Non è un paese per vecchi: non è un paese per nessuno. PDF 
Paolo Parachini   

I fratelli Coen sono due smile. Ci guardano sorridere mentre assistiamo alla sequenza della moneta tra un grandioso Javier Bardem e un minuscolo commesso di provincia. Se avete fatto attenzione, appese alla parete, a destra della finestra dietro il commesso, due spille (o adesivi) smile “guardano in macchina”. Ci ridono addosso, consapevoli che non vorremmo mai, noi poveri spettatori, ritrovarci al posto di quel povero commesso. Edmund Burke (1727-1797, filosofo britannico) parlando di sublime intendeva l’assistere al pericolo e all’orrore con la sicurezza di esserne a distanza. I Coen riescono in questo intento: il rapporto tra lo spettatore e Non è un paese per vecchisi risolve nell’imperante desiderio di vedere la violenza di Anton Chigurh sapendo di starsene seduti al sicuro sulle proprie poltroncine.

Sorridete, cari fratelli Coen, in questo caso potete permettervelo. Oltre a questa piccola summa d’intenzione registica, che è quella appunto di sviluppare nello spettatore il piacere perverso di vedere sulla scena Chigurh, un piacere che deriva dall’angoscia che ci trasmette, nella speranza di non incontrarlo nella realtà ma di goderne la presenza sulla schermo, c’è dell’altro. Quella sequenza è anche, forse, culla di buona parte del significato del film. E’ la linearità dell’esistenza del vecchio anziano texano contro la fasulla casualità del giovane psicopatico. La moneta di cui il killer si serve è inutile, la casualità nel film non esiste: Anton Chigurh decide, Javier Bardem esegue. E’ addirittura immune al caso, la forza della sua violenza lo rende immortale, invincibile: è il male che non verrà mai sconfitto.

Anche lo sceriffo Ed Tom Bell (Tommy Lee Jones) sa che quel male non può essere sconfitto, e quando se ne rende conto non cercherà più di catturare Anton Chigurh, ma la priorità sarà salvare Llewelyn Moss (Josh Brolin). Lo sceriffo è un personaggio chiave del film, in quanto mediatore. Tra lo spettatore e l’inseguimento del gatto e del topo con il formaggio da due milioni di dollari, c’è lui, Tommy Lee Jones. Saltuario, a volte dubbioso, a volte inutile, fa il suo commento, che è apparentemente quello di un personaggio che non conosce gli eventi principali. In realtà i suoi interventi non si riferiscono a ciò che accade, nella diegesi, al gatto e al topo, e non sono nemmeno quelli di un investigatore all’oscuro della completezza degli eventi. Lo sceriffo conosce quella situazione perché simile, nell’essenza ma non nelle modalità, a tante altre. Ci riporta coi piedi per terra, perché ha in sé la saggezza dei padri (i vecchi) e la conoscenza dello scrittore, o del regista, sul totale della sua opera. Il finale, bellissimo, è lo scrittore che appoggia la penna, il regista che spegne la macchina da presa, senza preannunci, dopo essersi svuotato l’anima. Tommy Lee Jones, nel suo monologo drammatico conclusivo parla proprio della fine: un sogno dove raggiungere chi ci ha preceduti illuminandoci la strada.

Non è un paese per vecchi è il buono (lo sceriffo Ed Tom Bell), il brutto (Llewelyn Moss) e il cattivo (Anton Chigurh) che si scontrano al posto di collaborare, è un mucchio di selvaggia violenza, e sopravvivenza, in cui, al Peckinpah sabbioso, si mescola quello di Cane di paglia, quello della violenza ingiustificata dove, tra l’altro, si muovono loschi figuri con quella tranquilla e rassicurante pettinatura irlandese che un certo Anton Chigurh sfoggia con altrettanta “rassicurante tranquillità”.

 


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