Pixar Animation Studios: nuove immagini e
vecchie forme di rappresentazione
di Stefania Carini
Fondati nel 1986, i Pixar Animation Studios
rappresentano un nuovo modello di cinema d'animazione aggiornato
all'epoca digitale. Grazie a film capaci di coinvolgere un vasto
numero di spettatori e di incidere dunque sul mercato, sulle
strategie industriali e sull'opinione pubblica, lo studio è
stato il primo a dimostrare la possibilità di adottare,
per questa nuova immagine generata al computer, una narrazione
e un linguaggio di tipo cinematografico, diventando nel settore
un punto di riferimento a livello internazionale. In bilico
tra innovazione e tradizione, lo studio rappresenta un punto
di incontro fra cinema dal vero, cinema d'animazione e tecnologie
digitali.
Si tratta di un connubio tra tradizione
e nuova tecnologia che ha dato vita ad un'estetica determinata
dal tentativo di produrre, attraverso nuovi mezzi, forme e modi
di rappresentazione già esistenti. Di fronte a un film
Pixar, lo spettatore rimane infatti in uno stato di incertezza.
Da un lato è un film d'animazione. Dall'altro presenta
invece caratteristiche che lo avvicinano a un film dal vero,
tanto che alcune immagini sembrano riprese live. Il film,
quindi, potrebbe essere scambiato per una combinazione tra cinema
dal vero e animazione, lontano tuttavia dal modello inaugurato
da Chi ha incastrato Roger Rabbit?. La novità
e il fascino della computer animation consistono proprio
in questa incertezza, in questa ambiguità, nel modo in
cui essa rimodella e simula modi e forme di rappresentazione
familiari, ovvero l'animazione disneyana e il cinema dal vero,
ottenendo una nuova immagine senza precedenti.
La computer animation come assimilazione
dell'animazione disneyana e del cinema dal vero
Con il loro lavoro, John Lasseter e la Pixar hanno dimostrato
la possibilità di applicare alla computer animation
due concetti cardine della tradizione disneyana, la character
animation (le figure disegnate sono concepite non come elementi
grafici, ma come personaggi-attori che prendono vita e recitano)
e l'impossibile plausibile (la creazione di un mondo
reale in caricatura che obbedisce a leggi coerenti). La prima
forma estetica alla base della nuova immagine Pixar è
quindi l'animazione disneyana. Ma, come rileva Darley, quest'ultima
è già di per sé un ibrido, in quanto sottintende
un processo di assorbimento di alcuni codici del cinema dal
vero da parte del disegno animato. Una metamorfosi questa iniziata
già verso gli anni Trenta. Nel cinema d'animazione delle
origini, infatti, prevaleva l'aspetto grafico del disegno: il
mondo dei cartoon è inteso come un mondo di linee che
si animano. Poiché tutto è disegno, è un
mondo con leggi differenti dal nostro: ogni oggetto può
mutare nel suo opposto, le prospettive possono essere capovolte,
ogni metamorfosi è consentita perché tutto è
costituito dallo stesso materiale, ovvero da linee disegnate.
La concezione del cartoon come magia visiva
comincia tuttavia a cambiare negli anni Trenta, quando gli studios
d'animazione si spostano a Hollywood, subendo il fascino del
cinema dal vero, che diventa sempre più il modello di
riferimento. Il disegno animato fa proprio il concetto di star
system, grazie alle creazione di personaggi-divi (Topolino,
Bugs Bunny, etc.). Inoltre, comincia a ricercare un tipo di
verosimiglianza vicina a quella del cinema dal vero, attraverso
l'adozione di strutture narrative più ferree, di un maggior
realismo e tridimensionalità nel disegno e di un'animazione
più fluida, vicina al movimento reale. Tutti gli studios
d'animazione si conformano a queste nuove regole, ma l'artefice
principale di questa assimilazione del cinema dal vero da parte
del cartoon è senza dubbio Walt Disney, grazie ai suoi
cortometraggi e soprattutto a Biancaneve e i sette nani.
