Intervista a Roger Corman (Procida, 23 settembre 2007) PDF 
Giuseppe Sedia   

La seguente intervista è estratta da una conversazione con Roger Corman avvenuta lo scorso settembre sull’Isola di Procida. Il regista-produttore americano era ospite alla quinta edizione della rassegna Il vento del cinema, dedicata al tema “Afterlife”.

Negli anni sessanta in un intervista con Vincent Porter apparsa su Midi Minuit Fantastique lei hai dichiarato che le riprese di un film comportano sempre la necessità di prendere decisioni “automatiche”. Potrebbe spiegarci meglio cosa intendeva?

Non smettero mai di sostenere l’importanza della fase di preproduzione nella realizzazione di una pellicola. Tuttavia anche con una buona pianificazione tutti i rischi non possono essere calcolati a tavolino. Gli imprevisti produttivi che agiscono talvolta da stimolanti creativi si nascondono sempre dietro l’angolo. Vedi soprattutto le riprese in esterno. In questo caso il regista ha davvero poco tempo per scegliere una soluzione rapida, “automatica” appunto.

Nello stesso articolo lei ha paragonato l’attivta del regista a quella di un action painter. Ha visto il biopic interpretato e diretto da Ed Harris sulla vita di Jackson Pollock?

Il regista come il pittore agisce sulla rimozione di blocchi che ostacolano in superficie la sua creatività. L’inconscio gioca un ruolo decisivo nelle scelte a breve termine dell’artista a lavoro. Pollock (2000) mi ha colpito molto. Ho apprezzato in modo particolare lo spirito di sacrificio con il quale Harris ha affrontato questo progetto. Non riuscivo ad immaginare che Pollock potesse lavorare in modo cosi rapido sulle superfici da dipingere.

La vita e la pittura di Pollock hanno seguito una traiettoria folgorante. Al contrario il film di Harris ha avuto una gestazione lunga durata sette anni anche a causa dei suoi frequenti impegni come attore. La cronaca vuole che lei abbia girato The Little Shop of Horrors (1960) in due giorni.

Due giorni e una notte per la precisione. Ci siamo rivolti ad uno studio che aveva a disposizione un set totalmente vuoto. Mi sono detto vediamo che possiamo fare. Abbiamo noleggiato il set per un paio di giorni. Allora il tariffario della Screen Actors Guild poteva essere ancora molto conveniente da un punto di vista economico. Il prezzo per tre giorni singoli era uguale a quella settimanale nei giorni feriali. Cosi ho ingaggiato gli attori lunedì. Altri due giorni di prove e poi abbiamo girato giovedì e venerdì. Le riprese cominciavano alle 8 di mattina. Trenta minuti dopo l’aiuto-regista ci ha detto che eravamo gia in ritardo sui tempi. Abbiamo lavorato duro sul set ma sapevo che nessuno avrebbe la tabella di marcia.

Floyd Crosby che aveva lavorato con pioneri del documentario come Robert Flaherty e Joris Ivens negli anni trenta avrebbe diretto la fotografia di una ventuno pellicole dirette da Roger Corman. Come giudica il contributo di Crosby alla sua carriera di regista?

Floyd aveva già qualche anno in piu di me quando ha diretto la fotografia di [i]Five Guns West[/i] (1955) ma eravamo molto amici. Ho sempre rispettato la sua professionalità. La preparazione delle riprese prevede sempre un lavoro lento e meticoloso per un direttore della fotografia. Floyd era veloce e riusciva a capire immediatamente cosa volevo. Non ho mai conosciuto sul set nessuno che fosse capace di coniugare prontezza esecutiva e resa formale come lui. Il nostro sodalizio si è interrotto soltanto per ragioni anagrafiche, quando ormai anziano aveva deciso di congedarsi dal mondo dell’industria cinematografica.

