Il cinema di Aleksandr Sokurov. Echi di suggestioni
pittoriche
di Denis Brotto
Tra i fattori più significativi
nell'opera di Aleksandr Sokurov vi è senza dubbio la
capacità di rappresentare l'immagine di Dio. Una rappresentazione
che si sviluppa senza mai ricorrere in modo diretto all'uso
della figura di Dio o dell'immagine cristologica. Sokurov preferisce
caratterizzare la presenza di un'entità superiore attraverso
una raffigurazione del divino calato in un contesto terreno,
strettamente legato alla vita quotidiana. È un approccio
che risente da vicino anche dell'influenza della cultura orientale,
oltre che della tradizione bizantina e della teologia iconografica.
Un tentativo di incarnare Dio nei volti e nelle esperienze di
persone qualunque, di esseri umani che affrontano in ogni momento
le difficoltà portate dalla vita. L'immagine che contraddistingue
i suoi lavori è fatta di intimità, di segreto,
di rivelazioni solo intuite, solo sussurrate e, tuttavia, non
completamente udite. Il suo lavoro visuale è avvolto
nel mistero di un lungo silenzio, in grado di donare alla stessa
aria la capacità di aprire le nostre anime, di aprirle
al più profondo ed autentico senso spirituale dell'esistenza.
Il fine dell'Arte non è dunque quello
della sua perpetuabilità, bensì quello di riuscire
a superare le debolezze dello spirito umano, di dare aiuto all'uomo
nel suo personale tentativo di evoluzione spirituale. La relazione
che si deve venire a creare tra autore e osservatore è
fatta di reciproca confidenza, di un desiderio di delicatezza
nel poter scoprire assieme che cosa si celi realmente dietro
all'immagine. Il senso primario, quello pensato, cercato, voluto
e trovato dall'autore, deve rimanere per certi versi in sospeso.
La sua sensibilità deve aiutare l'uomo ad aprire la propria
coscienza, ad aprire il proprio spirito, in un profondo intento
di ricercare, di tornare a cercare, un senso di verità
all'interno della propria esperienza di vita. Non si deve trattare
di un semplice e scontato trasferimento di un messaggio, di
un preciso e già delineato significato attraverso il
significante immagine.
Ma parlare di immagine nel cinema di Sokurov
significa primariamente evidenziarne l'origine e la forte attrazione
pittorica. Ogni scena, ogni ambiente, ogni scelta cromatica
e di composizione del quadro racchiude in sé infinite
suggestioni pittoriche, in grado non solo di rafforzare lo spessore
culturale che sta alla base delle sue opere, ma anche di ricreare
quella tensione e quel senso di stupore che in genere può
essere avvertito in modo così forte e distinto dinanzi
ad un quadro. L'opera cinematografica non riesce abitualmente
a conservarne le stesse proprietà emotive. Il linguaggio
che sta alla base del cinema, profondamente diverso da quello
che caratterizza la pittura, va ad influire anche sulle modalità
di sviluppo delle due differenti tipologie di opere. La cura
per i singoli quadri che compongono un film è inevitabilmente
inferiore rispetto all'attenzione per i dettagli, e alla forza
attrattiva di sfumature e accenti dell'opera pittorica. La presenza
di uno sviluppo narrativo da concepire e strutturare lungo tutta
la durata di un film, determina inoltre anche una forma di impedimento
a racchiudere, come avviene invece nella pittura, un intero
mondo di personaggi, ambienti ed eventi, all'interno di una
singola immagine. Queste diversità, per lo più
di natura strutturale, determinano dunque anche una differente
emotività per lo spettatore, e uno stato di tensione
che, passando dall'osservazione di un'opera pittorica a quella
di un'opera filmica, muta notevolmente sia per intensità
che per tempo di sviluppo.
Pittura quindi come evento emotivo univoco,
d'impulso per lo più immediato, la cui bellezza attrae
e mozza il fiato proprio per mezzo di una singola immagine.
