Incontro con Alejandro Amenàbar PDF 
Anna Barison   

Incontriamo il regista cileno nella splendida cornice dell'Ara Pacis di Roma, in occasione della presentazione alla stampa del suo ultimo Agora. Un’opera che racconta la storia di Ipazia, filosofa del IV sec d. C. uccisa per le sue idee rivoluzionarie in campo scientifico e considerata, per questo, la prima martire della scienza.

Lei è sempre stato molto attento nella scelta dei suoi film. Ha affrontato temi importanti come quello dall’eutanasia (Mare dentro) o che vanno a toccare più da vicino il mondo del paranormale (The Others). Come si è avvicinato alla figura di Ipazia?

Dopo Mare dentro non mi sarei mai aspettato di esplorare l’antico Egitto e un’epoca che il cinema non ha mai affrontato, ovvero il primo periodo della cristianità, in un momento di transizione tra paganesimo e nuova dottrina cristiana. Sentivo l’esigenza di approfondire l’aspetto dell’astronomia, volevo scandagliare quella sorprendente connessione tra Scienza e Dio, tra leggi di natura e religione. Ho affrontato la scienza in modo spirituale, cercando di vedere se c’è un collegamento con Dio. Ipazia era una donna devota a modo suo, era devota alla scienza.

Che cosa l’ha colpita di più di questa figura?
La donna è stata discriminata e appartata per secoli, sempre lontana dai luoghi di studio e dal potere, l’unica missione a lei consentita era quella di procreare e stare all’ombra di un marito. Ipazia, invece, non si è mai sposata, anzi ha sposato la scienza. Lei vestiva come un filosofo e insegnava agli uomini, una cosa del tutto anomala per quel tempo. Insomma, una sorta di vestale della conoscenza che immolò la sua vita per degli ideali, per il sapere e soprattutto contro la tirannia di un mondo chiuso e fondamentalista.

Insomma una sorta di proto-femminista?
Lei era unicamente una studiosa, e in quell’epoca una donna non poteva assumere gli stessi comportamenti di un uomo. C’era una distinzione netta tra il mondo femminile e quello maschile e l’invasione di campo non era consentita. Credo che se Ipazia fosse stata un uomo non sarebbe morta nel modo in cui sappiamo.

Un film che è stato accompagnato da diverse polemiche visto l’approccio critico nei confronti dei primi cristiani. È stato questo il motivo per cui avete rimontato il film dopo il Festival di Cannes?
Il film è stato rimontato perché abbiamo visto la reazione degli spettatori, abbiamo capito che era più importante valorizzare la figura di Ipazia, eliminando, almeno parzialmente, l’aspetto politico. Quando iniziai a scrivere il film ero cosciente delle polemiche e delle controversie che avrebbe potuto sollevare in certi ambienti. Del resto racconto un’epoca storica piena di incertezze, ma il mio intento è sempre stato quello di non offendere i cristiani, denunciando piuttosto l’intolleranza religiosa che può scaturire da certe fasce estremiste. Ho affrontato questa storia con un occhio all’attualità, alle guerre di religioni tuttora presenti nel nostro pianeta e alla follia di chi uccide per un’ideologia. Quella storia non è poi così lontana da noi.

Come si è documentato per ricreare l'Alessandria D’Egitto del IV sec d.C., e soprattutto come ha analizzato un periodo storico di cui si hanno così poche notizie?
Per la realizzazione ho visto molti peplum, i famosi film in costume, ma non volevo che Agora ne fosse una copia. Volevo analizzare un aspetto più scientifico che storico. E poi ci siamo documentati con molti libri sull’argomento. Per esempio, io non sapevo nulla del Vescovo Cirillo (colui che ordinerà l’assassinio di Ipazia n.d.r), sapevo solo che era un santo cristiano, venerato soprattutto nei paesi dell’Est Europa. Avvicinandomi alla storia ho scoperto il resto, il clima di violenza e le lotte tra cristiani e pagani, ma non volevo soffermarmi troppo su questi episodi negativi, e in effetti la violenza che ho mostrato è molto inferiore rispetto a come sono andate veramente le cose. Per quanto riguarda la ricostruzione della città, elaborazioni al computer e scenografie hanno fatto il resto. Abbiamo rimesso in piedi l’antica Alessandria per ottenere un effetto più realistico, volevamo fare un viaggio nel passato, e questo è stato possibile grazie ad uno sforzo produttivo notevole.

Lei che rapporti ha con la religione?
Io ho fatto delle scuole cattoliche e conosco bene il cattolicesimo e i suoi insegnamenti. E se con The Others ho mostrato il mio agnosticismo, ora posso dire di essere ateo, perché non credo ci sia un’entità superiore, io credo solo nelle leggi di natura, in un’armonia che regola il cosmo e che si autogoverna da sola.

Qual è il senso profondo di questo film?
È un film profondamente cristiano nei valori, in cui tra l’altro io mi riconosco nonostante il mio ateismo. Ipazia è una martire come Gesù Cristo, come lui è morta per un ideale e per il bene della conoscenza e degli esseri umani. La pietà e la compassione sono valori cristiani che Ipazia non ha mai conosciuto, lei ha avuto solo a che fare con il fondamentalismo di una società chiusa e oppressiva. Una storia che non si discosta molto dalle aberrazioni del nostro presente e questo forse è l’aspetto su cui riflettere maggiormente.

 


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