Il deserto rosso : il deserto di Giuliana
di Martino Baldi
Il deserto rosso, una coproduzione
italo-francese del 1964, è il nono lungometraggio di
Michelangelo Antonioni (1). Nella filmografia del regista segue
L'Eclisse e precede Blow Up, alla distanza di
due anni da ciascuno (2). Come i tre film precedenti e gran
parte dei successivi, è frutto della collaborazione con
Tonino Guerra in fase di sceneggiatura. È la prima opera
a colori di Antonioni. Vinse il Leone d'Oro alla Mostra di Venezia.
Ambientato in una Ravenna dalla forte connotazione industriale
e portuale, Il deserto rosso (d'ora in poi abbreviato
DR) racconta il tentativo di Giuliana di trovare una
via d'uscita dalla nevrosi e dall'isolamento. La donna intravede
un possibile aiuto in Corrado, collega del marito ingegnere
Ugo, ma è solo una vana illusione e un isolato squallido
rapporto erotico tra i due segna la fine della loro fugace apparente
intesa.
Giuliana e le altre: una tetralogia?
Al centro del film è il personaggio
di Giuliana, ennesima incarnazione di un mito personale antonioniano,
quello della donna come essere più sensibile di una generalizzante
della società dei consumi. Giuliana (interpretata da
Monica Vitti) costituisce in questo senso un gruppo omogeneo
con gli analoghi personaggi femminili dei tre film precedenti:
indiscutibilmente Lidia (Jeanne Moreau) in La notte (1961)
e Vittoria (Monica Vitti) in L'eclisse (1962), Anna (Lea
Massari) e non Claudia (Monica Vitti) in L'avventura
(1959), se è vero, come credo, che il nuovo soggetto
che si va delineando in questi film è quello di una donna
autonoma e positiva, non più proiezione delle illusioni
e delusioni del maschio; una donna che soprattutto guarda, sente,
comprende, e agisce di conseguenza su se stessa e sulle cose.
Guardare, sentire, comprendere ed agire: non una di meno
sono le capacità del nuovo "eroe" antonioniano.
Non sono dunque d'accordo con Tinazzi quando
sostiene che "alla fine [dell'Avventura] Claudia
è Anna, con una consapevolezza in più" (3).
Claudia "riesce" là dove Anna "ha fallito":
si integra nel mondo di Sandro. Percepisce l'inautenticità
dei suoi sentimenti, ma alla fine accetta la situazione. Non
comprende a fondo e soprattutto non agisce di conseguenza. Al
contrario di Anna, è ancora un satellite di Sandro. La
sua spensieratezza iniziale è incrinata da preoccupazioni
e angosce accidentali. Il suo principale rovello è il
senso di colpa per essersi sostituita all'amica e averla dimenticata
in così poco tempo, tanto da temerne la ricomparsa. Come
le dice Sandro, il suo è soltanto "il solito disagio;
poi ti passa" (4); non ha mai quella coscienza profonda
che rende necessaria la rottura, anzi può ancora affermare
in piena ingenuità "Se tu mi dici "Claudia,
ti amo", io ti credo". Claudia è soltanto all'inizio
di un processo di identificazione in Anna (5); è Anna
ma in un suo stadio meno "evoluto", quando riusciva
ancora ad accettare Sandro.
Lo stesso, fatte le debite proporzioni,
può dirsi dei personaggi di Lidia e Valentina in La
notte. È Lidia la protagonista di un'ormai esplicitata
tendenza al decentramento del personaggio maschile. È
nel confronto con la moglie, e non con Valentina, che si manifesta
l'inesorabile decadenza dello spessore sentimentale, morale
e quindi umano dell'intellettuale Giovanni Pontano. Anche qui
Valentina (come precedentemente Claudia) presagisce soltanto,
per una sensibilità che certo non le manca, ciò
di cui ormai Lidia ha piena consapevolezza. È Lidia a
emanciparsi da questo tristissimo "uomo nuovo", mentre
Valentina rinuncia a un tentativo d'amore forse soltanto perché,
come dice a Giovanni, "io non distruggo i focolari domestici.
Almeno in questo sono saggia" (e invece è solo ingenua).