Il testo cinematografico, viceversa, sembra in genere disperdere
questa tensione, discioglierla e disseminarla in molteplici
direzioni, scandirla in tanti piccoli momenti, preferendo in
sostanza la lusinga, il temporeggiare, il giocare con lo spettatore,
concedendogli con parsimonia i propri indizi e le proprie virtù,
ma di fatto anche perdendo quell'immediatezza e quella passione
tipiche della pittura.
Sokurov costituisce però una delle
poche eccezioni nel panorama cinematografico, uno dei pochi
casi in cui questa tensione, questa centralità emotiva
riesce a rimanere, ravvivandosi e riaccendendosi in continuazione,
inquadratura dopo inquadratura. Il profondo intervento che Sokurov
opera sull'immagine, per mezzo di obiettivi deformanti, lenti
anamorfiche, texture e solventi che mutano e modulano
l'immagine sulla pellicola, ricrea quelle specifiche impressioni
e suggestioni abitualmente riscontrabili nella pittura, caratterizzando
in modo specifico il suo cinema, e confermano il suo valore
di "cineasta-pittore". L'operare direttamente sullo
spazio, il rimodellare volti ed ambienti per mezzo della luce,
l'applicare distorsori ottici direttamente sull'immagine, spesso
porta a ricreare gli elementi oggetto del suo cinema, a ricostruire
e riformulare quei mondi e quelle sensazioni con cui abitualmente
l'uomo ha a che fare. Sokurov lavora sullo spazio concesso dall'obiettivo
proprio come fa un pittore su una tela, andando a creare profondità,
a sviluppare la spazialità, a fletterla, estenderla senza
tener conto delle limitazioni imposte dalla natura.
Non solo l'individuo, ma anche gli oggetti,
la materia, ogni cosa presente all'interno dello spazio, può
essere considerata come una sorta di corrugamento, di raggrinzimento
dello spazio, come un "luogo di curvatura particolare"
dello spazio stesso. È come se tutto potesse in un certo
senso essere ricondotto ad una visione primordiale dell'ambiente
basata su un insieme di linee e di formule. Si assiste ad un
processo in cui, non solamente l'uomo, ma ogni cosa materiale
viene a perdere i propri tratti, i propri caratteri primari,
la propria fisionomia. Sono le stesse parole di Sokurov a chiarire
questa concezione dello spazio, visto sempre più come
habitat divino, come eden immacolato. "Presto non ci sarà
paesaggio alcuno. Ma solamente luce ed ombra espresse in spazi
geometrici". Una concezione che avvicina enormemente l'idea
di spazio di Sokurov a quella di altri importantissimi artisti
russi di inizio Novecento. Il regista russo, nel suo cinema,
non vuole raffigurare la realtà, riproducendone l'esistenza
e l'oggettività, ma cerca di andare oltre al reale, oltre
al naturale. Il suo tentativo appare dunque estremamente vicino
a quello di pittori quali Vasilij Kandinskij, Natal'ja Goncarova,
Vladimir Tatlin, Kazimir Malevic. Soprattutto quest'ultimo sembra
rappresentare un referente importantissimo per cogliere i fattori
che stanno alla base dell'idea di spazio elaborata da Sokurov.
Malevic, infatti, diversamente da Kandinskij, evitava di risolvere
la realtà in forme liriche di colore, prediligendo viceversa
una sorta di primitività della raffigurazione, in cui
l'oggetto non fosse più strettamente legato alle forme
della natura, e potesse esprimersi attraverso forme base quali
il quadrato, il cerchio, la croce.
