Trionfo e sconfitta della volontà: Ernesto Guevara secondo Steven Soderbergh PDF 
Umberto Ledda   

Come accade puntualmente nella filmografia di Steven Soderbergh, anche Che è un'opera di cui è più facile dare una descrizione in negativo piuttosto che una in positivo. Molte sono le considerazioni che vengono istintive su ciò che il film non è e non racconta, piuttosto che viceversa. Che prima di tutto non è un biopic, un film biografico. Estremamente ellittico per quanto riguarda il percorso dell'esistenza di Ernesto Guevara, racconta due spezzoni distanti della sua vita, tralasciando tra l'altro tutti i momenti della formazione e i lunghi anni della permanenza cubana, degli incarichi politici, del problematico rapporto con l'Unione Sovietica, della Baia dei Porci e della Crisi dei missili, oltre che della fallimentare lotta congolese: rimangono, di tutta la vita di Guevara, soltanto la grande vittoria (Cuba) e la grande sconfitta (Bolivia). Trattandosi di un film che si fonda su un lavoro di ricerca monumentale, e che fa tesoro di questa ricerca in ogni inquadratura, la stessa comprensione del contesto delle azioni risulta difficoltosa: Soderbergh non si preoccupa di illustrare i nessi che portano alle azioni del suo protagonista, né di introdurre i personaggi minori, che pure ebbero – e hanno nel film – un ruolo importante nella vita di Guevara. Non è, quindi, né un film sulla vita di Guevara né un film sulla rivoluzione cubana e sul successivo tentativo di diffusione della guerriglia nel continente sudamericano. Ci sono i gesti e le azioni, mai il processo che ha portato al loro compimento.

D'altra parte, Che non è nemmeno un ritratto: poco o nulla trapela dell'umanità di Ernesto Guevara. Non i suoi sentimenti né i dubbi, mai nemmeno accennati da una regia che rimane a guardare, con insisitita oggettività, le azioni di un uomo in situazioni quasi solo comunitarie e mai intime. Non ci sono gli amori di Guevara e non ci sono le amicizie: il rapporto con la moglie che gli diede tre figli è tenuto in disparte, quello con Castro si riduce agli ordini impartiti, quello con Cienfuegos agli scherzi e al gioco. E se il film di Soderbergh non è un ritratto, nemmeno si tratta di un'analisi delle dinamiche che portarono Guevara a diventare un mito: la macchina da presa è così addossata alla sua figura da rendere impossibile intuire la percezione che chiunque al di fuori della ristretta cerchia dei suoi compagni avesse di lui. Non è un'agiografia, perchè mostra un personaggio di grandi qualità ma troppo freddo e distante per creare nello spettatore una qualsiasi forma di empatia (anche la messinscena mostra Guevara per particolari, senza mai indulgere nella posa eroica nè nell'estetizzazione); e nemmeno è una critica, in quanto elimina dalla messa in scena tutte le zone d'ombra del suo personaggio, concentrate nel periodo cubano che andò dal 1960 al 1965, la cui messa in scena avrebbe potenzialmente offuscato l'immagine consolidata di Guevara come santino eroico dell'antimperialismo. Che è un film fatto di eroismi che sembrano sempre fuori campo, di tempi morti e di difficoltà, di vittorie che sembrano compiersi da sole (Cuba) e di sconfitte di cui non è dato afferrare l'entità e la motivazione (Bolivia), di gesti, fatti, azioni prive di un contesto esauriente. Un film di ellissi: narrative, temporali, emotive, ideologiche. È un film freddo, apparentemente non partecipato, privo di retorica e di interpretazione: Soderbergh sembra volersi eclissare dalla messinscena, evitando di dare al materiale una qualsiasi direzione interpretativa, mostrando un'immagine del Che che se da una parte epura i gesti meno eroici del suo protagonista, dall'altra evita di creare una vera e propria immedesimazione epica da parte dello spettatore, offrendogli un personaggio umano ma mai rappresentato nella sua psicologia, sfuggente e talvolta vagamente antipatico come lo fu il Guevara reale, che della sua argentinità manteneva un certo atteggiamento di stranita superiorità, di estrema sicurezza nel proprio pensare a scapito di quello altrui.