Il "realismo" ricercato da Disney va infatti inteso
come la possibilità, per il disegno animato, di conformarsi
ai criteri di verosimiglianza del cinema dal vero. Come suggerisce
Darley, il modello disneyano è quindi un ibrido, perché
integra alcuni codici di rappresentazione del cinema narrativo
classico con quelli del disegno animato.
Secondo Jay D. Bolter e Richard Grusin
il modello disneyano va inteso come un esempio di "rimediazione"
fra media differenti. Per spiegare alcuni processi di integrazione
relativi ai nuovi media, infatti, i due autori si servono del
concetto di remediation, ovvero "the rapresentation
of one medium in another". I media digitali tendono ad
assorbire e modellare al loro interno i media che li hanno preceduti,
appropriandosi delle loro tecniche, delle loro forme e dei loro
significati sociali. È una tendenza che caratterizza
i nuovi media digitali, ma che è riscontrabile anche
in quelli precedenti. Questi ultimi infatti rimodellano se stessi
di fronte alle sfide proposte dai nuovi media, ma hanno anche
subito processi di rimediazione ben prima dell'avvento delle
tecnologie digitali. Un esempio di questa rimediazione è
rappresentato proprio dall'animazione disneyana: Biancaneve
e i sette nani è infatti il primo lungometraggio
animato a costituire una significativa rimediazione di un film
di Hollywood.
La Pixar, ispirandosi al cinema disneyano,
si inserisce in questa tradizione di rimediazione del cinema
dal vero nell'animazione, facendo però un decisivo passo
in avanti. I film Pixar sarebbero il risultato del confronto,
ancora in atto, tra vecchi e nuovi media e rientrerebbero all'interno
di un tipo particolare di remediation, per via della
quale un nuovo medium, il 3D, rimodellerebbe un vecchio medium,
il cinema, e viceversa. Secondo i due autori, infatti, esistono
diverse tipologie di remediation, a seconda che il nuovo
medium assorba più o meno completamente le caratteristiche
del vecchio. Il tipo di remediation in cui si inseriscono
i film Pixar è, in un certo senso, totale: il nuovo medium
rimedia il vecchio tentando di assorbirlo interamente, così
che le discontinuità tra i due siano minimizzate. In
questo modo, però, il medium più vecchio non scompare
completamente perché il nuovo medium rimane dipendente
da quello precedente. L'immagine digitale, infatti, colonizza
e rimodella il cinema dal vero, diventando sempre più
una componente essenziale della narrazione e comportando l'erosione
del confine tra cinema live e cinema d'animazione. Contemporaneamente,
però, deve apparire "naturale", ovvero integrarsi
all'interno del continuum fotografico di un film dal
vero. Inoltre, si discosta da quelle immagini, generate sempre
in computer animation, ma legate a un tipo di narrazione
non lineare e interattiva, ovvero quella dei vidoegames. L'immagine
digitale legata al cinema deve infatti perdere alcune sue caratteristiche,
come ad esempio l'interattività, che comporterebbero
un ripensamento delle regole su cui si basa il funzionamento
del meccanismo cinematografico.
Lo stesso processo avviene con i film Pixar: la computer
animation rimedia, assorbe, rimodella il cinema d'animazione
tradizionale (ovvero disneyano) e il cinema dal vero, ma al
contempo si adegua alle regole di rappresentazione di questi
vecchi media. Un processo di reciproca assimilazione e rimediazione
è, simbolicamente, il fulcro narrativo di Toy Story
e Toy Story 2. Lo scontro tra i due giocattoli Woody
e Buzz è infatti lo scontro tra un vecchio medium, il
cinema, e un nuovo medium, il digitale, alla fine del quale
il cinema insegna al 3D le regole che deve seguire per rapportarsi
al proprio padrone, ovvero lo spettatore. Buzz deve piegarsi
a queste regole, dimenticando il Buzz del videogioco, digitale
come lui, che vive però in un mondo interattivo e strutturato
secondo regole narrative non lineari. Toy Story dimostra
perciò che la grafica computerizzata può assorbire
al suo interno i principi stilistici e narrativi di un film
d'animazione e di un film dal vero. Allo stesso tempo, dimostra
che il cinema può incorporare il nuovo medium, piegandolo
alle proprie regole ed eliminando alcune sue caratteristiche,
come l'interattività e un'organizzazione non lineare
della narrazione, aspetti presenti invece nei videogiochi.
