Il figlio più piccolo segna l’ultima tappa di una lunga e produttiva carriera registica. Un film, quello di Avati, capace di conservare inalterate tanto l’efficacia dello sguardo quanto la riconoscibilità di una voce autoriale forte, che non ha mai smesso, negli anni, di raccontare storie e parlare d’altro, con un gusto sottilmente ironico, oltre che decisamente amaro.
Luciano Baietti (Christian De Sica) è un imprenditore romano della peggior specie e il protagonista della storia. Abile nella “nobile” arte dell’evasione fiscale, su consiglio del suo team di collaboratori decide di riprendere i contatti col più piccolo dei suoi figli, nonostante i numerosi anni di assenza, per intestargli tutte le sue proprietà e liberarsi, così facendo, delle responsabilità economiche legate ad anni di truffe ai danni dello Stato. Il figlio Baldo, interpretato brillantemente da Nicola Nocella, appena ventenne e ingenuo fino al patologico, non soltanto accoglierà con gioia la nuova nomina a presidente della holding di proprietà del padre, ma si illuderà anche di aver ritrovato, una volta per tutte, l’affetto paterno che tanto gli era mancato negli anni. Ma l’ambiente cinico in cui la storia si svolge non tarderà a mettere a nudo i disegni meschini che motivano la cessione. La verità, nuda e cruda, verrà presto a galla. In mesi di gravi azioni politiche passate sotto silenzio, di scandali continui e grottesche dichiarazioni d’amore per la nazione, è difficile non intravedere nel nuovo film di Avati un vero e proprio ritratto dell’Italia di oggi. O almeno di una parte d’Italia: quella indifferente alla corruzione, incapace di stupirsi persino del peggio, con il gusto dello scandalo, nutrita da mitologie perverse e dedita alla mercificazione più indiscriminata. Per questo non riesce a far ridere né l’ingenuità di un figlio, né tanto meno il patetismo di una madre (Laura Morante) del tutto incapace di affrontare la realtà. La finzione cessa di essere finzione perché ci si riconosce e la realtà portata in scena smette di essere commedia quando in quel corpus si rivede, senza possibilità d’errore, la propria pelle.
Avati, così, regala al contempo un sapore tragico e un profondo desiderio di riscatto, in un Paese di cui è proibito parlare male. Una nazione dove non è rimasto altro che un orgoglio nazionale da difendere, una bandiera, un familismo deleterio e radicato e la sua legge non detta secondo cui il proprio padre è sempre il proprio padre e la propria nazione è la propria nazione, qualunque siano le colpe.
TITOLO ORIGINALE: Il figlio più piccolo; REGIA: Pupi Avati; SCENEGGIATURA: Pupi Avati; FOTOGRAFIA: Pasquale Rachini; MONTAGGIO: Amedeo Salfa; MUSICA: Riz Ortolani; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2010; DURATA: 100 min.
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