Le cinque variazioni PDF 
di Lorenzo De Nicola   

The five obstructions

1.
- inquadrature non lunghe più di 12 frames
- fornire le risposte alle domande di "The perfect human"
- girare a Cuba
- no set: non usare scenografie ricostruite
2.
- Jørgen Leth è l'uomo perfetto
- girare nel paese + povero del mondo (India, Bombay, Quartiere a luci rosse)
- documentare il dramma della realtà senza filmarlo
- mettere in scena il pranzo
3.
- tornare a Cuba o girare senza ostruzioni
4.
- cartoon
5.
- Von Trier sarà il regista
- Jørgen Leth non deve fare nulla
- Jørgen Leth deve leggere un testo fornitogli da Trier

Il sacrificio di Jorgen

Caro Jørgen,
la sfida/il film che sei tenuto a fare/risolvere si chiama: The five obstructions. Come punto di partenza vorrei che tu mi mostrassi 12 minuti di film che hai fatto – "L'uomo perfetto". Lo guarderemo assieme e ne parleremo – poi porrò delle limitazioni, comandamenti o
proibizioni, il che significa che dovrai rifare il film da capo per cinque volte – da qui il titolo. Troverei naturale se la nostra conversazione divenisse parte del film finale – con i cinque piccoli film, naturalmente.
Spero che tu sia contento dell'incarico. Forse l'argomento del primo film dovrebbe essere qualcosa su cui ci troviamo d'accordo? Sarà più divertente se l'argomento mostrerà il più possibile le differenze tra il film uno e quello cinque? Fammi sapere cosa pensi al
riguardo. Scrivi, per favore.
Saluti,

Lars

Caro Lars,
trovo l'incarico stimolante. Posso immaginare uno sviluppo interessante dal film uno al film cinque, la strada intorno agli ostacoli, le conversazioni, sono sicuro che tireremo fuori molto da tutto questo. E' emozionante. Aspetto di avere tue istruzioni. Mi piace davvero l'idea di dovere cambiare, aggiustare e ridurre in accordo a delle condizioni date durante il processo. Stiamo iniziando un gioco – ma non un innocente gioco da bambini. Sarà pieno di trappole e giri viziosi... Ora tu vuoi che io lo smonti (per usare una parola che ha usato Woody Allen).
Accetto la sfida
Cordiali saluti,
Jørgen

Nasce da questo breve carteggio elettronico, datato 28 novembre 2000, l'ultima provocazione firmata Trier. La cinque variazioni è, infatti, l'incontro/scontro (in cinque riprese) tra due personaggi illustri della cinematografia danese, due artisti liberamente arroganti, che inscenano un dibattito dialettico che ha per tema centrale la settima arte ma che ben presto sfocia in una vera e propria seduta psicanalitica.

Il manifesto programmatico del regista di Dogville è fin troppo esplicito. Prendi il tuo maestro, prendi il film del tuo maestro che hai visto più volte (Trier dichiara di essere arrivato alla ventesima visione); seleziona pertanto all'interno di te stesso ciò che esso rappresenta: ammirazione e amore per il cinema, quindi per se stessi se si considera che Trier vive del suo cinema e quindi della "proiezione" del proprio ego. Bene, a questo punto decostruiscilo, annienta la sua oggettiva bellezza alla ricerca del significato intimo delle cose, nega la perfezione.

Von Trier non vuole mettere alla prova le doti artistiche del proprio amico, di cui non dubita assolutamente, né – tanto meno – desidera rendere migliore un film che lui stesso ritiene inimitabile. Ma è proprio l'idea stessa di perfezione quella che vuole contestare: in questo suo "progetto per aiutare Jørgen Leth", Trier vuole passare "dall'idea di perfezione all'essere umano"; desidera rendere la breve meditazione esistenziale di Leth (The perfect human, 1967, 12 minuti) un film - continuando a utilizzare le parole che sorgono spontanee dai colloqui tra i due registi – "spastico".

Solo attraverso l'accettazione della manchevole e precaria condizione umana si può accettare l'imperfezione/perfezione della propria esistenza e quindi fuggire dalla decadente impasse apatica che costringe Leth al ritiro ad Haiti (il regista danese vive nell'isola dal 1991 ed è console onorario di sua maestà la regina).
Prontamente, in questo brillante e cinico esercizio di stile, vita e cinema si confondono in maniera drammatica. La meditazione personale si fonde con una più vasta speculazione sulla funzione e la necessità della settima arte. Trier gioca con le regole proprio quando lui stesso si era imposto, otto anni addietro, altrettante fittizie "ostruzioni". Se il grand bluff del Dogma rappresentava la volontà di smascherare - attraverso delle costrizioni auto imposte che travalicassero in questo modo il banale impianto metacinematografico - l'imperfezione della messa in scena e la falsità della macchina cinema intesa nel suo senso più classico, allo stesso modo le ostruzioni di cui è vittima Leth e, soprattutto, le soluzioni che lui offre con i suoi quattro brevi saggi sono l'ennesima risposta dispettosa e scalpitante ad un cinema intorpidito, autoreferenziale e, come direbbe Greenaway, ormai deceduto.

Trier si compiace diabolicamente delle reazioni di Leth. Questi, infatti, paradossalmente non riesce a non confezionare dei prodotti eleganti e ricercati. L'intelligente abilità del "regista perfetto" è quella di aggirare e ingabbiare le folli richieste del suo "amico-analista" riproponendole secondo personali stilemi estetici.
Il regista che aveva fatto sacrificare la sua protagonista ne Le onde del destino vuole imporre lo stesso destino espiatorio al creatore dell'uomo perfetto che non solo vi sfugge e ne esce indenne ma anche si permette, come nel caso dello splendido cartoon eseguito per l'occasione da Bob Sabiston (vedi Waking life di Richard Linklater), di abbandonarsi ad abili e sfrontate sfide.
L'unica maniera di paralizzarlo (dopo averlo ostacolato con ostruzioni tecniche, morali, egotistiche e dispregiative), di renderlo uno "spastico" e, perché no, un "idiota" è quella di perseguire il suo annullamento. La quinta ostruzione è proprio questa. Trier cancella il suo mentore negandogli la sua possibilità di espressione/reazione. Non solo Leth si vede costretto ad abbandonare la regia ma anche a recitare un testo scritto per l'occasione e falsamente indirizzato allo stesso Trier. Quale abnegazione maggiore ci può essere?

"Come cade l'uomo perfetto? Così".

Il cerchio si chiude. Trier mette in scena in questo modo la morte artistica del suo amico e, sincronicamente, la sua rinascita. Come Wenders col suo Nick's movie (1980) filmò gli ultimi giorni di Nicholas Ray e simbolicamente del cinema americano classico più irrequieto, donandogli in questo modo nuova vita, così il danese – con un'operazione analoga o, quantomeno, dallo stesso sapore – professa il suo amore per Leth e per la settima arte nella sua sinistra e magnificente complessità fornendo un confronto a tutto tondo sulle possibilità espressive del cinema e sulla voglia di sondarle fino a fondo. Un meraviglioso pamphlet sull'amicizia.

 


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