Nel suo mondo c'è ancora un esiguo spazio per tentare
un dialogo con Pontano, per testare un'affinità a parole
rifiutata ma nello stesso tempo manifestata (un esempio è
quello delle velleità letterarie espresse e subito negate).
Ancora più evidente (anche per l'assenza
nel film di vere deuteragoniste) è la collocazione in
questo gruppo di "eroine" di Vittoria, la protagonista
di L'eclisse, film che mette in scena sin da subito la
rottura e porta a termine il processo di decentramento del personaggio
maschile. Se Anna, Lidia e Vittoria, ognuna a modo proprio,
fuggono da una condizione che viene sentita come irrimediabile,
Giuliana, la protagonista di DR, si colloca invece a
un livello ulteriore, quello di chi non è riuscita a
fuggire in tempo e ha ormai incarnato il dissidio, lo vive sulla
propria pelle in termini di malattia.
Questo se vogliamo leggere i quattro film
in senso, per così dire, orizzontale. È però
interessante notare come emerga un'altra "linea fatale"
se si getta uno sguardo trasversale ai personaggi impersonati
da Monica Vitti. L'attrice è del resto l'unica interprete
comune ai quattro film, aspetto che permette di considerarla
il fil rouge di una potenziale tetralogia. In questo
senso il sostituirsi nell'Avventura della spensierata
Claudia ad Anna, personaggio già pienamente "nella
crisi", è quasi un battesimo, il passaggio di un
testimone che sarà trasmesso via via a Valentina nella
Notte, Vittoria nell'Eclisse, Giuliana in DR,
secondo una progressione, un vero itinerarium del "soggetto"
in una crisi che da sentimentale si fa esistenziale, sociale
e addirittura epocale. Ognuno di questi quattro personaggi,
interpretati dalla Vitti, compie un passo avanti rispetto al
precedente, scandendo di film in film quattro diversi livelli
di consapevolezza: dall'inconscio antagonismo di Claudia rispetto
ad Anna, alla complicità di Valentina con Lidia, alla
presa di coscienza di Vittoria. Trovo dunque più giusto
affermare, per riprendere la tesi di Tinazzi precedentemente
discussa, che Claudia (ma meglio sarebbe dire: la Vitti) diventa
Anna soltanto nell'Eclisse; soltanto sotto le spoglie
di Vittoria acquisisce la piena coscienza e opera la rottura.
Non è un caso se anch'essa "scompare" dal film,
in un mistero non meno intenso di quello della sparizione di
Anna, seppure espresso stavolta esclusivamente sul piano formale
piuttosto che anche su quello del contenuto (penso naturalmente
alla lunga straniante sequenza finale).
Giuliana poi, se vogliamo dirla con un
paradosso che non vuol essere categorico ma certo è suggestivo,
è Anna se questa non fosse scomparsa. Ed è interessante,
per quanto si voglia considerarlo casuale, che al giornalista
Zuría, autore di un articolo sulla scomparsa di Anna
(parlo naturalmente dell'Avventura), giungano almeno
due precise segnalazioni: la ragazza è stata vista "al
porto che parlava con dei marinai stranieri" e in una farmacia
di Troína, a comprare un calmante. La prima segnalazione
anticipa esplicitamente la scena del dialogo di Giuliana col
marinaio turco al porto di Ravenna, la seconda introduce il
tema della sua "malattia".
Individuale, sociale, umano
Di film in film si fortifica insieme alla
coscienza anche il disadattamento, la sfasatura rispetto al
milieu, fino alla nevrosi di DR; ma non solo:
ogni personaggio interpretato dalla Vitti compie un passo avanti
anche qualitativo rispetto al predecessore. Il dissidio di Claudia
è tutto individuale: prima lotta con il senso di colpa
per aver tradito Anna, poi teme che lei torni per la paura di
perdere Sandro, infine soffre per il tradimento subito. È
un disagio all'inizio morale e alla fine semplicemente sentimentale.
Il dissidio di Valentina è esplicitamente quello tra
la sua sensibilità e la sua condizione di ricca borghese,
rampolla di una famiglia di cui avverte criticamente la decadenza
morale e intellettuale ma a cui si sente comunque "connaturata"
(6). L'attrito è tra due componenti interne dell'individuo,
l'essere e il voler essere: è un disagio esistenziale.