Non si tratta, però, di assimilare
solo le strutture narrative del cinema. Il processo di remediation
comporta infatti anche un assorbimento dei modi di rappresentazione
sia dell'animazione disneyana sia del cinema dal vero. Anche
Disney aveva tentato la stessa assimilazione nei confronti del
cinema dal vero, ma la computer animation permette un
tipo di integrazione impensabile, distruggendo e allo stesso
tempo espandendo la tradizione del cinema d'animazione hollywoodiano.
Come suggeriscono Bolter e Grusin, in Toy Story la computer
animation sfida il cinema dal vero sul suo stesso terreno:
la computer graphics permette di introdurre nell'animazione
uno stile di ripresa hollywoodiano e una prospettiva mobile
e mutevole. Il medium digitale permette una nuova assimilazione,
espandendo le possibilità del cinema d'animazione, che
è ora "able finally to compete with the realism
of the Hollywwod style". Un "realismo" inteso
non come la semplice possibilità di creare immagini fotorealistiche,
ma come la possibilità per il cinema d'animazione di
fare proprio un modo di rappresentazione e una duttilità
di linguaggio propri del cinema dal vero. La possibilità
di replicare un Hollywood-style camera technique è
legata alla presenza di una macchina da presa virtuale, che
può simulare ogni obiettivo, ogni movimento di macchina,
ogni inquadratura presente nel cinema dal vero.
Questa è la novità dell'ibrido ottenuto dalla
computer animation, che si distingue perciò, come
rileva Darley, dall'ibrido creato da Disney. La differenza consiste
nel fatto che la computer animation rende possibile l'assimilazione
pressoché totale di tutti i codici del modo di rappresentazione
del cinema live, tanto da rendere l'immagine ambigua, sospesa
tra cinema d'animazione e cinema dal vero. L'assimilazione o
la rimediazione compiuta dalla computer animation consiste
infatti in una forma complessa di simulazione di precedenti
forme d'immagine e di diversi codici di rappresentazione, relativi
all'animazione disneyana e al cinema dal vero, fusi in una nuova
immagine grazie al computer. Una fusione prima impossibile ed
ora ottenuta grazie alle possibilità simulatorie dell'immagine
digitale.
Una computer animation iperrealista
Naturalmente, le tecnologie digitali di simulazione non producono
un'immagine totalmente indistinguibile dal suo modello, ma un'immagine
nuova e mai vista prima, la cui matematica perfezione e purezza
ottiene spesso risultati irreali e stranianti. Nata simulando
i media precedenti, l'immagine digitale è infatti una
sorta di loro intensificazione, un risultato non del tutto nuovo
nel campo dell'arte. Nel cercare di spiegare questo tipo di
simulazione, Darley instaura un parallelismo tra le immagini
dei film Pixar e la corrente artistica dell'iperrealismo. In
primo luogo, la natura eccessiva dell'immagine dei dipinti iperrealisti
è ottenuta attraverso l'esagerazione del carattere realistico
del medium analogico preso come modello, ovvero la fotografia.
Lo stesso accade nei film Pixar, con la differenza che il medium
analogico preso a modello è il cinema. In secondo luogo,
si tratta di un'immagine che nasconde un artificio di secondo
ordine: non si tratta di "riprodurre e rappresentare la
realtà", ma di simulare dei media che costituiscono
già una riproduzione e una rappresentazione della realtà.