Sokurov cerca inoltre, all'interno delle
sue pellicole, di superare il carattere primario della luce
quale strumento. La sua ricerca cromatica e sui livelli di luce
è estremamente raffinata ed in grado di mutare il valore
del fattore luce, considerato non più come mezzo, ma
come fine. E strumenti divengono così proprio gli artifici
tecnologici, le lenti, gli obiettivi, i filtri. "L'immagine
creata attraverso un processore ottico possiede un altro grado
di oggettività. Al contempo essa è estremamente
soggettiva". Ogni opera diventa così anche una dimostrazione
di quale sia l'apporto derivante dall'impiego di nuovi artifici
tecnologici. "Cerchiamo di scegliere per ogni film una
tecnologia nuova; nuovi strumenti ottici, un nuovo criterio
di ripresa". Il film Pietra è stato realizzato
con l'aiuto di alcuni strumenti ottici speciali, in grado di
renderlo una sorta di acquerello monocromatico. Per Il secondo
cerchio sono invece state utilizzate delle riprese effettuate
tramite ologramma. In Toro e Moloch sono stati
scelti degli obiettivi particolari, con apposite superfici fotoriflettenti,
in grado di indirizzare l'immagine ancor più in senso
pittorico.
La composizione del quadro operata da Sokurov,
la profondità dell'inquadratura, la prospettiva che si
viene a realizzare, si caratterizza così in una via maggiormente
impressionistica, discostandosi dall'essenza naturalistica dell'immagine
cinematografica. Viene sondato il livello suggestivo, connotativi,
di ciò che è rappresentato, senza soffermarsi
troppo sul valore effettivo e realistico. I paesaggi naturali,
gli ambienti, i volti umani, i ritratti dei personaggi storici,
sono tutti attraversati e mutati dall'intervento dell'arte.
Nel cinema di Sokurov non vi è l'intento di riprodurre
una realtà. È un "cinema orfico", che
crea nuovi mondi, nuovi ambienti, nuovi volti, andando a trasfigurare
le forme abitualmente rinvenibili nel reale. Elena Hill ha definito
l'opera di Sokurov come "un cinema di osservazione, basato
sulla semantica dell'immagine". Da questi lavori emerge
infatti una precisa volontà di rifiutare l'illusorietà
del realismo e della tridimensionalità, preferendo a
questa l'orizzontalità, la frontalità, il piano.
"Ho smesso di illudermi che le immagini sullo schermo abbiano
una profondità" ammette Sokurov, ed ogni inquadratura
trova del resto una sua ulteriore dimensione nell'apporto tecnologico
che il regista conferisce ad essa. Si sceglie l'utilizzo di
una luministica in cui le iridi, lungi dal restringere il campo,
spiritualmente lo allargano, andando ad incapsulare al loro
interno la totalità del reale. La superficie liscia dell'immagine
viene modificata e modellata, spesso attraverso l'intervento
diretto di Sokurov, che va a colorare e dipingere a mano i propri
obiettivi. Ciò che si ottiene è così una
forma di opacità ai margini dell'immagine, che la rendono
ancor più onirica, sognante, spirituale.
La gerarchia artistica da lui definita
per lavorare sull'aspetto visivo delle sue opere lascia intravedere
questo diverso utilizzo di riferimenti culturali, di fattori
tecnologici, di concetti artistici spesso assenti dal linguaggio
cinematografico e che caratterizzano in maniera assolutamente
unica il suo cinema. "Ho speso molto tempo per familiarizzare
con questo processo, per entrare al suo interno e per trovare
un mio personale modo per liberarmi da questo". I film
di Sokurov emanano, ognuno in modo differente, questa singolarità
e questa visione personale del mondo e, opera dopo opera, sviluppano
in maniera inscindibile questa relazione tra quadro e opera
filmica, legame suggellato inoltre dal singolo termine russo
kartina che egualmente li indica.