Ma Valentina sembra ancora cercare una via d'uscita all'interno
della stessa borghesia e della sua cultura; non ha ancora la
coscienza che tutto è già cambiato, che
per esempio non è più l'età dei "focolari
domestici", neppure fuori dalla propria famiglia.
L'eclisse è rispetto ai due
film precedenti il meno romantico e il più analitico
da un punto di vista sociologico. La crisi vissuta da Vittoria
trova una corrispondenza e forse anche una spiegazione in ciò
che lei stessa può esplorare e capire durante quel suo
lungo vagabondaggio che in sostanza è il film stesso:
Vittoria vede, sente e comprende una crisi sociale che non è
più soltanto legata agli accidenti dei sentimenti e delle
relazioni interpersonali o familiari, bensì è
evidentemente la conseguenza inesorabile di una modificazione
dei valori e del modo di vivere. Le corde toccate da Antonioni
nell'affrontare il tema della trasformazione della società
in un momento di drastica transizione sono quelle costitutive
dell'esperienza umana tout-court, le maggiori categorie
antropologiche. Sotto osservazione sono infatti il nuovo senso
del tempo (adesso "un minuto qua costa miliardi" dice
Piero a Vittoria, in occasione del minuto di raccoglimento osservato
in Borsa per la scomparsa di un operatore) e dello spazio (ma
questo lo avevano già chiaramente presentito nel film
precedente, nella dialettica architettonica tra vecchio e nuovo
all'interno dello spazio urbano e nel confronto tra questo e
la periferia (7)).
Se ne L'eclisse rimangono comunque
in avampiano i rapporti sentimentali, il tema della trasformazione
"totale" e delle sue conseguenze, svincolato da una
precisa connotazione sociale, diventa centrale in DR,
che può ben dirsi in questo senso, pienamente e senza
enfasi, un film sul destino umano in un'epoca di mutamenti considerevoli.
Il prevalere dell'interesse antropologico su quello sociologico
è espresso dallo stesso Antonioni in un articolo del
1964: L'universo con cui i personaggi del film entrano in conflitto
non è quello delle fabbriche. Dietro alla trasformazione
industriale ce n'è un'altra che riguarda lo spirito,
la psicologia umana. Il nuovo modo di vita condiziona il comportamento
sia di quelli che lavorano in fabbrica sia di quelli che, all'esterno,
ne subiscono le ripercussioni (8).
Il deserto di Giuliana
Il mutamento coinvolge l'uomo e l'ambiente.
Le ripercussioni di questa rivoluzione silenziosa sono violente.
Per adattarsi c'è bisogno di affinare quella che Antonioni
stesso definisce (nel testo appena citato) una "nuova "tecnica"
di vita", ma non è cosa da tutti, perché:
ci sono persone che per loro natura, per la loro eredità
morale sono alle prese con il mondo moderno e non riescono ad
adattarsi. Così si verifica un fenomeno di selezione
naturale: sopravvive chi riesce a stare al passo con il progresso,
gli altri scompaiono inghiottiti dalle loro crisi. Perché
il progresso è inesorabile, come le rivoluzioni. Allo
stesso modo che certuni soffrono durante le rivoluzioni, esiste
un disagio legato al progresso (9).
Naturalmente Giuliana è il caso
più emblematico di chi "vive una profonda crisi
per la sua incapacità di adattarsi", a differenza
del marito assolutamente felice e di Corrado, a metà
strada tra i due, sul limite della nevrosi, ma non pienamente
coinvolto. Per Giuliana ormai il mondo è tutto un deserto
perché sente benissimo, fin troppo, la desertificazione
interiore a cui l'uomo sembra predestinato nel nuovo mondo:
un grande vuoto morale e sentimentale che ha il suo correlativo
oggettivo in un ambiente ridotto appunto a deserto, palude,
ricettacolo di detriti industriali, e ossessivamente rappresentato
da Antonioni con l'uso di colorazioni artificiali.
