Machan PDF 
Maurizio Ermisino   

ImageIl cinema è fatto di immagini e parole (se sono previste). Per confezionare un buon film bisogna che entrambe siano riuscite. E che le prime siano coerenti con le seconde, e viceversa. È per questo che risulta straniante la visione di un film come Machan, di cui nelle recensioni veneziane si è parlato un gran bene. Machan è la storia di un gruppo di ragazzi dello Sri Lanka che cercano senza risultato di migrare in Europa, per uscire da una situazione di povertà insostenibile. L’occasione arriva quando, grazie a un volantino, apprendono che in Germania sta per essere organizzato un torneo internazionale di pallamano. Così, senza avere alcuna idea delle regole del gioco e della tecnica, decidono di inventarsi nazionale di pallamano dello Sri Lanka e vengono invitati a partecipare al torneo. Le partite non sono proprio un successo, ma da lì hanno l’occasione di disperdersi per l’Europa, e iniziare una nuova vita.

La storia è accattivante. È incredibile. E lo è ancor di più se pensiamo che è vera. Uberto Pasolini, già produttore di Full Monty, ha ricostruito gli eventi e ha girato nello Sri Lanka, con attori del posto. Il problema è che il film è intraducibile. Primo, perché l’adattamento italiano tende a snaturare la personalità e l’indole dei personaggi: i cingalesi, infatti, vengono fatti parlare come se fossero i personaggi di un film americano, con un intercalare fatto di parolacce, che si fa fatica a credere siano davvero nel loro DNA. Secondo, perché l’operazione di girare nei luoghi veri e con ragazzi probabilmente presi dalla strada va nella direzione della "verità", nel senso che non potendo girare un documentario sulla vicenda (accaduta quattro anni fa) si gira qualcosa che ci si avvicini il più possibile, che sembri tale. Ma sentire queste persone doppiate in italiano allontana da questa idea di verità/verosimiglianza. È un po’ il problema, fatte le debite proporzioni, che aveva avuto un film come Borat, che doppiava anche persone (inconsapevoli) che interpretavano loro stesse. Probabilmente il film visto a Venezia, in originale, era ben altra cosa e in molti si chiedevano cosa sarebbe diventato una volta doppiato. Ma il film che vedrà la maggior parte della gente è questo, e con questo dobbiamo fare i conti. Ci sono anche dei problemi di sceneggiatura: lo script non riesce a vivacizzare le vicende della prima parte, quelle della preparazione al torneo, che risultano monotone e ripetitive. Il film, infatti, decolla piuttosto tardi, nei momenti del torneo. Ma non è solo perché lo scorrere degli avvenimenti è più movimentato: è anche perché, senza parole (doppiate), si dà finalmente spazio ai volti, alcuni dall’espressività unica, che Pasolini ha scelto per il film.

Nonostante queste pecche, che lo rendono un film imperfetto, Machan ha dei pregi notevoli. Piace questo sguardo di Pasolini sugli ultimi. Proprio come in Full Monty c’è il ritratto di un’umanità bistrattata, povera, che trova nell’unione, nella solidarietà reciproca e nel gioco di squadra (lì diventavano un gruppo di spogliarellisti, qui una finta squadra di pallamano) la forza di reagire. Un’umanità che fa di necessità virtù. Ma è soprattutto la collaborazione e l’unità di intenti a colpire, in un mondo come quello di oggi dove ognuno vuole continuare a badare al proprio piccolo orticello. E il pregio di un film come Machan è proprio quello di aprire gli occhi verso il mondo, necessità/urgenza per il nostro cinema, per troppi anni chiuso in se stesso. E a dire il vero di tutto il cinema degli ultimi anni, che inizia finalmente a guardare al Sud del mondo con maggior impegno. Machan, girato da un italiano in Sri Lanka con attori locali, una coproduzione Italia/Germania/Sri Lanka, è un film gemello e complementare a Le ferie di Licu di Vittorio Moroni, girato tra Roma e il Bangladesh. Il futuro del cinema non può che essere questo: un cinema meticcio, contaminato, migrante. Questa può (e deve) essere la sua forza.

TITOLO ORIGINALE: Machan; REGIA: Uberto Pasolini; SCENEGGIATURA: Uberto Pasolini, Ruwanthie De Chickera; FOTOGRAFIA: Stefano Falivene; MONTAGGIO: Masahiro Hirakubo; MUSICA: Lakshman Joseph De Saram; PRODUZIONE: Germania/Italia/Sri Lanka; ANNO: 2008; DURATA: 106 min.

 


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