L'amore di Sokurov per la pittura romantica tedesca e per l'arte
romantica in genere si è concretizzata in scelte estetiche
e formulazioni visive in grado di creare spesso legami tra immagini
filmiche ed opere pittoriche del passato. Caspar David Friedrich
ha costituito ad esempio il modello ideale su cui sviluppare
i quadri che compongono
Madre e figlio. Sokurov ha apertamente
ammesso, infatti, di essersi ispirato al noto dipinto del pittore
tedesco
Monaco sulla riva del mare, del 1809. Come in
questo dipinto, la raffigurazione umana nell'opera di Sokurov
occupa uno spazio estremamente limitato. Il cielo è infinito,
e ciò non fa che accrescere il senso di solitudine e
di sgomento per l'essere umano, di fronte alla sconfinata vastità
dello spazio. Ma al di là di questo parallelo, attraverso
i lunghi piani-sequenza del film e l'uso di lenti anamorfiche,
Sokurov rivela, al pari di Friedrich, la profonda malinconia
dell'uomo e l'esplodere silenzioso della natura, manifestando
così un immenso legame tra l'uomo dello
Sturm und
Drang e quello che anima il suo cinema. L'analogia con i
lavori di Friedrich è evidenziata inoltre dalla comparazione
con i dipinti
Viandante all'ombra delle querce di Rugen,
del 1799,
Veduta della valle dell'Elba, del 1807, e
Paesaggio
invernale, del 1811, in cui l'inverno diventa simbolo della
speranza cristiana. Friedrich è del resto riferimento
obbligato anche nel film che più esplicitamente firma
il legame tra Sokurov e la pittura,
Arca russa. Qui sono
i dipinti
Naufragio della speranza, del 1823, e
Viaggiatore
sopra un mare di nebbia, del 1818, a caratterizzare un'opera
in cui Storia e Natura giungono ad equivalersi, ed in cui il
naufragio di una determina inesorabilmente il declino dell'altra.
Mentre l'Ermitage non può che svelare la sua natura di
luogo dello spirito e di morte fisica della Storia.
La pittura di Rembrandt costituisce l'anima
spirituale di Elegia del viaggio, film del 2000, il cui
titolo di lavorazione, Nightwatch, riprende per l'appunto
un'opera del pittore olandese. Elegia del viaggio ripropone
in realtà anche l'idea di ronda notturna che sta alla
base del dipinto, e costituisce, sia a livello filmico che reale,
la rappresentazione del viaggio intrapreso da Sokurov per raggiungere,
partendo da San Pietroburgo, un dipinto di Peter Saenredam al
Museum Boijmans di Rotterdam. "Emotivamente il film è
molto vicino a ciò che abbiamo vissuto veramente durante
il viaggio attraverso l'Europa" racconta Jankowski, assistente
di Sokurov. Un viaggio lungo, impervio, attraverso le nevi della
Russia e della Finlandia e attraversato però dalla bellezza
dei paesaggi e delle persone incontrate. Un viaggio intrapreso
con l'obiettivo di raggiungere un'opera d'arte, la grandezza
e la profondità di questa, così come accade anche
nel cinema stesso di Sokurov. Il dipinto raggiunto a Rotterdam
è Piazza e Chiesa di Santa Maria a Utrecht (1662)
di Saenredam, un paesaggio della vecchia Europa, la piazza principale
di una città, dove la luminosità serena della
facciata della chiesa e l'azzurro tenue del cielo sembrano effondere
un senso di placida armonia e di speranza.
Toro presenta invece una luce tendente
al verde, o ad un blu latteo vicino ai colori usati nella pittura
di Vermeer, creata dal direttore della fotografia, Anatolij
Rodionov. Sokurov continua in questo film il suo lavoro di raffinazione
dell'immagine. I paesaggi sono ancora una volta, proprio come
per Madre e figlio e per Moloch, estremamente
vicini alla forza visiva dei quadri romantici tedeschi. Quando
vediamo Lenin disteso sul suo letto di morte, la luce verde
che irradia la stanza da letto rende quest'ultima anch'essa
un'entità cadaverica ed inerte. Non sembra la stanza
di una casa ancora abitata, sembra pietra, una grigia entità
marmorea. Anche Moloch è stato concepito come
un'opera in cui la luce doveva in qualche modo essere ottenuta
al pari di una tela, di un dipinto. Un quadro in cui tuttavia
gli elementi raffigurati non fossero statici, bensì in
movimento, e le cui ombre determinassero, per l'appunto, questo
effetto di dinamicità e di continuo spostamento. Un incontro
tra luce ed ombra in grado quindi di rinnovare le relazioni
tra persone, cose ed ambienti.
