L’incubo di Natale: da Vincent a Nightmare Before Christmas PDF 
di Maria Viteritti   

Vincent e Halloween

Halloween e Natale, Halloween è Natale. La formula vale per l'intera produzione di Tim Burton. Non c'è una sola opera, comprese quelle in cui il riferimento esplicito è assente, che resti aliena all'iconografia in qualche modo dicotomica delle due feste dedicate all'infanzia americana. Un'opposizione, quella tra luce e oscurità, evidente in tutta la filmografia del regista, anche nelle opere di animazione Nightmare before Christmas e Vincent, cortometraggio misconosciuto che segna il suo esordio, lavori in cui, anche se con responsabilità differenti, la poetica di Burton entra prepotentemente.

Tim Burton entra a fare parte della Disney nel 1979, grazie a un progetto d'animazione realizzato alla CalArts, scuola di belle arti che prevede un corso per futuri cartoonist alla casa di produzione. La passione per l'arte grafica e per la magia del movimento allo stile di Mèlies (l'amore per un trucco artigianale, e dunque intimamente vero, come la stop-motion non lo abbandonerà mai), sfociano in Vincent (id.), cortometraggio di sette minuti realizzato nel 1982.

Scenografie che sembrano attingere abbondantemente alla tradizione espressionista tedesca (1), ma che in realtà non sono che la trasposizione di un'atmosfera favolistica ereditata dai film di Corman e dai libri per l'infanzia del Dr. Seuss, fanno da corollario alle avventure di Vincent Malloy, un bambino di sette anni che sogna di essere Vincent Price. Primo esempio di alter ego di Burton, lo stralunato protagonista del film apre una tradizione solo a partire dal nome, rendendo esplicito omaggio all'idolo del cineasta, a cui è dedicata la storia. E così facendo anticipa una tabella di marcia identica a quella seguita dalle fiabe tradizionali europee, nelle quali personaggi come Pollicino, Cenerentola o Biancaneve trovano il proprio destino scritto sul registro dell'anagrafe. Aspirazione di Vincent è comunque quella di condividere con il proprio idolo qualcosa di più del semplice nome. Di qui ha inizio una serie di macabri giochi ispirati ai racconti di Edgar Allan Poe, in una spirale vorticosa che fonde realtà e immaginazione fino all'irreversibile "trauma" finale. "Nevermore" è il monito con cui lo stesso Vincent Price, voce narrante della pellicola, chiude la storia, citando i versi finali della poesia di Poe, Il Corvo (The Raven, 1844-1849). Monito che, pur sottolineando l'incompatibilità basilare tra le due istanze, il mondo reale e quello personale, si fa esplicita dichiarazione d'intenti.

Vincent sceglie il proprio universo.

Vincent sceglie di non scegliere la realtà imposta dagli adulti, sceglie di vedere una prigione al posto della sua cameretta, sceglie di vedere una statua di cera al posto della zia, un sepolcro al posto dell'aiuola cara alla mamma. Nonostante questo, il trauma che porta il ragazzo ad addormentarsi sul pavimento, schiacciato sotto il peso dei propri incubi, non è voluto e l'immaginazione resta l'unica salvezza a cui il ragazzo possa aspirare. Le giornate di ordinaria follia, che cerca di eludere inventando lugubri situazioni, sono ben più truci delle storie raccontate nelle pagine di Poe. La vita familiare scandita dai rimproveri della madre e dalle visite delle zie sono il vero incubo di Vincent-Tim (non è certamente un caso che l'aspetto pallido e i capelli arruffati del bambino siano tanto simili a quelli del creatore, nonostante la sua ostinazione a negarlo). La scossa che a un certo punto investe Vincent, il turbamento suscitato da un racconto nel quale la sposa del protagonista si scopre sotterrata viva (2), riporta a galla una difficile esperienza infantile vissuta da Burton.

 

Ricordo che quando ero molto piccolo, nella mia camera c'erano due belle finestre che guardavano sul prato; per qualche motivo i miei decisero di murarle, e aprirono invece una finestrella stretta e alta, per raggiungere la quale dovevo arrampicarmi sulla scrivania. Ancora oggi non so perché lo fecero, forse dovrei chiederglielo. In ogni caso, io associai l'episodio al racconto di Poe nel quale il protagonista viene murato e sepolto vivo. Erano queste le mie forme di collegamento col mondo circostante(3). Le stesse, cioè, utilizzate da Vincent.

Come attestano le parole di Burton, l'esistenza reale si fonde continuamente con quella immaginata: non solo per il rimando a Poe originato dall'esperienza infantile, ma anche per la vaghezza che circonda il resoconto di quell'episodio (l'ossessione di una morte prematura attraversa l'intera produzione dello scrittore di Baltimora, non soltanto un racconto). Scegliere tra le due parti in gioco, del resto, è il vero problema per i piccoli diversi: il trauma, infatti, si identifica per i bambini burtoniani in una situazione di svolta, un bivio spesso sofferto ma talvolta desiderabile, in quanto via d'uscita dalla realtà. E' questo il caso di Vincent, che preferisce finire preda dei propri incubi piuttosto che uscire a giocare alla luce del sole.

Jack e il Natale

Nightmare Before Christmas è considerata una delle opere più rappresentative di Burton, nonostante la sua decisione di affidare la regia a Henry Selick. Le dichiarazioni del cineasta mettono ancor più in evidenza il valore che l'opera avrà anche in relazione alla produzione successiva.

