La solitudine dei numeri primi PDF 
Simone Dotto   

Superati ormai da tempo i reciproci complessi di superiorità, economica per l’uno e morale per l’altra, cinema e letteratura sperimentano nuove e più paritarie forme di sopravvivenza. Dalle nostre parti, dove i numeri latitano su tutti e due i fronti, capita anche che le rispettive industrie arrivino a sostenersi a vicenda, ritrovandosi addirittura a mangiare dallo stesso piatto. Cinecittà, insomma, punta dritto ai casi letterari della stagione già insigniti da riconoscimenti di critica o di pubblico (preferibilmente tutti e due), per farne successi da botteghino. In questo modo il “film tratto da …”  farà strada alla seconda edizione del “libro da cui è stato tratto il film”, in un circolo virtuoso di biglietti e copie vendute. Soltanto per citare qualche esempio dalle produzioni degli ultimi cinque anni, Caos Calmo di Veronesi, Come Dio Comanda di Ammaniti/Salvatores, Gomorra di Saviano/Garrone e – per l’appunto – La solitudine dei numeri primi, bestseller di Paolo Giordano vincitore dello Strega 2009 e ora anch’esso riadattato per il grande schermo. Operazioni tese ad incuriosire anche il pubblico dei lettori, ragion per cui i battage promozionali battevano forte sul tasto “qualità”: ma se nel primo caso è bastata la presenza di Nanni Moretti quale attore protagonista, in tutti gli altri è stata la scelta del regista a fare da certificato di garanzia.

Alla sua prima prova mainstream, Matteo Garrone era riuscito a dare volto, carne e sangue alle impressionanti cifre raccolte da Saviano nel suo saggio sulla camorra. Per Saverio Costanzo (cinematograficamente ancora più giovane) si tratta invece di uscire dal proprio territorio estetico di realismo documentaristico e mettersi al servizio della forma narrativa per eccellenza, quella del romanzo di formazione. Una sfida raccolta solo a metà: Costanzo porta tutto nel suo campo di gioco e, pur di non cedere al flusso di un racconto canonico, spariglia l’ordine cronologico attorno a quattro anni spartiacque, tappe fondamentali nel rapporto tra i due personaggi. La storia di non-amore fra Alice e Mattia si snoda così dal 1984 al 2007, passando dal 1991 e il 1998: un viavai di flashback ricompone i loro destini paralleli e le loro vite di “diversi” (mentale lui, fisica lei). Man mano che la trama viene (ri)costruita a colpi di montaggio, infatti, la regia può concentrarsi sull’aspetto che più gli preme, quello dei corpi: perché le loro dolorose traversie Mattia e Alice se le portano addosso, sottoforma di cicatrici. E proprio sulla dimensione fisica dei due attori Costanzo lavora, mostrandoceli ingrassati, dimagriti, cresciuti, invecchiati e partendo dai segni sulla loro pelle e dai loro sguardi costantemente spaventati per poi andare a ritrovarne le ragioni indietro nel tempo.

La conseguenza più vistosa di questo modo di procedere disordinato è il forte taglio ai dialoghi: una volta liquidate, quasi sbrigativamente, quelle poche, inevitabili scene di raccordo, della letterarietà nel descrivere i personaggi e i loro rapporti non resta più traccia. Lo stesso discorso sull’importanza dei numeri primi, il vero capitolo chiave nell’economia del libro, finisce schiacciato dalla musica. Non solo: il film raddoppia le distanze dalla narrazione intimistica del romanzo trasformandosi in una sorta di horror sentimentale, un risultato cui lavorano unite regia, fotografia e colonna sonora. La prima sequenza, con i bambini travestiti per una recita natalizia e l’uccello dalle piume di cristallo di Ennio Morricone in sottofondo, è una dichiarazione d’intenti. Le atmosfere del film proseguiranno su questa falsariga, complici gli original score scritti da un Mike Patton andato a scuola da Bernard Hermann, una fotografia livida e il continuo richiamo ai maestri del brivido (la tromba delle scale ripresa dall’alto che fa tanto Hitchcock; i lunghi corridoi deserti alla Overlook Hotel; la corsa di Alice – zoppa da una gamba – fra le fronde, a ricordare la camminata claudicante di Jack Torrance nel labirinto di Shining; la Torino piovosa e scura che fu già set per il miglior Dario Argento …).

L’inaspettata piega orrorifica ha senz’altro il merito di non trasformare un film tratto da libro nell’ennesima pellicola d’introspezione, ma contribuisce a far perdere totalmente di vista la profondità della storia. Se finora non si è usata la collaudata definizione di “thriller psicologico” è perché, da queste parti, di psicologia c’è poco nulla. Gli Alice e Mattia immaginati da Costanzo sono tutti esteriorità: parlano attraverso i loro occhi e il loro corpo, soffrono con gli stigma che la sfortuna gli ha messo addosso, ricordano senza monologhi interiori ma facendo semplicemente fare retromarcia nel tempo allo spettatore. Ne esce un impressionismo vivido e affascinante, ma che non perde troppo tempo a curare quel che non salta subito all’occhio. Ecco perché chi assiste può farsi suggestionare dalle immagini restando pressoché indifferente di fronte agli sviluppi della vicenda amorosa, o perché – al di là dei salti temporali – è così faticoso domandarsi con partecipazione come la storia andrà a finire (o com’era cominciata). Ecco perché, secondo le dichiarazioni di Salvatores, la giuria veneziana ha trovato la visione del film “confusa”. Il timore è che, a forza di spogliare il testo di Giordano da qualsiasi artificio letterario, si sia finiti col denudare una trama che era inconsistente già sulla carta.

TITOLO ORIGINALE: La solitudine dei numeri primi; REGIA: Saverio Costanzo; SCENEGGIATURA: Paolo Giordano, Saverio Costanzo; FOTOGRAFIA: Fabio Cianchetti; MONTAGGIO: Francesca Calvelli; MUSICA: Mike Patton; PRODUZIONE: Italia/Francia; ANNO: 2010; DURATA: 118 min.

 


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