L'uomo che verrà PDF 
Tiziano Colombi   

Secondo lungometraggio per il regista Giorgio Diritti, dopo il successo sotterraneo de Il vento fa il suo giro. Rifiutato al Festival di Venezia, L’uomo che verrà ha ricevuto a Roma il premio della giuria e quello del pubblico. Diritti racconta la strage di Marzabotto, l’eccidio di 770 civili commesso dai nazisti tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944 sull’Appennino bolognese. È una prima volta: se si escludono un paio di documentari, nessuno prima di oggi aveva provato a filmare questa storia. Dopo il melodramma hollywoodiano di Spike Lee sulla vicenda di Sant’Anna di Stazzema e il western nazista di Tarantino si torna a guardare la guerra in faccia.

L’azione del mondo contadino
Diritti non racconta la guerra, piuttosto una visione della guerra, quella che ne ebbero i contadini poveri dei monti intorno a Bologna. Minuziosa e artificiale la ricostruzione delle vita agra dei borghi e dei i focolai familiari retti dalla sagacia matriarcale e dalla rassegnazione degli uomini. Evidente la lezione appresa da un maestro come Ermanno Olmi. Tutto il film è raccontato dal basso attraverso gli occhi di una ragazzina, rimasta in silenzio dopo aver tenuto tra le braccia il fratellino morto pochi giorni dopo la nascita. Recitato in dialetto emiliano da un cast di ottimi interpreti, la pellicola ha tra le sue migliori qualità il lavoro sul tempo: scandito dal ritmo della vita contadina, depurato dalla retorica contrapposizione tra buoni e cattivi, tra eroi e antieroi, la storia di una strage diviene storia tragica di uomini che danno la morte e di uomini che subiscono la morte. I contadini osservano i belligeranti e ad essi lasciano l’azione, siano questi partigiani o tedeschi. Il mondo arcaico che rappresentano ha ben chiaro da quale parte stare, riconosce le motivazioni dei giusti, ma non comprende le ragione della guerra. Scrive Massimo Fini nel saggio Elogio della guerra “la guerra intesa, soggettivamente, come avventura ed evasione, che sarà propria delle civiltà più evolute (e, in esse, dei ceti più colti) fino ai nostri giorni è estranea al primitivo per la semplice ragione che l’esistenza quotidiana si presenta già sufficientemente faticosa, paurosa e rischiosa di per sé per sentire l’impulso di andare a cercare, di proposito, altre grane. Questa fatica di vivere è anche a parer mio uno dei motivi, e probabilmente il principale, per cui le donne, i contadini e, in parte, anche gli operai, sono stati i più refrattari alla guerra. Hanno altro, di più concreto, cui pensare”. I personaggi de L’uomo che verrà non combattono contro nessuno perché è la loro esistenza a pretendere la lotta. Diritti non spreca munizioni, e colpi di mortaio, l’azione è ciclica e lasciata quasi per intero al lavoro, eccetto che per le fughe degli uomini nel bosco e per la ferocia dello sterminio finale perpetrato dai tedeschi.

L’equivoco della guerra
Nelle molte interviste rilasciate per accompagnare l’uscita del film il regista ha più volte dichiarato “mi auguro che fra quattro secoli l’umanità parlerà delle guerre come di una pratica abominevole del passato simile al cannibalismo. La realtà odierna ci offre tutt’altra sensazione: forse l’uomo che verrà sarà anche peggio”. Lasciando da parte il dato inequivocabile della presenza costante della guerra nella storia, figlia di una innata propensione dell’uomo allo scontro come unico “mezzo” per appagare pulsioni vitali ed esistenziali, rimane aperto il discorso sulla sua utilità. La stessa strage di Marzabotto non è soltanto una conseguenza della guerra, ma è la rappresentazione più bieca di un’ideologia politica, il nazionalsocialismo, per fermare il quale si rese necessario il secondo conflitto mondiale. Per quanto possa apparire assurdo e terribile, la guerra ha svolto, lungo la tormentata storia umana, compiti che la pace non è stata in grado di assolvere: riequilibrio politico, ricambio delle classi dirigenti, calmierante demografico, fino all’essenziale progresso tecnico. L’abominio riconosciuto in pratiche come il cannibalismo non tiene conto del ruolo che questo aveva nelle società che lo praticavano. Si mangiavano i nemici, non i membri della propria comunità.

La finta pace
Nel titolo L’uomo che verrà era inizialmente prevista la presenza del punto interrogativo a testimoniare il poco ottimismo per ciò che stiamo diventando. È stato eliminato per lasciar spazio alla speranza. Nobile proposito o utopia? La guerra oggi è degenerata, complice lo spauracchio atomico, in sottospecie come la guerriglia, il terrorismo e la guerra civile. È mistificata da una terminologia ridicola del genere “intervento di pace” od operazione di “peace keeping”. La più grande potenza del mondo, gli Stati uniti d’America, ha da tempo adottato i cosiddetti droni, prodotti dalla General Atomics Areonautical System. Velivoli telecomandati a distanza in grado di volare per 22 ore di seguito a 15 mila metri di altezza. Mentre i militari statunitensi si addestrano nelle loro basi con il simulatore di pace UrbanSim, che permette “agli ufficiali statunitensi di provare le strategie e le tattiche antisommossa senza subirne le conseguenze nel mondo reale”, le macchine bonificano il terreno, eliminando nemici e civili in territori lontani senza che l’opinione pubblica internazionale ne venga informata e senza che coloro che subiscono l’attacco abbiano almeno la consapevolezza (diritto) di essere in guerra. Diritti nel suo film racconta l’orrore della guerra, la banalità del male osservato da Hanna Arendt, ma in definitiva mostra allo spettatore l’uomo, certamente la sua follia nel cercare e scovare nella sua stessa specie un nemico da eliminare, ma pur sempre uomo. La domanda è cosa ci aspetta dopo che i cannibali avranno smesso di mangiarsi gli uni con gli altri. Che sia l’annientamento invisibile della nostra stessa natura? Nemmeno un lucido guerrafondaio come Curzio Malaparte, nonostante la sua arrogante prosa retorica, si augurava tanto: “biasimatemi pure, ma io sono un uomo e amo la guerra. Io l’amo, come ogni uomo ben nato, sano, coraggioso, forte, ama la guerra, come ogni uomo che non è contento degli altri uomini, né dei loro misfatti”.

TITOLO ORIGINALE:
L'uomo che verrà; REGIA: Giorgio Diritti; SCENEGGIATURA: Giorgio Diritti, Giovanni Galavotti, Tania Pedroni; FOTOGRAFIA: Roberto Cimatti; MONTAGGIO: Giorgio Diritti, Paolo Marzoni; MUSICA: Marco Biscarini, Daniele Furlati; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 117 min.

 


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