Offside PDF 
Andrea Mattacheo   

In una delle prime sequenze di Offside a un vecchio cieco viene chiesto perché voglia andare allo stadio quando potrebbe invece ascoltare la cronaca della partita da casa. L’uomo cerca allora di spiegare ai giovani tifosi che la partita allo stadio è tutta un'altra cosa: allo stadio la partita non si ascolta si sente, “[…] allo stadio si può bestemmiare senza che nessuno se ne accorga […]”. Anche il film di Panahi bisogna “sentirlo”, cercare in sé stessi la sottile rabbia di chi da sempre si è visto negato il diritto di essere uguale. Immaginare la frustrazione dell’essere ciechi pur vedendoci benissimo, per capire così l’immensa gioia che si prova nel partecipare ad un evento collettivo, diventando parte di una comunità dalla quale ogni giorno si è esclusi. Forse per questo suo dover essere sentito più che visto, Offside sembra meno teorico dei precedenti lavori del suo regista, distante dalla fredda raffinatezza estetica di Oro rosso o dal rigore de Il palloncino bianco. Un film, l’ultimo di Panahi, dove l’emergenza in cui è stato girato si trasforma violentemente in un’urgenza comunicativa che va ben oltre la composizione delle sue immagini. La precarietà dal suo farsi riflette una forma evidentemente incompiuta eppure vitale, un’imperfezione che racconta e significa. 

È un urlo quello del regista iraniano, un urlo che può apparire strozzato, che non sembra dirci  nulla di straordinario. Perché non c’è nulla di straordinario nel desiderio delle cinque protagoniste del film. “Vedere la partita non è questione di vita o di morte”, dice loro un soldato, la partita è solo una piccola cosa. Poco più di niente eppure quasi tutto. La partita è una delle tante privazioni quotidiane che devono sopportare. L’insostenibile peso della loro situazione emerge attraverso la leggerezza degli strati che lo compongono. È un paradosso, quello della condizione femminile nella società iraniana, che Panahi ci mostra nella maniera più semplice possibile, attraverso dialoghi che nella loro evidenza didattica ne esprimono con chiarezza l’assurdità. Tutto è cosi “vero”, così apparentemente banale ma in realtà estremamente complesso, da assumere una dimensione surreale: la partita che si svolge a pochi metri dal loro sguardo e che non potranno mai vedere, la prigionia in un carcere che non c’è, i giovani carcerieri rinchiusi anche loro in uno mondo ingiusto dove tutto corre avanti e allo stesso tempo torna indietro.

Non c’è in Offside la riflessione profonda sul tempo e lo spazio cinematografico sui cui si costruiva Il cerchio. Qui è il tempo quasi reale della sua messa in scena a essere l’elemento portante di una  produzione di senso più immediato, ma per questo esteticamente non meno rilevante ed eticamente ugualmente necessario. Un “senso dell’emergenza” che trova espressione universale nelle immagini dell’attesa prima del fischio finale e poi in quelle conclusive della festa, dove il fuoricampo, la partecipazione al lato  pubblico della vita, viene finalmente concesso alle ragazze e a chi guarda. Sono bagliori in una notte ancora buia, tiepide luci che vanno accudite perché non si spengano. Nella comunione di una gioia “fisica” e “popolare” si annida l’evidenza dell’uguaglianza. Possiamo provare la stessa felicità e  lo stesso dolore, questo ci rende uguali nelle profondità dello stomaco, dove ci sono solo sangue e viscere, che non hanno sesso, razza o colore. È questo ciò che vogliono poter gridare le ragazze di Panahi festeggiando la vittoria dell’Iran sul Barhein. Come tutti, in mezzo a tutti, sentendosi finalmente qualcuno e non di qualcuno: di un padre, di un marito, di un fratello.

È ancora notte a Teheran, dove  Panahi non è più libero (ma è notte anche dove meno la si vuole vedere, a Lampedusa come nei campi rom sgomberati a Roma, Torino, Milano …), ma là fuori ci sono anche i fuochi di una festa, le lacrime di una donna, la speranza che qualcosa possa cambiare.

TITOLO ORIGINALE: Offside; REGIA: Jafar Panahi; SCENEGGIATURA: Jafar Panahi, Shadmehr Rastin; FOTOGRAFIA: Mahmood Kalari; MONTAGGIO: Jafar Panahi; MUSICA: Yuval Barazani, Korosh Bozorgpour; PRODUZIONE: Iran; ANNO: 2006; DURATA: 88 min.

 


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