Che non è un film su un uomo, su un personaggio, ma è invece il racconto della missione che quest'uomo si scelse, e che portò avanti anche a costo di se stesso. Soderbergh mostra l'essere umano chiamato Ernesto Guevara solo nella misura in cui quest'uomo decise di essere il portatore di un obiettivo ideale, e nella misura in cui quest'obiettivo sottrasse la vita a Guevara, ogni sua emozione, facendo della privazione dell'umanità la vera cifra della sua umanità.  Fra tutte le ellissi che asciugano la sfaccettata (e deformata) figura mitica guevariana l'unico elemento a sopravvivere è il suo austero e rigido codice di comportamento, la sua volontà incrollabile nel perseguire il suo scopo ideale: ci sono estratti dei suoi discorsi e del suo manuale di guerriglia, il suo scontrarsi fino alla morte senz'altra possibilità, la sua indifferenza dolorosa e autosarcastica verso le proprie debolezze fisiche, prime fra tutte l'asma (il volto Guevara ansimante e congestionato, sui cui Soderbergh si sofferma spesso), il suo procedere pragmatico e duro con sé e con gli altri, azione dopo azione, il suo coraggio irrazionale in azioni apparentemente suicide. Rimane, anche, incastrata fra la prima e la seconda parte, l'ammissione della pazzia insita nei suoi gesti: andare avanti anche quando andare avanti è la cosa meno razionale da fare, seguire un obiettivo senza nutrire dubbi su di esso anche nei momenti meno esaltanti: la rivoluzione insomma, è un gesto in qualche modo folle. Che non è dunque un film biografico sull'essere umano Guevara, né un film sulla lotta rivoluzionaria nel sudamerica degli anni Cinquanta e Sessanta. Non è un film sul mito Guevara, non è la vita di San Ernesto né la demistificazione di un'icona popolare. Che è la storia della volontà di un uomo nel perseguire un'idea a qualunque costo (a Soderbergh non sembra interessare la reale validità di tale idea, pur tradendo un'innegabile fascinazione): all'inizio, quando l'idea funziona rispetto al contesto in cui è calata e produce il trionfo, alla fine, quando si rivela tragicamente poco realistica rispetto al tempo e al luogo dell'azione, e produce la morte. Fra le cose che vengono a cadere nel monumentale processo di astrazione attuato da Soderbergh, ci sono anche molte delle convenzioni cinematografiche: nella prima parte è del tutto eliminato l'elemento del conflitto drammatico, nella seconda è l'idea di percorso dell'eroe a eclissarsi.

La prima metà del film, L'argentino, è una marcia trionfale assolutamente priva di qualsiasi scossone. Dall'inizio, con le lunghe discussioni fra il medico Guevara e l'aspirante ribelle Castro, fino alla conclusiva presa di Santa Clara, il percorso è netto, denotato narrativamente dalla suspense per il pericolo oggettivo in cui si trovano i singoli personaggi, ma mai realmente messo in conflitto con istanze potenzialmente negative per il progetto in generale. C'è, ovviamente, il nemico Batista, ma è un nemico che cinematograficamente parlando funziona ben poco: tutti sanno che cosa accadde, tutti sanno quanto e come fu vittoriosa l'avanzata dei barbudos di Castro. Quello che sorprende è piuttosto come Soderbergh non abbia rimpiazzato questo antagonista poco funzionale con altre istanze oppositrici: non ci sono lotte intestine, non ci sono dubbi né fantasmi in Guevara, ogni conflitto fra le parti in gioco (e sì che ce ne furono, tra le varie parti della guerriglia, spesso tali da mettere a repentaglio l'intera rivoluzione) viene minimizzato e mantenuto fuori campo. Né si vedono cedimenti nello stesso gruppo di Guevara: ciò che si vede in L'argentino è un gruppo compatto di esseri umani che rispondono con amicale rispetto ai comandanti, sopportando fame e sete e ferite e stenti ma mai dubitando, senza rivalità o cedimenti morali. Soderbergh non utilizza alcuna delle possibilità di conflitto che la Storia gli offre. Né interne a Guevara, né relative al suo gruppo, né intestine rispetto alla guerriglia. L'argentino è percorso puro: una linea netta che congiunge il dottor Ernesto Guevara al Che vittorioso, senza che mai, nemmeno per un istante, un conflitto drammatico movimenti realmente la linea dell'azione.  Invece di un drammaturgicamente comprensibile alternarsi di tesi, antitesi e sintesi che si trasformano in nuove tesi su un piano superiore, si assiste alla parata delle sintesi: i conflitti vengono messi di fronte allo spettatore  solamente una volta che sono stati risolti. Non sono gli uomini i protagonisti, è l'idea di un uomo, ed è un'idea vittoriosa in partenza. Il primo atto scorre così, in semplice (ed esaltante, a patto di non aspettarsi una scansione drammaturgica tradizionale) climax verso il trionfo.