Sokurov si rifà alla pittura russa, ad artisti quali
Savrassov o Borissov-Moussatov, ma anche a Turner, a Munch,
al pittore americano Andrew Wyeth, all'arte giapponese, in un
insieme di riferimenti culturali e pittorici in grado di sorprendere
per precisione e capacità di accostamento. Un film come
Pagine sommesse sembra in effetti testimoniare la vicinanza
con Rembrandt, ed in particolare sembra dimostrare come anche
per Sokurov la luce debba essere estratta dall'oscurità,
come essa debba apparire dall'ombra, e non viceversa. La luce
che così emerge è quindi un bagliore lontano,
immerso in un bagno d'ombra. Pagine sommesse è
interamente immerso in tinte fosche, buie, che tendono al nero,
e in un'atmosfera resa ancor più pesante dagli elementi
che queste immagini lasciano intravedere. Corpi che si gettano
nel vuoto, individui che urlano disperati, uomini perduti in
grovigli di creature infernali. E dalla bi-dimensionalità
di queste immagini demoniache, una terza dimensione viene così
a concretizzarsi. Si tratta di un livello che apparentemente
si distacca dall'immagine, ma che in realtà va ad approfondirla,
ad invaderla. Una dimensione fatta di suoni, di urla, di risate,
di echi spettrali e di voci sospese. È il sonoro infatti
a creare, in quest'opera, il naturale effetto della tri-dimensionalità.
Il visivo appiattito, compresso e livellato acquisisce una dimensione
prospettica proprio attraverso l'apporto dell'ambiente sonoro.
Pagine sommesse evidenzia anche
un altro particolare molto significativo. Nella sequenza in
cui Raskolnikov stila la lista dei beni da impegnare, il naturale
flusso di immagini subisce un arresto improvviso. La raffigurazione
che blocca a sorpresa la narrazione, mostra una superficie acquosa,
all'interno di un'architettura in rovina, dove si intravede
una imbarcazione e un gruppo di persone. Sul soffitto si distingue
una sorta di figura mitologica, come aggrappata al cielo. Non
è immediatamente chiaro che cosa questa figura rappresenti.
I colori vitali sono apertamente in contrasto con il buio e
dissimulato ambiente cromatico del film. L'immagine è
un affresco di Hubert Robert, pittore estremamente caro a Sokurov.
Ed è un'immagine in grado di chiarire in realtà
la giusta chiave di lettura di quest'opera filmica. Il modello
pittorico e soprattutto architettonico del film risulta essere
infatti estremamente affine a quello della scuola di Robert,
detta "dei capricci architettonici", del XVIII°
secolo. Il modo in cui Sokurov ricrea l'ambiente della San Pietroburgo
di Delitto e castigo predilige dunque una sorta di irrazionalità
spaziale, contraddistinta da arcate altissime, da canali che
solcano il territorio della città, rendendola una sorta
di labirinto. Non è quindi nell'approccio cromatico di
Robert che vanno trovate le connessioni tra dipinto ed opera
filmica, quanto nella rivoluzione visiva ed architettonica operata
dal pittore e ripercorsa da Sokurov.