Nightmare Before Christmas è il film che più di ogni altro sento nel cuore. E' più bello di quanto avrei mai immaginato. Questo grazie a Henry e al suo talentuoso gruppo di artisti, animatori e designers. Appena l'ho visto, ho saputo che non proverò mai più la stessa sensazione. Nightmare Before Christmas è speciale. E' il film che ho sempre voluto vedere. Ora posso farlo. E' valsa la pena di aspettare. Penso che esistano pochi progetti così nella vita di ognuno (4).

Il progetto in stop-motion, realizzato nel 1992, è infatti la concretizzazione di un'idea coltivata da Burton sin dai tempi dell'esordio alla Disney. Un parto della durata di tre anni, il cui frutto è il re delle zucche Jack Skellington, un diverso che può manifestare la propria supremazia solo nel tenebroso regno di Halloweentown. All'inizio della storia, Jack si imbatte in alberi i cui tronchi contengono le porte d'accesso alle feste. Su di esse andrebbe in realtà applicato un divieto d'accesso che incombe su qualsiasi tentativo di conciliare i due mondi. La violazione di questo divieto porta ad un inevitabile caos, che può essere risolto solo col ritorno sui propri passi. E' quanto, del resto, accade allo stesso Burton, che riesce ad affidare la produzione del film anti-disneyano per eccellenza alla stessa Disney, travestita – proprio come per la notte di Halloween – da Touchstone Pictures. In Nightmare assistiamo alla momentanea fusione tra l'immaginario disneyano, incarnato in Christmastown, e quello burtoniano della Halloweentown in cui si muove Jack Skellington. L'appartenenza del regista al regno delle tenebre sarebbe stata ancora più esplicita se fosse andata in porto l'idea iniziale di utilizzare la testa di Burton stesso al posto del disco da hockey con cui gioca un gruppo di vampiri nel corso del film. Un ragazzo che ha trascorso la propria infanzia trovando come solo conforto il giocare nel cimitero vicino casa non può in alcun modo inserirsi nella lunga tradizione natalizia attinta da Dickens a partire dalla versione animata targata Disney di Racconto di Natale.

L'incomprensibilità di base tra i due mondi è rappresentata dall'incapacità di Jack e dei suoi concittadini di comprendere il vero nome delle cose. Santa Claus si trasforma in Sandy Claws (5), e le sue buone intenzioni vengono interpretate dai sudditi di Jack come una sorta di scherzo collettivo alternativo a Halloween. Nonostante lo stesso re delle zucche porti avanti una serie di esperimenti scientifici, cercando di comprendere il Natale con l'ausilio della logica, ogni tentativo di fare luce sulla ricorrenza fallisce miseramente. In Nightmare Before Christmas, ogni personaggio si muove spinto da uno spirito in qualche modo altruista, come gli abitanti di Halloweentown, che desiderano solamente donare una buona giornata alla collettività.

L'incapacità di fare chiarezza su un mondo fasullo come quello caratterizzato dai festeggiamenti natalizi lascia così posto ad una convivenza forzata ma sofferta, che costringerà Jack e Santa Claus a tornare confinati nei propri regni. Nel libro illustrato da Burton, alla base del film, la solitudine finale del Re delle zucche evidenzia ancor più l'impossibilità di instaurare elementi di raccordo. La neve che cala su Jack mentre siede deluso per il fallimento dell'impresa accanto a Zero sarà l'ultimo contatto tra i due mondi, prima del dovuto distacco. In una zona diametralmente opposta all'incubo di Natale, si colloca il sogno di Halloween, luogo in cui la diversità burtoniana diventa normalità a tutti gli effetti.

La notte del 31 ottobre è un territorio di confine verso il sogno, verso il fantastico, che si apre solo a chi è capace di perseguire i sogni più reconditi. Del resto, il desiderio di Jack di fuggire da Halloweentown è dettato non tanto dall'interesse verso il Natale, ma dalla paura di omologazione, la stessa che regola il mondo normale. E' stato notato come ciò che davvero spaventa Jack è la possibilità "di rimanere per sempre prigioniero di un personaggio con un'unica caratterizzazione, ogni anno allo stesso giorno" (6). Natale finisce per essere identificato come mondo fasullo della vita di massa, Halloween è territorio reale dell'interiorità individuale. Halloween è, altresì, la terra in cui nasce ogni singolo personaggio di Burton.

(1) Burton ha dichiarato espressamente di non avere mai visto Il Gabinetto del Dottor Caligari prima della realizzazione di Vincent. Il regista afferma anzi di avere assistito al capolavoro espressionista di Robert Wiene soltanto in anni recenti, mentre all'epoca di Vincent, il solo contatto col film era stato quello fornito da immagini presenti nei "libri di mostri" (cfr. Ken Hanke, Tim Burton, Una biografia non autorizzata, Lindau, Torino 2001, p.46).
(2) Il riferimento è, in realtà, un omaggio a Il Pozzo e il pendolo (The pit and the pendulum, 1961) di Roger Corman, regista che in Burton fa da filtro alla fruizione letteraria di Poe.
(3) Mark Salisbury, Il cinema secondo Tim Burton, Pratiche, Parma 1995, p. 28.
(4) Tim Burton, Frank Thompson, Tim Burton's "Nightmare Before Christmas": The Film, The Art, The Vision, Hyperion, New York, 1993, link su
http://www.halloweentown.org.
(5) "Babbo Nachele" nella versione italiana del film.
(6) Michele Marangi, Welcome to the dark side, "Garage", Paravia-Sciptorium, Torino 1999, p.85.

 


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