La morte delle pinete, il terribile inquinamento
fluviale, la natura assoggettata agli interessi dell'industrializzazione:
questo sconfortante panorama è ripreso spesso utilizzando
il teleobiettivo, trasmettendo così, con l'appiattimento
della prospettiva e la limitazione della profondità di
campo, una cupa e claustrofobica sensazione di mancanza di spazio
vitale. La fabbrica, ritratta come ordinata, ben curata, bella
e sfavillante, è in forte contrasto iconico con la desolazione
dei paesaggi naturali. Su questo sfondo Giuliana si muove senza
naturalezza, con i movimenti nervosi dell'animale ferito, l'insicurezza
di chi si sente estranea nel proprio ambiente e, vittima della
nevrosi, decentrata anche da se stessa (10). Schiacciata tra
un vecchio mondo di cui vanno scomparendo le tracce (11) e un
nuovo mondo, rifiutato ma a cui non mancano aspetti di evidente
bellezza e fascino, è lei l'antenna del regista, che
infatti non la perde quasi mai di vista; tanto che si potrebbe
leggere la "deformazione" dell'ambiente, conseguita
di norma colorando direttamente i paesaggi piuttosto che la
pellicola, come una sua soggettiva espressiva, allucinatoria;
naturalmente non in senso stretto ma intesa come immedesimazione
dello sguardo di Antonioni nei sentimenti di Giuliana (12),
come focalizzazione generale del film. E infatti la sequenza
della fiaba in cui Giuliana racconta un suo mondo ideale incontaminato
è, per contrasto, l'unica in cui il colore naturale non
sia stato modificato.
La nevrosi della cinepresa
Il gap tra Giuliana e gli altri
è restituito vivamente dalla nervosa interpretazione
della Vitti, unico esempio nel film di recitazione espressiva
su più registri, esaltata dal confronto con i movimenti
e le espressioni monocordi e "minimali" degli altri
personaggi. Si pensi come esempio al continuo movimento delle
mani e delle braccia di Giuliana e, di contro, alla quasi assoluta
immobilità degli altri, quasi sempre ritratti in posizione
neutra, come automi, con le mani in tasca o le braccia immobili,
come il piccolo robot di Valerio, capace di un unico movimento
di avanzamento e arretramento su una sola traiettoria predefinita.
Giuliana invece si muove sulla scena con una libertà
perfino eccessiva, per quanto siamo abituati ad aspettarci,
determinando la costruzione di un inquietante spazio filmico
a 360° e un'alternanza di découpage e montaggio
interno, anch'essa dagli effetti sottilmente angoscianti.
Vale la pena a tale proposito soffermarsi
sulla sequenza del primo incontro in privato tra Corrado e Giuliana,
nel negozio vuoto di via Alighieri. La sequenza si può
suddividere in tre segmenti, scanditi dall'alternanza di Esterno
e Interno e composti rispettivamente da 8, 28 e 16 inquadrature:
I. L'inizio è su un campo vuoto:
un muro dipinto di verde e scrostato. Corrado scende dall'auto,
fa pochi passi in una strada (completamente spopolata) del centro
storico di Ravenna. Le case sono colorate di grigio chiaro a
sinistra e di un verde muffa a destra. Corrado si affaccia a
una porta sulla destra e ne esce subito. Dopo pochi istanti
dalla stessa porta esce Giuliana. C'è un breve dialogo
in strada in cui Corrado fa capire di essere interessato a Giuliana
(C: "Non vorrei cominciare con una bugia…"; G: "Cominciare
che cosa?"). Giuliana interrompe il discorso e rientra.
II. L'interno del negozio è vuoto.
Giuliana sta scegliendo i colori per le pareti ma non sa ancora
cosa vendere. Impercettibilmente il dialogo si trasforma in
un interrogatorio di Giuliana a Corrado. Ma è un dialogo
assurdo per l'evidente stato di imbarazzo e confusione di Giuliana,
che vi mette fine improvvisamente, lasciando l'interno.
III. I due escono in strada (ancora vuota).
Fanno pochi passi. C'è tempo per una digressione filmica:
a un foglio di giornale portato dal vento viene concesso un
piano ravvicinato. Il selciato è innaturalmente pulito.
