Soffio PDF 
Davide Morello   

ImageKim Ki-duk prosegue per la sua strada: approfondisce la sua poetica analizzando i moti interiori e le tensioni che animano i suoi personaggi rinchiusi in un mondo opprimente, visivamente ermetico e sospeso in un’atmosfera magica. Non esiste la manichea scissione fra bene e male, tutti sono colpevoli e innocenti, vittime e carnefici, e tutti compiono un percorso di espiazione fatto di ripetitivi rituali serrati in una struttura narrativa circolare. Attraverso un linguaggio corporeo fatto di gesti, sguardi e silenzi, un linguaggio degli oggetti, di dettagli, fuoricampo, lacune, pause narrative e metaforici accostamenti, prendono vita quelle pulsioni sessuali e di morte che scandiscono le dinamiche relazionali dei protagonisti. Il regista mette i personaggi di fronte ai loro conflitti e sta a guardare, senza mai giudicare, come il muto riflesso dell’emblematico sorvegliante del carcere, che tutto manovra e osserva, partecipe e freddamente distaccato.

ImageLa donna tradita dal marito si reca in carcere per far visita al suo ex fidanzato che attende di essere giustiziato e che ha appena tentato il suicidio infilzandosi nella gola un oggetto tagliente. Il guardiano le impedisce di entrare, ma attraverso la telecamera di sorveglianza il direttore la scorge, zoomma sul suo volto e le concede l’incontro con il detenuto. Inizialmente separati dal vetro del parlatorio, controllati da un secondino e spiati dal direttore, in una serie di incontri, si ritrovano all’interno di una cella, sempre più a contatto, fino al gesto estremo dell’amplesso coniugato ad una componente sadica e lesiva. L’uomo cerca di divincolarsi dalla donna nel pieno dell’atto sessuale, mentre lei gli morde la lingua col rischio di soffocarlo. Gli incontri avvengono all’insegna di un percorso stagionale nel quale ogni volta lei fodera con carta da parati la cella, rievocando i vari paesaggi. Solo l’inverno non necessita di ricostruzioni, la freddezza dell’ultima fase dell’anno è l’unica a coincidere con il tempo esterno alla prigione, quello reale, e non con lo stravolgimento e la condensazione temporale soggettiva attuata dalla protagonista, che lotta contro il tempo e quindi contro la morte. L’inverno sancisce la fine degli incontri, il ricongiungimento familiare e l’imminente corso della giustizia, continuamente rinviato e dilatato sin dalle prime battute del film.

ImageSi viene a delineare così uno spazio essenziale, limitato, che rinchiude i personaggi attraverso le sbarre, le pareti, le superfici divisorie, anche nell’abitazione della coppia, che non è altro che il doppio del carcere. Uno spazio privilegiato nella filmografia dell’autore: da Crocodile a Ferro 3 a The Bow la prigione è una costante, “…la miniatura del mondo in cui viviamo” dice Kim Ki-duk. Lo spazio chiuso è anche dinamico e articolato in funzione di una soggettività, di una dialettica fra il vedere e il non vedere, in cui l’atto dello spiare è ancora una volta l’elemento strutturale del racconto, come in Bad Guy, Birdcage Inn, L'isola, Ferro 3, o The Bow, per citare le pellicole più significative. Il sorvegliante che guarda, appunto, osserva, ma non si vede, e spegne il monitor quando fa irruzione il marito della protagonista; oppure il furto delle fotografie nella cella da parte dei detenuti, compagni di Jang Jin, che a più riprese giungono alle spalle e pongono le mani davanti ai suoi occhi: una sorta di rovesciamento rispetto all’onniscienza del protagonista di Ferro 3. La valorizzazione del fuoricampo, la centralità drammatica nel reiterato tentativo di suicidio a lato dell’inquadratura, che vede irrompere schizzi di sangue. Come non ricordare l’effetto procurato in Samaria da quel piano di ripresa in cui il padre di famiglia si getta dal balcone?

ImageLo spazio della comunicazione verbale unilaterale. Vi è come una simmetria del silenzio nella quale lei è muta con suo marito e si trova ad intraprendere monologhi di fronte al suo amante, liberandosi addirittura nel canto. Silenzio che inevitabilmente accentua l’alone di mistero che avvolge la narrazione e le sue specifiche modalità espressive. Assenza di dialoghi, parole sospese senza risposta che lasciano spazio ad un linguaggio del corpo, all’ambigua naturalezza, ed esaltano il carattere polisemico dell’immagine. Il corpo e gli oggetti che investono una produzione di senso che lavora sulla metafora, sulla metonimia, e che riconduce alla peculiarità della composizione dell’immagine, della sua articolazione sintagmatica e del suo potere evocativo, proprio del cinema di Kim Ki-duk. Il fermaglio per capelli, le creazioni scultoree della donna, la doppia funzione dell’artigianale scalpello utilizzato per incidere il muro e per recidere la gola del recluso, le fotografie, che dalle mani della donna passano a quelle del secondino, per poi essere rubate dai compagni di cella. Anche l’ultima di queste, che viene consegnata dal marito della donna che la strappa dalle sue mani quando lei la sta per bruciare. Tutti oggetti che, insieme ad altri, assumono esplicitamente la loro rilevante funzione narrativa e simbolica.

ImageE simbolico è il ciclo delle stagioni che rinvia indubbiamente al film dei due monaci, il percorso di redenzione di sesso e morte che pervade tutte le pellicole del regista e che si articola narrativamente secondo principi di rime, simmetrie, ripetizioni e variazioni, anche a livello intertestuale, nella continua sperimentazione di un linguaggio e di una poetica tanto scientifica, e razionale, quanto istintiva, spirituale o magica. Dice Kim Ki-duk: “penso a tutte le discipline: scienza e religione sono la stessa cosa.
 

Per approfondimenti:

D. Morello, Kim Ki-duk, Cafoscarina, Venezia, 2006

 

 

Scheda film

TITOLO: Soffio; PAESE: Corea del Sud; ANNO: 2007; REGIA: Kim Ki-duk SCENEGGIATURA: Kim Ki-duk; MONTAGGIO: Wang Su-an; FOTOGRAFIA: Sung Jong-moo; MUSICA: Song Myung-chul;DURATA: 84'

 

 


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