Schermi d'Amore n° 13/Il cinema di Isabel Coixet PDF 
Michele Segala   

Quello di Isabel Coixet è un cinema piccolo, che si muove a piccoli passi. Un cinema fatto di personaggi, di rarefazioni e di attenzione, in cui non c’è un movimento di macchina di troppo. Un cinema in cui la Coixet dimostra di volta in volta (di film in film) sempre più controllo artistico e creativo. Ne è una chiara dimostrazione l’utilizzo della colonna sonora: dapprima semplice riempitivo – si veda il giovanile Le cose che non ti ho mai detto – per poi divenire sempre più parte integrante della messa in scena, come dimostra l’uso attento di perfetto contrappunto alle immagini e alle emozioni dei protagonisti nel recente Elegy.

Le cinque pellicole mostrate al festival veronese "Schermi d’Amore" edizione 2009 (la regista barcellonese non ha voluto includere nel gruppo il suo primo cortometraggio Desamiado viejo para morir joven per manifesta insoddisfazione nei suoi confronti) sono tutte espressioni di un’autorialità (intesa nell’accezione che ne facevano i giovani – all’epoca ancora solo critici – della Nouvelle Vague) chiara: la voce della Coixet si presente forte in ognuno dei suoi film in quanto ognuno di essi è sviluppato attorno ad una storia d’amore, ad una ricerca di una via moderna al melodramma, genere cinematografico che in anni recenti ha spesso subito stravaganti adattamenti barocchi da una parte o stilizzazioni più o meno fedeli dall’altra (tacendo qui delle derive kitsch di molto cinema hollywoodiano commerciale). Nel caso della Coixet non vi è nulla di tutto questo: in nessuno dei suoi film vengono richiamati, ad alta o bassa voce, i grandi modelli del passato (Sirk, Wilder, Mankiewicz, etc), né vengono elaborati complicati schemi di regia volti a stupire lo spettatore (con elementi riccamente teatralizzanti e spettacoli alla Luhrmann, per fare un esempio), ma piuttosto concentrandosi maggiormente sullo sviluppo della sceneggiatura. Dapprima dando forma a dei personaggi mai scontati, che agiscano a volte all’interno di storie estremamente semplici e già familiari al pubblico, non distanti dai modelli classici (Le cose che non ti ho mai detto, Elegy, A los que aman), a volte all’interno di vicende più originali, senza per questo mai diventare astrusamente bizzarre (La mia vita senza di me, La vita segreta delle parole), e sempre, in entrambi i casi, riuscendo a non far calare mai l’attenzione dello spettatore, nemmeno quando i tempi sono volutamente lenti (Elegy e A los que aman). Il merito sta proprio nella capacità della Coixet di sapere, da un lato, organizzare una regia che sia perfettamente al servizio della storia, senza mai fare un passo avanti verso le spettatore palesandosi (nessun movimento di macchina e nessuna scelta di decoupage appare forzata o di troppo), dall’altro di saper dirigere attori diversi (per natura, cultura e provenienza geografica) al proprio meglio, sia che si tratti di nomi di richiamo (Tim Robbins, Penelope Cruz), che di volti meno noti (la due volte impiegata Sarah Polley).

Ciò detto, le cinque pellicole della Coixet ammirate a "Schermi d’Amore" sono consigliate a tutti gli amanti del mélo, e in particolar modo le sue due opere probabilmente più riuscite, le contigue La mia vita senza di me (2003) e La vita segreta delle parole (2005). Il primo è uno straordinario esempio di come sia possibile realizzare un film commovente, ma a tratti anche leggero, partendo da un tema estremamente pesante (la giovane protagonista sceglie di tenere all’oscuro la famiglia della sua prossima morte per cancro); il secondo è, se possibile, la realizzazione di un progetto persino più ambizioso: un film con una prima parte che si muove tra pieni e vuoti, in cui silenzi e dialoghi sommessi si intersecano gentilmente, e con una seconda che rimescola le carte in tavola e allarga il campo visivo dello spettatore ad includere la Storia.

 


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