Sedersi in poltrona e non aspettarsi niente è sempre meraviglioso, specie se quando ci si alza è possibile affermare: “mi sbagliavo”. Bastano pochi secondi, sopracciglia aggrottate e occhi a fessura, per capire che sì, quel tizio che salta da un tetto all’altro e poi si fa ammazzare dopo 3 minuti è veramente Sawyer (Josh Holloway), quel Sawyer che tutti abbiamo odiato e poi amato nel corso delle sei stagioni di Lost. Perché J.J. Abrams ci sguazza in queste cose, e ogni volta che Bad Robot mette le mani su un film la strizzata d’occhio è d’obbligo (o ci siamo dimenticati il simbolo della Dharma Initiative all’apertura di Cloverfield?)
Il franchising di Mission: Impossible sarà anche datato (sedici anni dall’uscita del primo film), ma non smette di regalare emozioni, grazie anche ai registi che si sono cimentati nell’impresa dal 1996 ad oggi. E ci pare bizzarro che dietro questo capitolo della saga si celi il maestro del cartoon Brad Bird (The Incredibles e Ratatouille), che con il suo personalissimo tocco ha ri-trasmesso vita a un filone che pareva ormai morto e sepolto dopo il suo terzo, insipido episodio. Invece no. La scelta del cast è puntuale e risoluta al punto che il vecchio zio Tom (Cruise) funziona, affiancato com’è da tre personalità corpulente a livello di carisma: Simon Pegg e il suo aplomb britannico sono la chiave di volta di questo Protocollo Fantasma, che ci mostra l’umanità dietro ai suoi eroi, un po’ come accadde al caro vecchio Bond in Casino Royale; Jeremy Renner è una spia insicura e fragile che schiva l’azione sul campo poiché tormentato dai sensi di colpa; mentre Paula Patton sarà pure bella e sexy, ma rimane un’attrice “con gli attributi” (Déjà Vu e Precious in testa), che non ci pensa due volte a scaraventare giù dai 160 piani del Burj Khalifa (il grattacielo più alto al mondo) una biondina mangia diamanti. Solo per vendetta. Ethan Hunt è veramente cambiato, invecchiato forse (comincia a farsi male quando cade, un po’ come l’ultimo Indiana Jones di Spielberg), ma non tramontato. Finita la fase dello sciupafemmine (niente baci in questo film, o quasi), trovato il look definitivo (capello lungo, selvaggio, come in MI:2 di John Woo), Cruise si trova alle prese con la missione più difficile, quella contro il suo passato: lo scopriamo innamorato al punto da sacrificarsi per il bene di sua moglie, lo osserviamo titubante di fronte a quelle imprese che un tempo avrebbe raccolto come sfide (“arrampicarsi sui vetri” in questo film non è soltanto un modo di dire...) e lo compatiamo quando prende a pugni il telefono che avrebbe dovuto esplodere come da tradizione (“questo messaggio si autodistruggerà entro 5, 4, 3, 2 ...”) e che invece non è più reattivo come agli albori. Un film dinamico e maturo che offre spettacolarità, azione, ma soprattutto un’inedita ironia che sorprende molto più del Kremlino che salta in aria o della tempesta di sabbia che oscura Dubai. E se ormai raccontare la lotta fra il bene e il male non è più una novità, l’altalena del climax (che alterna il picco di eventi negativi alla resurrezione trionfante del finale) è costruttivamente interrotta da numerosi flashback che ci offrono una chiave di lettura nuova, proprio quando pensavamo di aver capito tutto.
In conclusione, Mission: Impossible 4 è una pellicola che accontenta i fan e le nuove reclute, i mariti e le mogli, gli adulti e gli adolescenti. E se ciò può considerarsi talvolta un limite, diventa in questo caso la reale forza di una storia che credevamo avesse già detto tutto e che invece, apparentemente, ha ancora parecchie cose da raccontare.
Titolo originale: Mission: Impossible - Ghost Protocol; Regia: Brad Bird; Sceneggiatura: Josh Appelbaum, André Nemec; Fotografia: Robert Elswit; Montaggio: Paul Hirsch; Scenografia: James D. Bissell; Costumi: Michael Kaplan; Musiche: Michael Giacchino; Produzione: Paramount Pictures, Skydance Productions, Bad Robot, FilmWorks, Stillking Films, TC Productions; Distribuzione: Universal Pictures International Italy; Durata: 133 min.; Origine: USA/Emirati Arabi, 2011
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