoghese Acacio De Almeida), La Maschera mostra invece i suoi limiti come film di parole. Probabilmente perché passato di mano in mano attraverso troppe girate (all'origine c'era una vecchia idea di Enzo Ungari) probabilmente perché - al di là di una collaborazione di Ennio De Concini - manca l'apporto dello sceneggiatore consumato, il lato debole de La Maschera è proprio la pagina scritta, solito punto dolente del giovane cinema italiano, fondamenta necessarie perché una costruzione, per bella e affascinante che sia, rimanga in piedi al primo tirar di vento".

La Infascelli, regista certamente dotata, pur non essendo riuscita, di fronte al suo primo lungometraggio, a tenere a freno il suo desiderio di confezionare un prodotto intellettualmente "alto", firma comunque un'opera che si inserisce significativamente nel panorama del miglior cinema italiano degli anni '80. La Maschera rimane, non a caso, uno dei pochi film italiani ad aver superato le selezioni di Cannes e ad aver vinto il premio "Un certain regard".
LA MASCHERA
(Italia, 1988)
Regia
Fiorella Infascelli
Sceneggiatura
Adriano Aprà, Ennio De Concini, Fiorella Infascelli, Enzo Ungari
Montaggio
Franco Malvestito
Fotografia
Acacio De Almeida
Musica
Luis Enriquez Bacalov
Durata
92 min