L’imbroglio nel lenzuolo PDF 
Eva Maria Ricciuti   

Italia del Sud, 1905. Nel buio di una piccola sala scene di vita quotidiana emergono da un fascio di luce generato da una manovella che gira e che, filtrando attraverso una lente, le proietta su un lenzuolo bianco. Si tratta di una novità arrivata da Oltralpe, una macchina che cattura le immagini. Ma non una macchina fotografica, di più. Una macchina che cattura le immagini in movimento. Un nuova macchina che arriva dall’estero e che ha un nome esotico e misterioso: cinematografo. E il pubblico riempie le sale, dapprima in silenzio, poi sconvolto. Un treno lo sta per travolgere, si esce correndo dalla sala, urlando di terrore e poi: “è ‘mbrogghiu!”, si sussurra. È un inganno. È un  “‘mbrogghiu nt’o lenzolu”.

Così, con un aura un po’ magica, come un mistero che si compie, Alfonso Arau ci racconta la genesi di un rapporto destinato a consolidarsi nel tempo: quello tra il cinema e il suo pubblico. L’imbroglio nel lenzuolo, ultimo film del regista messicano, è un omaggio alla settima arte, un atto d’amore nei suoi confronti, un’impresa pregevole, un intento dignitoso. Ma purtroppo un film modesto. Grazioso, godibile e per certi aspetti divertente, ma non perfettamente riuscito. Tratta dal romanzo omonimo dello scrittore/sceneggiatore Francesco Costa, la pellicola vive più del richiamo voyeuristico del fantomatico nudo di Maria Grazia Cucinotta (qui in veste di produttrice con la sua Seven Dreams Productions, oltre che splendida protagonista) che del suo effettivo fascino. Già pregna delle collaudate atmosfere di film quali Come l’acqua per il cioccolato e Il profumo del mosto selvatico, che hanno reso celebre il regista, pur se gratificata dalla splendida luce di Storaro, la pellicola non brilla se non in rari attimi e la Marianna della Cucinotta spesso guarda un po’ troppo sfacciatamente alla Maléna della Bellucci, in una gara che le vedrà pure a pari merito quanto a fascino, ma sfortunatamente l’attrice siciliana non è abbracciata dalla splendida trama tessuta da Tornatore per la bella umbra.

Ci troviamo di fronte ad un film frammentario, pregno di buoni spunti narrativi, ma forse un po’ troppo legato ad una certa iconografia dell’Italia meridionale dei primi del Novecento, vista come provincialotta, scollacciata e tutto sommato ignorante. Divertente la caratterizzazione di alcuni personaggi, quale ad esempio il signor Pecoraro (interpretato da un Ernesto Mahieux in ottima forma), acuti alcuni tratti della trama, ad esempio l’idea di contrapporre l’immortalità che un regista può dare ai suoi personaggi contro la lotta impari di un medico con le malattie, arguta la doppia valenza dell’espressione “imbroglio nel lenzuolo”, riferita al modo di chiamare il cinema dei poco avvezzi italiani dei primi del Novecento e al colpo di scena della trama, ma, sebbene gli ingredienti ci siano più o meno tutti, la combinazione non funziona e gli ingranaggi girano a fatica. Si può ravvisare tra le righe una certa critica legata alla sovraesposizione mediatica della propria immagine e alla smodata corsa alla notorietà, ma anche qui, data la riflessione finale della “povera” Marianna, il bersaglio rimane distante. Alla fine la sintesi migliore sul valore della pellicola, la miglior chiave di lettura, è stata offerta dalla stessa Cucinotta, che ha più volte entusiasticamente dichiarato: “ (…) è un film che racconta una storia semplice, in un periodo in cui la semplicità non è di moda (…)”. E come tale consigliamo comunque di andarlo a vedere. 

TITOLO ORIGINALE: L’imbroglio nel lenzuolo; REGIA: Alfonso Arau; SCENEGGIATURA: Giovanna Cucinotta, Chiara Clini, Romina Nardozi; FOTOGRAFIA: Vittorio Storaro; MONTAGGIO: Paolo Benassi; MUSICA: Maria Entraigues, Ruy Folguera; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 100 min.

 


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