Nel caso delle opere degli iperrealisti, la fotografia, con
tutti i suoi codici di rappresentazione, viene riprodotta dalla
pittura, un'antica tecnica di produzione di immagini. Nel film
Pixar, i codici del cinema d'animazione disneyano e del cinema
dal vero vengono invece simulati dalla computer graphics,
un nuova tecnica di produzione delle immagini.
A differenza dei dipinti degli iperrealisti,
tuttavia, i film Pixar sono molto più contigui al medium
che simulano. Mentre un dipinto è chiaramente distinguibile
da una fotografia (basta pensare alla differenza di scala tra
i due media), le opere della Pixar sono invece assorbite dal
medium che cercano di simulare, sia a livello estetico sia a
livello di supporto materiale. Si tratta, appunto, di una rimediazione
totale. Il 3D simula un medium, il cinema, finendo con l'esserne
assorbito, diventando un film sia da un punto di vista estetico-linguistico
sia da un punto di vista materiale, in quanto una volta completato
al computer deve comunque essere riversato su pellicola per
essere proiettato. La differenza più importante tra i
dipinti degli iperrealisti e i film Pixar è data inoltre
dal fatto che, visto il loro totale assorbimento all'interno
del medium cinema, essi non mettono in discussione il modello
di riferimento. La pittura iperrealista rende consapevole lo
spettatore sia del processo di simulazione sia del medium che
sta imitando, svelandone criticamente i principi estetici e
smascherandone la pretesa trasparenza nei confronti della realtà.
Secondo Darley, il 3D della Pixar invece non svela criticamente
il processo di simulazione tra i due medium e non mette in discussione
i principi estetici e i modi di rappresentazione del medium
cinema, ma anzi, attraverso la sua simulazione, promuove una
continuazione di questo modello, mirando ad essere assorbito
da esso. L'effetto iperrealista non è determinato dalla
volontà di ottenere un'immagine straniante, che si ponga
criticamente nei confronti del medium preso a modello. Non si
tratta cioè di un risultato legato a una precisa scelta
metalinguistica, ma di un risultato accidentale, legato al tentativo
di ottenere un'immagine analogica realistica attraverso altri
mezzi.
Stile e tendenze metalinguistiche nei film Pixar
Alcune posizioni di Darley vanno però in parte riviste,
alla luce delle nuove possibilità della computer animation
e delle scelte compiute dagli artisti Pixar. L'autore afferma
infatti che l'immagine iperrealista della computer animation
non nasce da una volontà metalinguistica. Eppure, se
a livello linguistico-formale non si assiste alla messa in discussione
del "modello cinema", è possibile però
trovare una certa tendenza autoriflessiva nei film Pixar, almeno
a livello narrativo e simbolico. Una delle tematiche presenti
in molti film dello studio è infatti legata al rapporto
tra nuove e vecchie tecnologie e tra nuovi e vecchi media, come
dimostra lo scontro tra Woody e Buzz in Toy Story. Il
che non significa certo la messa in discussione critica dei
precedenti modelli, ma piuttosto una loro accettazione, visto
che è Buzz ad accettare gli insegnamenti di Woody: il
nuovo giocattolo si piega alle regole del vecchio, la nuova
immagine digitale si piega al vecchio cinema.
Nel simulare il cinema, però, il
digitale crea un'immagine eccedente e ambigua, dotata di un
fascino particolare agli occhi dello spettatore, consapevole
di trovarsi di fronte ad un'immagine creata al computer. Una
fascinazione tecnica legata alla possibilità, da parte
di quest'ultima, di imitare il realismo di un'immagine analogica,
che ricorda da vicino il fascino delle immagini degli iperrealisti,
capaci di rendere lo spettatore estremamente consapevole del
medium simulato e di loro stessi come mediatori. Lo spettatore,
suggeriscono Bolter e Grusin, guarda non solo attraverso la
tela, ma anche alla tela, per scoprire come è
stata occultata la simulazione o se, al contrario, vi sono delle
"crepe", grazie alle quali il dipinto si rivela essere
pittura, facendo così sparire l'illusione di trovarsi
di fronte a una fotografia. In modo simile, si può sostenere
che la fascinazione tecnica può portare lo spettatore
di un film Pixar a riflettere sull'assimilazione tra i due media.