Giuliana accusa un malore e si siede sullo sgabello di un fruttivendolo
apparso improvvisamente col suo carretto sul lato della strada.
Anche la frutta è colorata dal regista con un grigio-marrone
"morandiano". Un paio di soggettive espressive di
Giuliana ci mostrano un inquietante primo piano del fruttivendolo
e un campo lungo della strada vuota. Mentre lei si alza e si
incammina ancora in stato confusionale, Corrado si offre di
accompagnarla casa.
Già nel primo segmento sono presenti
diversi aspetti stilisticamente rilevanti, come il campo vuoto,
la relazione tra personaggi e sfondo, la colorazione dell'ambiente
e il suo rapporto con le diverse soggettive. C'è inoltre
un interessante movimento di commento nella settima inquadratura,
proprio all'inizio del dialogo in cui Corrado lascia intendere
il proprio interesse per Giuliana. La m.d.p., tenuta ferma nelle
5 inquadrature precedenti, tramite un sensibile zoom in avanti,
si avvicina dalla figura intera alla mezza figura di entrambi.
Vista la posizione di Giuliana (di spalle in avampiano, quindi
in semisoggettiva, con Corrado frontale davanti a lei), si ha
la sensazione che il movimento di macchina corrisponda a una
perceptio passionis suae di Giuliana, che si sente improvvisamente
avvicinata, troppo esposta, nuda. Infatti nell'inquadratura
conclusiva della scena, un controcampo della precedente, Giuliana
fa un gesto che sottolinea la sua sensazione di imbarazzo e,
senza attendere che Corrado termini la sua risposta, esce dallo
schermo, lasciando l'inquadratura improvvisamente senza oggetto.
È questa un'anticipazione del tema principale del segmento
seguente, che mi preme maggiormente analizzare.
La seconda scena è costruita sull'alternanza
di un incalzante découpage di brevi inquadrature
a m.d.p. ferma (o con minime riquadrature) e di inquadrature
più lunghe con sensibili movimenti di macchina. Se nel
primo e nel terzo segmento la durata media delle inquadrature
è rispettivamente di 12.25 e 8.31 secondi (13), nella
seconda il valore scende a 7.78 secondi ma con un contrasto
interno assai più marcato tra le quattro inquadrature
dal maggior interesse drammatico (14) (lunghezza media di 21.5
secondi) e le altre ventiquattro (5.5 secondi). È un
ritmo di montaggio sincopato che trasmette un'ansia palpabile
e offre un'indiscutibile enfasi alle quattro inquadrature maggiori.
Per tutto il segmento il movimento di Giuliana
è discontinuo. Si sposta nel negozio da un angolo all'altro,
scivolando intorno a Corrado (quasi immobile per tutta la scena)
come un animale intorno a qualcosa di estraneo, e ritraendosene
fino a cercare protezione nelle pareti spoglie. L'interno, tra
l'altro, non ci è mai presentato con un piano totale
e mantiene per noi una connotazione di angosciosa estraneità;
resta per tutta la sequenza uno spazio irriducibile ai nostri
tentativi di farcene un'immagine precisa, di razionalizzarlo,
anche per effetto dei numerosi scavalcamenti di campo e dei
falsi raccordi. Proprio come risulta impossibile "prendere
le misure" a Giuliana, che si sposta e si volta continuamente,
dando ora la fronte ora le spalle alla m.d.p. o a Corrado. Un
esempio è nelle inquadrature 3, 4 e 5: [3]. Corrado in
semisoggettiva osserva Giuliana di spalle; lei si volta verso
di lui e la macchina stacca in un controcampo a 180° [4]
con Giuliana in avampiano (figura intera di spalle) che guarda
Corrado solo un attimo, si volta e inizia un movimento di uscita
dall'inquadratura (sul davanti a sinistra). Con un nuovo ribaltamento
[5] Giuliana è recuperata nel suo lento procedere, di
spalle, dall'entrata in campo (sul davanti a destra) fino al
muro bianco sullo sfondo. Giunta a ridosso della parete, si
volta di nuovo verso Corrado (e l'obiettivo) e finalmente si
ferma.
