Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle) PDF 
Gianmarco Zanrè   

Sono pochi, ma fortunatamente buoni, i casi in cui il cinema riesce ad essere, e divenire, una sorta di flusso di coscienza capace di veicolare i sentimenti del suo narratore, trasformandoli in una fucina di sensazioni di rimando negli occhi e nel cuore del pubblico. Comment je me suis disputè… (ma vie sexuelle) appartiene a questa ristretta cerchia: l’epopea emotiva orchestrata dal pluripremiato quanto “sfuggente” (parlando di distribuzione) Arnaud Desplechin, per quanto apparentemente chiusa e destinata ad un pubblico di soli cinefili, rappresenta, al contrario, la storia di una Storia. D’amore, sesso, sentimenti, come nella vicenda narrata, e di approccio alla settima arte, in una sorta di lento processo di avvicinamento, una conquista come ormai quasi un secolo fa Saint Exupery avrebbe descritto grazie al reciproco addomesticarsi del Piccolo Principe e della volpe.

Il continuo inseguirsi di verità e menzogna, che trova incarnazione, su pellicola, in ogni singolo gesto del protagonista Dedalus, trentenne dalle mille contraddizioni, appare come un’acuta metafora del mezzo cinematografico stesso, elegantemente orchestrato dal regista di Roubaix e trasformato da immagine a realtà, in una sorta di bugia rovesciata. Forte delle magistrali lezioni di Resnais e Truffaut, Desplechin attua un’opera minuziosa di ricerca all’interno dei labirintici processi dell’educazione sentimentale di un uomo nel pieno della sua maturazione, interrogando se stesso e il suo protagonista in una discesa capace di respirare nelle sue evoluzioni, restringersi e dilatarsi come tempi e dialoghi, e trasformare Dedalus in un dedalo, per l’appunto, di emozioni contrastanti, in precario equilibrio sulla scena e in quella che potrebbe essere una vita vissuta, reale, appena oltre la menzogna della proiezione. Proprio in questo specchiarsi risiede la potenza sotterranea – e non solo – del lavoro di Desplechin, cuore di una poetica e di una ricerca ancora in fieri, continuata con successo, seppure con una continuità meno dirompente, con le sue opere successive.  Accanto ad una tecnica, infatti, che definisce uno stile personale ed accattivante, per quanto non facile, il plauso maggiore va all’ensemble del lavoro di scrittura ed attoriale, forti il primo di un lungo percorso di maturazione e il secondo di un’alchimia creatasi già con il precedente lavoro del regista. Ad una visione ormai lontana dalla prima proiezione della pellicola, e con il vantaggio che può dare un’analisi delle opere successive di un autore, è possibile identificare in Comment je me suis disputè…l’attuale vertice creativo e di comunicazione del poliedrico cineasta, pietra angolare della sua poetica ed ottimo punto di riferimento, in partenza o in arrivo, per un avvicinamento alla sua filmografia.

E di nuovo si torna ad affrontare il tema della scoperta, quanto mai appropriato se riferito ad un opera intensa e complessa come questa, ed ugualmente adattabile, se non addirittura tessuto ad arte, rispetto al suo stesso protagonista, un animo inquieto ed affascinante, perfettamente intrecciato alle esistenze dei suoi comprimari, eppure dalle stesse avulso, celato, nascosto oltre quello specchio magico tradotto dallo schermo e dallo schermo interpretato, quasi il labirintico Dedalus altro non fosse se non la bugia della vita reale, vissuta da pubblico, attore, regista e soltanto sognata da un protagonista tra i più affascinanti, nella sua incredibile, umana normalità, del cinema d’oltralpe recente. Così, in questo turbinio di un eterno fidanzato alla ricerca di un altro amore, si consuma tutta la drammatica leggerezza di immagini di un’eloquenza silenziosa, capaci di prevaricare durata e pregiudizi rispetto ad un cinema che potrebbe essere definito “scomodo”, ad uso e consumo dei soli e più assidui frequentatori di festival: il cinema di Desplechin, come il suo Dedalus, sono figli di uomini che amavano le donne, e, come l’indimenticabile Bertrand raccontato con disarmante leggerezza, profonda sensibilità e drammatica umanità da Francois Truffaut, anche la coppia protagonista regista di Comment je me suis disputè... è costituita da animi solitari, il cui confronto ultimo e primario è con lo spettatore, cartina tornasole dei loro sentimenti, delle passioni e delle loro stesse esistenze, quasi si trattasse di un complesso, magico metacinema quale quello portato in scena dallo straordinario Kusturica di Underground.

Dunque, prima di ogni pregiudizio (cinefilo ed intellettuale), critica, o timore (di durata, approccio, poetica), non è comunque facile ricostruire una filmografia “in estinzione” come quella di questo regista. Occorre fermarsi a prendere un profondo respiro, e considerare che la storia che si sta ascoltando, vivendo, osservando, potrebbe essere quella di chiunque. Kubrick e il suo Shining insegnano: non si esce mai troppo indenni dal labirinto della propria mente. Figurarsi da quello del cuore.

TITOLO ORIGINALE: Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle); REGIA: Arnaud Desplechin; SCENEGGIATURA: Emmanuel Bourdieu; FOTOGRAFIA: Stéphane Fontaine, Eric Gautier, Dominique Perrier-Royer; MONTAGGIO: Laurence Briaud, François Gédigier; MUSICA: Krishna Levy; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 1996; DURATA: 178 min.

 


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