Sempre analizzando la vita e l'opera di
Robert, risulta interessante l'accostamento operato da Sokurov
tra l'arte del pittore francese e la cultura giapponese, in
un raffronto duale che rende il documentario Hubert Robert
- Una vita felice uno dei lavori più completi e rivelatori
del regista. La solitudine spaziale, il vuoto ambientale, il
senso di mancanza che attraversa gli affreschi di Robert, e
così angosciosamente riproposti in Pagine sommesse,
vengono qui contestualizzati all'interno dell'arte giapponese,
anch'essa in qualche modo segnata da questa solitudine. Le maschere
da teatro che rompono la narrazione e l'emotività del
breve film, testimoniano anche l'unitarietà estetica
tra questi due poli, superando tradizioni culturali e confini
geografici differenti. "Il Signore Dio ha creato una grande
diversità di vita e una grande unitarietà d'arte",
e il senso di ascensione elicoidale e di intimo mistero che
tale accostamento tra la pittura di Robert e i paesaggi del
Giappone viene a creare sembra anche corrispondere ad un implicito
assenso all'idea di unitarietà dell'arte sostenuta da
Sokurov.
La voce solitaria dell'uomo apre
un'altra possibile riflessione sull'utilizzo del colore all'interno
dell'immagine. Il film presenta infatti, soprattutto nella seconda
parte, una predominanza di tinte tendenti al rosso, di riflessi
e di sfumature che rendono l'opera estremamente livida, vitale.
L'utilizzo del colore ha una valenza anti-naturalistica, non
seguendo in sostanza il normale insieme di sfumature e gradazioni
del reale. Ricordando tuttavia il contesto narrativo del film,
fatto di un forte senso di privazione e di annichilimento del
proprio modo di vivere da parte del protagonista, si può
tentare una considerazione sui motivi dell'impiego di questo
particolare effetto cromatico. La luce rossa che filtra sull'immagine,
riesce infatti a mutarne il senso, conferendo all'ultima sequenza
dell'opera il suo più autentico valore di rinascita,
di resurrezione e di ritorno alla vita per Nikita, protagonista
del film. Analizzando le possibilità e gli effetti psichici
prodotti dal colore, Kandinskij sosteneva come il valore cromatico
dell'immagine sortisse una sensazione non solo emotiva ma addirittura
fisica per lo spettatore. Una sensazione mutabile, del resto,
proprio in relazione al colore osservato. Il filtro rosso utilizzato
nell'ultima parte di La voce solitaria dell'uomo, associato
inoltre all'inserto integralmente rosso presente per qualche
istante verso la fine del film, sembra in effetti voler creare
questa sensazione prima di tutto fisica, in cui, attraverso
il contatto diretto del colore con l'occhio umano, l'osservatore
giunge ad una gamma di percezioni ed esperienze psichiche remote,
non più direttamente collegabili all'oggetto inizialmente
considerato. La forza fisica primaria ed elementare del colore
si trasforma così in forza emotiva, interiore, in grado
di comunicare direttamente con l'anima dell'osservatore, andando
al di là dell'iniziale rilevazione operata dall'occhio.
"Il colore diviene il mezzo per influenzare direttamente
l'anima".
Qualche cosa di simile accade anche in
Madre e figlio. L'immagine presenta qui una particolare
tendenza al verde, attraverso un effetto cromatico che caratterizza
l'intero film. La luce verde, tenue e sfumata, che filtra dall'immagine,
crea un effetto di dilatazione dello spazio in cui essa agisce.
Anche il tempo, disteso sullo schermo, subisce un processo di
amplificazione. L'immagine si mostra così all'occhio
dello spettatore in modo apparentemente innaturale. Filtrato.
Sfumato. Attraversata da una sorta di vapore che "diluisce
i punti dell'inquadratura con un effetto di magica sospensione",
dove degli alberi spesso non rimangono che le sagome e, del
cielo, una tonalità giallo ocra che ne ricorda le sembianze
nei momenti che precedono i diluvi, oltre a donare un senso
di infinita lontananza temporale di quest'immagine ingiallita.
Si realizza dunque una prospettiva inversa, una prospettiva
cioè che, traendo ispirazione dalla pittura russa antica,
va a creare una profondità non direttamente all'interno
dell'immagine, bensì all'interno delle sensazioni e delle
percezioni che l'immagine stessa suscita nello spettatore. È
la profondità dell'anima, l'intimità spirituale,
ad interessare in questo tipo di processo. La composizione del
quadro, seguendo i precetti classici della pittura iconica,
crea un valore fatto di suggestione e di ascesi, in cui la profondità
spirituale dell'immagine diviene inesauribile, sconfinata. Si
tratta di una visione in grado di impressionare intimamente
anche attraverso il proprio contenuto e valore simbolico.