Nell'arco di 15" scarsi, la m.d.p.
per non perdere di vista Giuliana è stata costretta a
due scavalcamenti di campo, ne ha ripreso tre "piroette",
un'uscita e un'entrata in campo insolite (sul fianco della macchina
da presa). È qui eccezionalmente cospicua la dialettica
tra filmico e profilmico, tra una m.d.p. che tende a limitare
il più possibile i suoi movimenti e un personaggio che
invece sfugge continuamente ogni volta che l'equilibrio dell'inquadratura
si è ricostituito, come se avvertisse un pericolo o comunque
un disagio. Infatti, la quiete raggiunta al termine di [5] dura
ben poco. Si alternano quattro raccordi in campo-controcampo
a m.d.p. immobile ma già all'inquadratura [9] Giuliana
non può più resistere "sotto osservazione"
e fugge di nuovo dall'inquadratura e nuovamente con un'uscita
frontale (a destra) improvvisa, che costringe la m.d.p. a staccare
dopo soli 2". È il preludio alla più enfatica
inquadratura successiva.
Dopo otto brevi o brevissime inquadrature,
la [10] si può considerare un long take con i
suoi 25". La m.d.p., come sorpresa dalla brusca uscita
di Giuliana nella [9], è costretta nuovamente a un ribaltamento
di campo. Giuliana entra (ancora dal davanti) a sinistra e si
dirige verso la sua borsetta, lasciando Corrado in avampiano
sulla destra ad osservarla di spalle; mentre lui cerca di adeguarsi
alla sua nuova posizione con un piccolo spostamento, Giuliana
prende un taccuino dalla borsa, attraversa ancora una volta
il piano, davanti a Corrado, ed esce dallo schermo a destra
lasciando l'uomo solo al centro dell'inquadratura, a guardarla
fuori campo, per ben nove secondi.
Questa fuga continua di Giuliana dal raggio
d'azione della cinepresa è significante del suo precario
equilibrio interiore e raggiunge l'apice nella penultima e più
lunga inquadratura della seconda scena. Nelle inquadrature precedenti
Giuliana ha preso a interrogare Corrado e a scivolargli intorno.
Per la precisione il movimento di accerchiamento è cominciato
nella [22]. Lei lo scruta fissamente mentre lui parla gettando
sguardi a destra e a sinistra. Come se la m.d.p. avesse rinunciato
a mantenere Giuliana come proprio oggetto preferenziale e ne
avesse invece assunto lo sguardo, si insinua progressivamente
in noi la coscienza di un forte legame vedente/visto in cui
stavolta è Corrado al centro dell'attenzione. La macchina
gli gira intorno, insieme a Giuliana.
La [27] inizia proprio con una semisoggettiva
di Giuliana che, in primissimo piano di spalle a sinistra, osserva
Corrado, in piano americano sulla destra. È lui adesso
a compiere un lento attraversamento della stanza e a portarsi
sul lato sinistro dello schermo, seguito da un movimento di
macchina che tiene sempre al centro dell'inquadratura il primissimo
piano di Giuliana (di spalle). La cinepresa si muove insieme
con il suo sguardo e per un attimo vi si immedesima completamente:
Giuliana scompare dietro l'obiettivo per pochi secondi. Lentamente
la donna ricompare di spalle in avampiano. Corrado, sullo sfondo,
è una macchia scura sul muro bianco, incorniciato in
una rientranza della parete come a sottolineare la sua posizione
"grammaticale" di oggetto dell'inquadratura. Sta parlando
delle sue difficoltà ad adattarsi: "La verità
è che non mi va più di stare né qui né
là. E allora ho deciso di partire". Il legame soggetto-oggetto
dell'inquadratura (e dell'interrogatorio) si fa ancora più
saldo ed esplicito con la domanda di lei: "Dove va?".
Ma Giuliana ha uno scatto inatteso. Senza attendere la risposta,
si volta, si sposta sulla destra, prende il cappotto e abbandona
così l'inquadratura di cui è il soggetto, lasciando
solo Corrado al centro della scena. La nevrosi di Giuliana è
qui completamente sublimata a livello stilistico: la sua confusione
interiore genera una palpabile trasgressione delle norme cinematografiche.