Nella realtà storica, ciò che portò alla vittoria la rivoluzione cubana fu l'intrecciarsi di due personalità distinte e a loro modo eccezionali. Guevara era coraggioso fino alla follia, ottimo soldato dotato di una personalità empatica pur nella calvinista austerità di fondo, ma era anche poco disposto al dialogo e del tutto incapace di diplomazia. Una parte di cui invece si occupò Castro, uomo politico di straordinario acume, portato al dialogo e alla manipolazione degli interlocutori. Senza Castro, Guevara sarebbe stato probabilmente sopraffatto da nemici interni da lui stesso creati, incapace di accordarsi con loro oppure di aggirarli con profitto. Nel 1965, quando Guevara decise di continuare la sua opera di guerriglia, il suo vecchio comandante aveva preso le redini del suo paese natale e aveva smesso i panni del soldato. Guevara era quindi solo, incapace di mettere insieme i pezzi di tutte le forze in gioco contro il regime boliviano convogliandoli in una forza comune. Era inoltre diventato un'icona dell'antimperialismo contro gli Stati Uniti, un uomo in vista, materiale da bandiere: forse la peggior caratteristica per militare nelle file di una guerriglia sotterranea. La seconda parte di Che spiega solo in minima parte tutto questo: come già in L'argentino, anche in Guerriglia il contesto rimane una grande ellissi. Nulla rimane per comprendere le cause profonde della sconfitta di Guevara, troppo poco, almeno, per comprendere le motivazioni politiche e sociali che resero quella boliviana una disfatta mentre a Cuba era stato un trionfo.

A differenza della prima parte, dove gli avvenimenti erano presentati seguendo con chiarezza il percorso geografico est-ovest che dalla Sierra Maestra portò all'Havana, in un climax ascendente di vittorie, consenso e magniloquenza delle azioni, Guerriglia è un film dove il percorso attuato dal protagonista è invisibile. Non c'è climax nemmeno discendente, ma solo una serie di piccole sconfitte che si sovrappongono l'una con l'altra: una narrazione per minuscoli frammenti, cui solo la progressiva collocazione cronologica evita l'interscambiabilità. Dove L'argentino sacrificava il conflitto a favore dell'evidenza del percorso, in Guerriglia accade il contrario: il conflitto spazza fuori campo l'intelleggibilità della traiettoria drammatica. Il manipolo boliviano di Guevara non combatte quasi mai né conquista consensi, sembra spesso privo di un obiettivo comune che ne guidi le azioni, l'esercito regolare neutralizza con costanza qualsiasi progresso visibile, mentre la popolazione locale guarda i guerriglieri con diffidenza e lontananza: il clima è di attesa infinita, di un eterno presente dove manca solo il momento della fine. Il Che di Guerriglia è un uomo solo e intrappolato nella sua missione, incapace di coagulare intorno a sè un vero movimento, e allo stesso tempo di cambiare la propria strategia: questa incapacità porta alla totale immobilità, e si riduce in un lento gioco di logoramento di cui la fine è nota fin dalle prime battute.

Soderbergh, come nella prima parte del film aveva rinunciato a fare di Guevara un eroe, rinuncia qui, parallelamente, a farne un antieroe. Nella prima parte del film aveva raccontato il trionfo della volontà di Guevara, qui ne mette in scena la sconfitta, sempre tenendosi discosto dall'uomo, senza che lo spettatore possa avere di che immedesimarsi. Anche in questo caso, non si tratta della travagliata storia di un essere umano verso la morte: Guerriglia racconta semplicemente l'impossibilità della sua missione. Non è l'uomo a cadere, ma la sua stessa volontà ad essere imbrigliata, immobilizzando il film e portando alla morte di un uomo che dell'invincibilità della propria volontà, e della propria missione, aveva fatto l'unico motivo di vita. Soderbergh sembra davvero poco intenzionato a sbilanciarsi da una parte o dall'altra circa l'eroismo o la follia di questa missione, né sembra interessato a mostrare come e se la sconfitta umana di Guevara possa rappresentare la vittoria del suo ideale: il suo atteggiamento è freddo e oggettivo, e sembra piuttosto mostrare la difficoltà, la fatica e il mostruoso fardello rappresentato dal perseguimento di una missione immensa, e in ultima analisi, l'ascesa e della caduta di un uomo fatto solo di volontà.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.