Lo spettatore sa che l'immagine è stata generata al computer
e, come uno spettatore di un quadro iperrealista, osserva l'immagine
per capire se è riuscita a simulare l'immagine analogica,
cancellando il suo essere digitale, o se invece ha fallito nel
suo compito, mostrando allo spettatore le "crepe",
ovvero i pixel di cui è composta. La nuova immagine
digitale sarebbe quindi dotata, ancorché inconsapevolmente,
di una forte componente metalinguistica, perché lo spettatore
è portato a riflettere sulla simulazione tra media digitale
e media analogico.
Proprio sulla nozione di iperrealismo inconsapevole,
così come descritto da Darley, va però rivolta
un'attenzione particolare. Perché quell'iperrealismo
sarebbe un risultato del tutto accidentale, dovuto all'estremo
tentativo, da parte dei nuovi media, di simulare il realismo
dell'immagine analogica. Darley fonda il suo presupposto sul
fatto che l'immagine digitale tenderebbe sempre a una simulazione
realistica dell'immagine analogica. Se è vero che questo
è stato ed è tutt'ora uno degli obiettivi principali
della computer graphics, è anche vero che sono
emersi, negli anni, differenti stili di computer animation.
Un primo stile è quello fotorealistico: l'immagine digitale
deve simulare l'immagine analogica fino a diventare indistinguibile
da essa, una caratteristica necessaria soprattutto quando l'immagine
deve integrarsi all'interno di un continuum fotografico.
È lo stile predominante, che più si avvicina al
modello di iperrealismo inconsapevole di Darley. Allo stesso
tempo, però, si sta progressivamente diffondendo uno
"stile cartoon", che riavvicina la computer animation
alla stilizzazione del disegno animato, come accade in Jimmy
Neutron. Infine, tra questi due estremi, si situa una terza
possibilità, lo stile Pixar, fatto proprio anche da altri
studios. La Pixar infatti sceglie una via di mezzo tra l'imitazione
fotorealistica della realtà e uno "stile cartoon",
optando per un fotorealismo "in caricatura", secondo
il miglior ideale disneyano. Nel caso Pixar, infatti, l'aspetto
iperrealista dell'immagine digitale viene consapevolmente cercato
e potenziato per generare un'immagine allo stesso tempo realistica
e stilizzata. Le immagini digitali sono sottoposte a un processo
che le trasforma in una caricatura delle immagini analogiche
prese come modello, grazie a una voluta intensificazione dei
colori e delle forme. La Pixar simula il realismo dell'immagine
analogica per ottenere un 3D fotorealistico su cui dipingere,
conferendogli un aspetto maggiormente "cartoonistico".
Lo stile Pixar deve il suo fascino proprio
a questo difficile equilibrio tra il realismo dell'immagine
del cinema dal vero e la stilizzazione dell'animazione. È
per questo che il suo non è né un mondo iperrealistico
né un mondo che imita quello reale, è "an
otherworld, neither more less real than the actual, physical
world outside".
Bibliografia essenziale:
DARLEY, A., "Second-order Realism
and Post-modern Aesthetics in Computer Animation", in PILLING,
J. (a cura di), A Reader in Animation Studies, Sidney,
John Libbey, 1997
BOLTER, J. D., GRUSIN, R., Remediation.
Understanding New Media, Londra, MIT Press, 1999 (tr. it.
Remediation. Competizione ed integrazione fra vecchi e nuovi
media, Milano, Guerini Studio, 2002).
SARAFIAN, K., "Flashing Digital Animations",
in EVERETT, A., CALDWELL, J. (a cura di), New Media. Theories
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