Colpo d'occhio PDF 
Davide Vanni   

ImageRoma: negli spazi di una mostra d’arte Gloria (Valeria Puccini) conosce il giovane scultore Adrian Scala (Riccardo Scamarcio). L’intenso e immediato amore per il promettente artista costringe la donna a lasciare Pietro Lulli (Sergio Rubini), un acclamato critico d’arte, suo “maestro” ed amante. La produzione artistica di Adrian cresce insieme alla felicità della giovane coppia, ma cresce anche l’ombra del “maestro”, del possibile ponte per il successo professionale. Un’ombra che incombe sempre più minacciosa. Adrian inizia a frequentare la casa di Pietro e a “sottomettersi” al suo potere senza più prestare tante attenzioni a Gloria. Quando quest’ultima si avvede della verità, di come dietro alla vita di lei e di Adrian ci siano le intenzioni manipolatorie di Pietro, cerca disperatamente di convincere colui che ama ancora ad allontanarsi dal “maestro”, ma l’artista, ormai accecato dalla vicina meta della realizzazione personale, ignora le parole di Gloria ed anzi vede in lei soltanto un ostacolo per il prosieguo della propria carriera. Nella concitata dinamica del finale Adrian sembra aver recuperato la ragione, ma fatalmente gli eventi hanno preso una direzione verso un finale drammatico.

Dalle stanze vuote di un edificio dall’architettura moderna una voce forte e decisa scandisce una sorta di premessa all’“opera” cinematografica i cui fotogrammi hanno da poco iniziato a susseguirsi sullo schermo. La voce si muove salendo e scendendo lunghe le scale, percorrendo ampie sale dalle grandi finestre. “Pensatela come un’opera. Parteciperà ad un solenne spettacolo in tre atti. Pensatela come un’opera lirica.” Tra la voce, il movimento e gli spazi si inseriscono a poco a poco brevi sequenze che ritraggono le varie fasi di trasformazione della materia grezza di un ipotetico artista attraverso colate, fusioni, tagli e l’uso di scalpelli, come se l’iniziale forma teorica (una premessa aristotelica) necessitasse di una controparte più vicina alla pratica (quella del lavoro concreto). Rubini getta così le basi per il suo ultimo lavoro, e lo fa in prima persona (doppiamente regista) nei panni di Pietro Lulli, un importante personaggio della realtà artistica contemporanea. Lo fa rivolgendosi direttamente ad un “voi” che rappresenta più il pubblico in sala che non la schiera di giornalisti accorsa alla sua introduzione sulla futura mostra d’arte contemporanea di Berlino. La storia inizia con un vestito confezionato con cura, non c’è che dire, una vera e propria fondazione che sarà destinata a rimanere inchiodata a lungo nelle menti degli spettatori. Da qui si parte: il mondo è quello dell’arte e di arte sentiremo parlare. Subito dopo l’introduzione fanno il loro ingresso Adrian, il promettente scultore, e Gloria, la giovane allieva di Pietro. I due si conoscono, parlano, si sfiorano, si innamorano nello spazio espositivo di una mostra d’arte mentre dall’alto di una scala Pietro li osserva preoccupato. Una posizione che letta simbolicamente e psicologicamente potrebbe svelare l’intera dinamica della vicenda narrata: un triangolo in cui uno dei vertici è in posizione dominante, sebbene più lontana rispetto agli altri due. Un gioco a tre perfettamente strutturato dove si incontrano potere, desiderio di successo e amore.

Rubini sembra percorrere una nuova strada cinematografica lontana dal folklore meridionale e più vicina alla drammatica realtà psicologica degli uomini e, soprattutto, all’arte. Ma se la confezione e le premesse appaiono a prima vista di ottimo auspicio, mancano quelle caratteristiche fondamentali per una completa riuscita di un’opera imperniata sulla psicologia: la credibilità, la profondità dei personaggi, l’equilibrio delle forze. Ai molti passaggi bruschi all’interno della pellicola fanno eco le incertezze e le debolezze dei protagonisti. Così, il personaggio di Gloria appare da subito privo di energia (quasi finto), quello di Adrian troppo incoerente, quello di Pietro troppo stereotipato. Tutto questo ricade sullo spettatore spesso disorientato da un film che per di più cerca di percorrere generi diversi (il dramma, il giallo, il thriller) senza però avere in sé la forza e l’equilibrio per affrontarne uno solo. Esemplare, in tal senso, la scena finale. Gloria e Adrian si danno appuntamento agli scavi di Roma per una possibile “resa dei conti”. In uno spazio desolato dove il vento fa sollevare la polvere delle macerie si rincorrono le voci dei due giovani. Una sequenza dalle reminiscenze western, tanto più che la scena si chiude con lo sparo di una pistola e il corpo di Adrian che cade a terra esanime. Nonostante le buone intenzioni di Rubini, che qualitativamente porta a termine una buona opera dal punto di vista estetico-registico, è il caso di ricordare l’antico adagio “l’abito non fa il monaco” per sottolineare come un’opera debba essere curata in tutte le sue parti, non solo quelle più appariscenti.


TITOLO ORIGINALE: Colpo d’occhio; REGIA: Sergio Rubini; SCENEGGIATURA: Carla Cavalluzzi, Angelo Pasquini, Sergio Rubini; FOTOGRAFIA: Vladan Radovic; MONTAGGIO: Giogiò Franchini; MUSICA: Pino Donaggio; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2008; DURATA: 110 min.

 


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