Sokurov sembra del resto seguire la tradizione,
l'arte e la disciplina dell'iconografia bizantina, in particolare
di Andrej Rublëv, il più grande pittore di icone
dell'antica Russia. Madre e figlio ripropone soprattutto
il simbolismo rivoluzionario attuato da Rublëv nell'icona
della Santissima Trinità. I fattori utilizzati
da quest'ultimo, ricompaiono nella loro essenzialità
nel film di Sokurov. Vi è il Padre, mostrato attraverso
l'immagine dell'albero della vita. Vi è il Figlio, ovvero
la montagna del Golgotha. E vi è lo Spirito, raffigurato
grazie all'immagine della casa, vista anche come tempio. La
vicinanza con la tradizione iconografica porta il cinema di
Sokurov ad un livello metafisico, in grado di avvicinare l'uomo
all'essenza più vera della vita e dell'amore per l'altro.
Come il pittore d'icone, anche Sokurov costruisce nei suoi dipinti
l'invisibile, il mondo dell'invisibile e della Grazia di Dio.
Un mondo raggiungibile attraverso la contemplazione e la riflessione
interiore. I simboli rimangono inspiegabili ed indicibili, eppure
di fronte alla luce di queste icone cinematografiche
si giunge alle soglie di quel processo denominato iconostasi,
capace di portare l'uomo oltre il visibile. "L'iconostasi
apre delle finestre, toglie i vetri che filtrano la luce spirituale,
ci fa respirare l'eterico, e vivere nella luce della gloria
di Dio".
Come testimoniato da Rublëv, da Florenskij
e da Lermontov, le icone sono porte sull'eternità, e
la loro forza è di poter agire sull'uomo, dimostrandone
la sua vanità e superficialità. Attraverso il
contatto con l'immagine iconica, l'anima dell'uomo trova una
forma di risanamento e l'essere umano può raggiungere
l'iconostasi. Il sacrificio, l'esercizio quotidiano verso l'obbedienza,
l'umiltà, la carità, sono non solo alcuni dei
temi più forti dell'opera di Sokurov, bensì anche
le forme più consone per provare a raggiungere una sintonia
con il mondo ultraterreno, di cui l'icona rappresenta al tempo
stesso il risultato ed il tramite più adeguato e conforme.
Bibliografia essenziale:
Alvaro Machado, Aleksandr Sokurov, Mostra Cosac &
Naif, 2000
Intervista ad A. Sokurov di Lauren Sedofsky, Plane Songs,
in "Artforum", novembre 2001
Intervista ad A. Sokurov di Georges Nivat, La vie n'est pas
la mort, c'est le temps, in "Hors-Champs", n.
9, primavera 2004
Elena Hill, Vers une archéologie esperimentale,
in "Hors-Champ", n. 1, primavera 1999
A. Sokurov, "Sokurov di fronte a noi [lontano da noi]"
in Aleksandr Sokurov - Eclissi di cinema a cura di E.
Ghezzi, S. Francia-Di Celle, A. Jankowski, Torino
Carlo Chatrian, Film come quadri. Oltre la realtà,
in "Cineforum" n. 385
Lorenzo Esposito, Le anime morte di Alexandr Sokurov,
in "FilmCritica", n. 494, aprile 1999
Angelo Signorelli, La solitudine del dolore, in "Cineforum",
n. 376, luglio-agosto 1998
Pavel Florenskij, Lo spazio e il tempo nell'arte, Adelphi,
Milano, 1924-1995
P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull'icona, Adelphi,
Milano, 1977
V. Kandinskij, Lo spirituale nell'arte, SE, Milano, 1989