Presentato in concorso al Berlino Film Festival nel 2009, valso un Orso d’argento come miglior attore al protagonista maschile, Sotigui Kouyate, scomparso lo scorso aprile, London River arriva nelle sale italiane (poche, a dir la verità) un anno e mezzo dopo. Tentando di demolire alcuni logori stereotipi sullo straniero, il regista Rachid Bouchareb, di origine algerina, si fa ancora una volta portavoce dell’Africa, come nei suoi precedenti film, e si propone di evidenziare, piuttosto prevedibilmente, il terreno comune che sta alla base di due ideologie così diverse come quella cristiana e quella islamica.
Il punto di partenza sono i tragici attentati che hanno colpito Londra il 7 luglio 2005, da cui Bouchareb prende le mosse per condurre una riflessione sulla differenza, esplicitando il suo intento sin dalle prime immagini: la sua opera vuole essere insieme una preghiera ed un confronto. Il taglio della narrazione è dato proprio da questo secondo elemento: procede a lungo giustapponendo esempi di cultura e religione (sotto forma di abitudini, comportamenti e formae mentis che da esse derivano) di un uomo e di una donna alla ricerca dei rispettivi figli, irreperibili dal maledetto “giorno delle bombe”. Il loro è un procedere incerto ed angoscioso in una metropoli pressoché sconosciuta ad entrambi e dall’effetto fortemente straniante. Per riassumere l’antipodica coppia di protagonisti: una donna e un uomo, una bianca e un nero, una protestante e un musulmano, un’europea che non ha mai lasciato la sua piccola isola e un emigrato africano, una vedova che non smette di piangere il marito anni dopo la sua morte e un uomo che ha praticamente abbandonato la famiglia. Tanto appare caricato il personaggio di lei, quanto viene esasperato quello di lui e, certo, non potrebbero essere più diversi di così. Sulle prime, lo spettatore non può che condividere l’incredulità di Ousmane, il padre del giovane scomparso, di fronte alla cieca diffidenza di Elisabeth, madre ferita ed imbarazzata dall’amara scoperta di non conoscere realmente la propria figlia, proprio nel momento in cui la sua sorte le appare dolorosamente incerta. Il fiume del titolo sembra scorrere fra di loro, separandoli nettamente, fino all’improvvisa costruzione di un immaginario ponte che permette ai due di avvicinarsi, anche se inutilmente. Senz’altro toccante, benché per certi versi decisamente scontato, London River è stilisticamente incline a privilegiare il confronto/scontro (da cui esce a testa alta l’anziano musulmano, ça va sans dire), ma l’interesse primario del regista è riscontrabile nella formulazione di un messaggio, una sorta di preghiera-monito che individua nella (madre)terra l’elemento unificante e densamente simbolico della vicenda narrata. Un riferimento alla terra che sembra richiamare, questa volta, la frase biblica “Polvere sei e in polvere ritornerai”, ma anche una visione panistica, un rifugio protettivo e consolatorio o un’idea riconciliante di uguaglianza alla base di tutte le creature.
Non si tratta certo di un film ricco di colpi di scena e, probabilmente, non vuole esserlo, ma sarebbe lecito aspettarsi di più da un’opera che non scivola nella love story, che si riferisce ad un soggetto così attuale e opta per un finale tutto sommato credibile. Invece London River non riesce a discostarsi dall’ordinario, non accantona la retorica e, una volta usciti dalla sala, non si fa ricordare per qualcosa in particolare.
TITOLO ORIGINALE: London River; REGIA: Rachid Bouchareb; SCENEGGIATURA: Rachid Bouchareb; FOTOGRAFIA: Jérôme Alméras; MONTAGGIO: Yannick Kergoat; MUSICA: Armand Amar; PRODUZIONE: Gran Bretagna/Francia/Algeria; ANNO: 2009; DURATA: 87 min.
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