"È un po’ turistico, ma è la stessa cosa ad ogni pellegrinaggio. Ne ha fatti molti? Sì, altrimenti non uscirei mai di casa". Il gruppo composto da pellegrini, volontari, Cavalieri di Malta, si dispone ordinatamente per la foto ricordo. È un attimo, prima che ciascuno ritorni, con le sue gambe o su una sedia a rotelle, alle attività programmate al secondo in maniera rigorosa, quasi maniacale.

Questa immagine, fortemente simbolica, sembra condensare il tentativo della regista Jessica Hausner di raccontare la realtà abnorme, estremamente complessa e sfaccettata, di uno dei luoghi di culto cattolici per eccellenza, Lourdes. Scandito a tratti quasi con la stessa, minuziosa precisione con cui i vari tour operator organizzano il pellegrinaggio, il film ne analizza la dimensione rituale, nel senso durkheimiano del termine: Lourdes è il luogo in cui tentano di recuperare una dimensione sociale coloro che, altrimenti, sarebbero condannati alla solitudine dalla malattia. Ma anche quello dell’attesa di un miracolo che assume molteplici significati: il ritorno ad una vita normale, vissuta nella sua pienezza; una risposta ai tanti interrogativi esistenziali, un modo per colmare i propri vuoti, l’essere partecipi di un’esperienza che potrebbe rivelarsi unica.

La Hausner non teme di sottolineare gli aspetti del soggiorno a Lourdes che lo rendono simile ad una crociera, o a un villaggio vacanze: la “mercificazione dell’emozione” e l’onnipresenza del souvenir, ogni istante della giornata riempito da attività collettive, il premio al “miglior pellegrino”, la festa di fine viaggio, i flirt fra i partecipanti. Ma sarebbe riduttivo vedere in quest’opera la cinica denuncia degli aspetti grotteschi del contesto raccontato: se la “macchina” Lourdes sembra a tratti un carrozzone, e certe situazioni hanno un umorismo involontario, emerge però al contempo la profonda umanità celata nei desideri e nelle aspettative di chi vi si reca. Non a caso la protagonista, Christine, non è particolarmente religiosa. E quando viene toccata da quello che potrebbe essere il tanto atteso miracolo, o una fase regressiva della malattia da cui è affetta, la sclerosi multipla, non può fare a meno di interrogarsi sul perché sia accaduto proprio a lei. E su quanto, effettivamente, si tratti di una seconda chance o di un’effimera illusione. Con un equilibrio e una delicatezza rari, Lourdes esplora la complessità di una realtà eccessiva, in cui tutto sembra debordante: troppo il fervore religioso, troppa la sofferenza, troppo il lucrare su di essa. E lo fa tramite la sottrazione: scarni i dialoghi, statiche le inquadrature, ridotta la varietà delle situazioni presentate a favore della loro reiterazione, proprio a sottolineare il ripetersi, uguale a se stesso, dell’happening religioso.

Il fatto che Christine sia protagonista di una guarigione inspiegabile non sarà il segno rivelatore che tutti sembrano attendere. In molti casi riuscirà soltanto ad acuire frustrazioni, risentimenti, piccoli e grandi egoismi. Non renderà meno paradossale la situazione da “villaggio vacanze”, anzi proprio Christine si ritroverà ospite d’onore di una festa di congedo malinconica e kitch al tempo stesso. Soprattutto, non sembra dare risposte, ma solo generare nuove domande. Seduta di nuovo sulla temuta sedia a rotelle, alla fine Christine però guarda avanti a sé, verso un fuori campo che non è certezza, ma possibilità.