Luciano Salce, l’uomo dalla bocca storta PDF 
Viviana Eramo   

Nell’affollata cornice dell’Auditorium di Roma, durante il Festival Internazionale del Film, abbiamo incontrato Emanuele Salce, figlio del grande Luciano, e il giovane Andrea Pergolari, entrambi autori de L’uomo dalla bocca storta, documentario presentato come evento speciale nella manifestazione romana e andato in onda su Sky il 23 ottobre scorso.

Come nasce la vostra collaborazione?
Emanuele Salce: Io ho conosciuto Andrea una sera, in una rassegna minore sulla riva di un fiume, al buio, in mezzo a dei tafani e delle zanzare (ride, ndr). Sembra uno scherzo, ma è vero. Alla proiezione, nella rassegna Italia degenere, con un pessimo audio e un pessimo video, c’era quest’individuo, che poi ho scoperto essere il depositario della biografia e della storia artistica di Luciano Salce. Lui ne sa più di me, per cui l’ho corrotto pur di portarlo a lavorare con me a questo progetto.

Andrea, quindi già allora avevi lavorato e scritto qualcosa su Salce?
Andrea Pergolari: Sì, avevo scritto un libro, che fu la mia tesi di laurea, in seguito pubblicata. Comunque io ed Emanuele ci siamo conosciuti grazie alla madrina di Italia degenere, Orchidea De Santis, che lavorò come attrice in quattro film diretti da Luciano Salce.

Nello specifico, come avete organizzato il lavoro insieme?
E.S.: Noi siamo abbastanza opposti, quindi ci completiamo perfettamente, riuscendo a sopperire ognuno alla mancanza dell’altro. Una collaborazione, la nostra, che non si è esaurita solo con questo film, ma che ha prodotto anche una monografia su mio padre, una cosa che mancava nel panorama dell’editoria specializzata, che uscirà tra un mese e mezzo. Poi abbiamo un incontro con la Gelmini per proporre Luciano Salce come materia obbligatoria nelle scuole e abbiamo buone possibilità! Sto scherzando ovviamente, ma neanche più di tanto...perché questa è un’idea di Andrea...

Andrea, il tuo ruolo nel realizzare il film è stato anche quello di oggettivare lo sguardo necessariamente coinvolto del figlio Emanuele o non ce n’è stato bisogno?
A.P.: Io sono un "esterno" ovviamente, perché non sono parte della famiglia. In realtà il lavoro è stato comune su tutto, spesso, addirittura, era lui a frenarmi, perché ero io a cedere al sentimento. È stato un lavoro che forse ci ha aiutato a risolvere delle questioni nostre, attinenti alle nostre biografie, relative ad Emanuele, come figlio di Salce, e a me, in quanto critico cinematografico di Salce. Ci siamo aiutati a vicenda e non poteva essere diversamente.

Quali sono state le difficoltà produttive, in relazione anche alla ricerca e al reperimento dei materiali?
E.S.: Noi non potevamo permetterci il costo di certe produzioni, per una questione di budget e non di gusto. Che debba comprare i diritti di film scritti, diretti ed interpretati da mio padre lo trovo anche giusto, purché si possa pagare un costo equo, proporzionalmente al tipo di lavoro, di budget disponibile e di diffusione che ha poi il lavoro finito. Noi non andiamo nelle sale in tutto il mondo, in dvd e in home video, questo film è un piccola cosa che si è vista qui, con uno sbigliettamento minimo, poi viene trasmesso sulla tv satellitare, dove il diritto d’antenna è minimo. La cultura non viene aiutata. Dire che facciamo cultura forse è un’affermazione esagerata, però facciamo memoria che è comunque una forma di cultura. Se per ogni spezzone di un film di mio padre, mi si chiedono 6000 euro, ma per fare il film ce ne danno 10, 20, 30 mila in tutto, finisce che mi devo vendere casa. Bisognerebbe che la questione fosse regolata meglio, in proporzione all’effettivo costo e al ricavo del progetto.

A.P.: È difficile trovare i fondi per fare una cosa buona, perché ci sarebbero voluti 200 mila euro per avere tutto quello che avremmo voluto. Nella versione televisiva, infatti, ci sono dei tagli: ad esempio, siamo stati costretti a tagliare La voglia matta...

La destinazione televisiva era già prevista a monte del progetto?

A.P.: Sì, era già prevista , anche se non per Sky.

La vostra è un’operazione commemorativa nei confronti di un grande uomo di spettacolo, eppure, a giudicare dalle risate in sala, sembra non sia passato poi così tanto tempo...
A.P.: La gente ride in sala perché Salce è ancora moderno. Sai che cosa credo abbia di moderno che servirebbe ancora oggi? L’autoironia. Lui rideva di se stesso e ne rideva profondamente, non per far spettacolo, ma perché ci credeva, e questo lo senti e lo capisci davanti allo schermo e lo apprezzi. Adesso servirebbe parecchio.

E servirebbe anche qualcuno che fosse  in grado di fare così tante cose e così bene...
A.P.: Sì, infatti, un’altra cosa che manca è la preparazione. Luciano era una persona che aveva studiato e che si era preparata. Guido, il fratello di Luciano Salce, ci ha raccontato un episodio molto interessante che abbiamo dovuto tagliare: quando Luciano era stato internato in un campo in Germania, non ha chiesto del cibo, ma le poesie di Montale, perché era ciò che gli serviva in quel momento. Quest’episodio dovrebbe bastare a spiegare il personaggio.

L’unico critico cinematografico a disquisire su Luciano Salce nel film è Alberto Pezzotta. É stata una scelta voluta od obbligata? Avete ricevuto dei rifiuti ad eventuali proposte fatte ad altri critici per parlare di Salce?
A.P.: Beh, Alberto intanto è un mio amico, poi è il massimo esperto di Salce in Italia. Tra i critici più giovani era colui che ne poteva parlare più lucidamente. Una volta che abbiamo avuto lui, in grado di fare un discorso su Salce come quello che hai sentito, non c’era nessun altro da contattare. C’è anche da tenere presente, inoltre, che su Salce non c’è poi molta letteratura. Pezzotta studia il regista da moltissimo tempo ed è lui l’autore della voce su Luciano inserita nel Dizionario dei registi del cinema mondiale edito da Einaudi, che, tra l’altro, ci ha ispirato non poco.

 


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