Dopo aver diretto Il barone rosso (1973) Lei ha interrotto la sua carriera registica tornando dietro la m.d.p. soltanto una volta nel 1990 per dirigere Frankenstein oltre la frontiera del tempo. Le ragioni di questa scelta?

Avevo girato più di cinquanta pellicole in meno di 15 anni. Ero stanco. Inizialmente ho pensato di prendermi una “pausa accademica” sotto forma di un congedo annuale. Volevo fare della New World Pictures anche una casa di distribuzione. I miei impegni come produttore si erano moltiplicati. Questi i fattori esterni che hanno influenzato una scelta assolutamente personale. A distanza di numersosi anni posso dire con certezza che il mio silenzio ventennale dietro la macchina da presa è corrisposto ad una precisa strategia umana e professionale.

]“Amo la disinvoltura di Godard, la tenerezza di Truffault e la maestria di Resnais” così Roger Corman intervistato da César Polonio per Image et Son nel 1967. E per questo che ha deciso di alcuni capolavori europei negli USA?

Dopo aver distribuito il capolavoro di Bergman Sussurri e grida (1972) presentato in anteprima mondiale a New York, la NWP era cresciuta rapidamente. Nel giro di due anni eravamo diventati il più importante distributore indipendente. Prima di raggiungere la California avevo viaggiato in Europa e mi ero stabilito per qualche tempo sulla rive gauche parigina. Non ho mai nascosto la mia passione per il cinema francese, e più in generale europeo. La distribuzione di pellicole come Amarcord (1973) di Federico Fellini nelle sale americane era stata pianificata con la garanzia di un profitto minimo necessario alla sopravvivenza del ramo distributivo. Ero disposto a chiudere in pareggio il bilancio di alcune pellicole pur di continuare a divulgare la cinematografia europea negli Stati Uniti.

Il mecenatismo del produttore Roger Corman negli anni settanta troppo spesso evocato è diventato progressivamente un riferimento superficiale, ridotto a mera rubrica di debutti eccellenti. Ma quali erano davvero i rapporti di forza con i giovani protagonisti della “rinascenza” hollywoodiana

La libertà espressiva e il pieno controllo sulla realizzazione di un film: ecco un’altro motivo per il quale avevo fondato una casa di produzione. Ad ogni modo la posizione del regista non può essere quella del produttore. La libertà creativa deve fari conti con i mezzi concretamente messi a disposizione dai produttori: le discussioni in particolare con gli esordienti non sono mai mancate. In alcuni casi il mio rapporto con registi si è fatto intenso e coinvolgente. Danny Haller, Monte Hellman e Francis Coppola sono venuti anche al mio matrimonio con Julie. Tutti hanno sempre ricevuto i miei consigli in fase di ripresa, ma non ho mai imposto un production code “interno” alla NWP.

“Le riprese in pellicola saranno riservate soltanto ad alcune produzioni sofisticate di carattere storico o volutamente arcaico”, ha scritto il critico cinematografico Godfrey Cheshire sei anni fa in un saggio intitolato The Death of Film/The Decay of Cinema. Troppo presto per un bilancio sull’impatto complessivo della tecnologia digitale sul cinema?

La conversione delle sale cinematografiche al digitale è un processo inevitabile. Tra le ipotesi più radicali quella di una distribuzione esclusivamente digitale via satellite e sul web. Ma le grandi case potrebbero continuare a privilegiare una distribuzione “tradizionale”, a condizione di consegnare nelle sale supporti piu leggeri e meno costosi della pellicola. Le specialty divisions delle majors e i produttori indipendenti hanno ormai imparato a contenere le spese di produzione. E quello che mi sempre sono posto di fare nella mia carriera. Ma questa volta l’opportunità concreta di abbattere anche i costi di distribuzione potrebbe innescare uno sconvolgimento epocale nel settore dell’industria cinematografica.

[Traduzione dell’autore]

Isola di Procida, 23 settembre 2007

 


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