L'incapacità di trovare un posizione, un punto di vista
adeguato per comprendere e accettare il mondo, rappresenta anche
la sua crisi come soggetto della narrazione filmica.
Se soltanto successivamente, a livello
di contenuto, il suo decentramento dal mondo e da se stessa
raggiungerà picchi di particolare gravità e chiarezza,
la "malattia" di Giuliana è già stilisticamente
tutta espressa in questa sequenza: nei "salti mortali",
nelle trasgressioni, negli "errori" a cui è
costretta la cinepresa per osservare e capire meglio il personaggio;
per mettere a nudo la nevrosi di Giuliana, la cinepresa ha finito
per esserne contagiata.
(1) Si include il film ad episodi I vinti
(1952), ma non Amore in città (1953), di cui Antonioni
firma soltanto uno dei sei episodi (intitolato Tentato suicidio).
(2) Del 1965, un anno prima di Blow Up, è Il
provino. Si tratta ancora di un episodio in un film collettivo,
I tre volti: trittico che il produttore Dino De Laurentiis
aveva voluto per il lancio della bella principessa persiana
Soraya.
(3) Giorgio Tinazzi, Michelangelo Antonioni, Il Castoro
Cinema, Milano 1994, p. 86.
(4) Qui e altrove, quando non indicato diversamente, traggo
le citazioni dei dialoghi da M. Antonioni, Sei film,
Einaudi, Torino 1964.
(5) Credo che si possa individuare il preciso momento in cui
il processo di identificazione prende vigore (tematicamente
e forse anche nell'inconscio del personaggio) nella scena in
cui Claudia indossa una parrucca nera che la rende molto simile
ad Anna. Ciò avviene nella villa dei principi Montaldo,
subito prima delle ricerche a Troína e Noto, durante
le quali Claudia si calerà definitivamente nel ruolo
di amante di Sandro.
(6) Dice Valentina a Giovanni, che le parla della sua crisi
creativa: "Perché mi dici queste cose? Potrei non
capirti. In fondo mi piace il golf, il tennis, le macchine,
i parties…"
(7) Gli esempi potrebbero essere infiniti, a partire dalla sequenza
iniziale, ma si veda in particolare tutta la flânerie
di Lidia e il dialogo con Giovanni che la va a riprendere al
termine del suo lungo vagabondaggio (Giovanni: "Qua non
è cambiato niente"; Lidia: "Cambierà
presto"). Le battute che cito, tra l'altro, non si ritrovano
nella sceneggiatura del film e costituiscono quindi un cospicuo
esempio del modo istintivo di lavorare sul set di Antonioni,
pronto a svincolarsi da ogni premeditazione.
(8) Michelangelo Antonioni, Il deserto rosso, in "Humanitè
dimanche", 23 settembre 1964, adesso in Id., Fare un
film è per me vivere, Marsilio, Venezia 1994, pp.
251-54.
(9) Ibidem.
(10) Si pensi, come esempio di esplicita dissociazione, alla
storia della clinica raccontata in terza persona da Giuliana
a Corrado in casa dell'operaio di Ferrara.
(11) Un residuo simbolico del vecchio mondo è il panino
dell'operaio, su cui Giuliana in una delle prime sequenze del
film si avventa con istinto animale, per poi correre a mangiarselo
al riparo di una siepe, assediata però alle spalle dagli
sbuffi di una ciminiera. La sequenza trasmette un inquietante
senso della persecuzione e introduce abbastanza chiaramente
alcuni temi principali del film.
(12) Sono letteralmente soggettive allucinatorie invece le inquadrature
del soffitto in cui compaiono macchie di colore viola, durante
l'incontro in albergo tra Giuliana e Corrado.
(13) Ma se scorporiamo dal primo segmento la lunga inquadratura
introduttiva (36"), che ha anche il compito di presentare
l'ambiente e segnalare l'ellissi dalla sequenza precedente,
la durata media delle inquadrature nei due segmenti è
decisamente omogenea: 8.86 e 8.31 secondi.
(14) Le numero 10 (durata 25"), 19 (16"), 23 (14")
e 27 (31").