L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford PDF 
Raffaele Manco   

È il 1881 e Jesse James ha 34 anni. Più di un decennio è passato dalla guerra di secessione in cui si distinse, insieme al fratello Frank, perché colmo di rabbia e risentimento nei confronti del governo nordista che gli strappò via padre e terra; Jesse James ha già assaltato treni e banche, ha già ucciso molte persone; Jesse James è ormai un incubo per il governo ed un eroe per la povera gente; Jesse James ha già la fama di violento, ribelle, vendicativo; la sua battaglia personale è già materia per giornalisti e scrittori. È il 1881 e Jesse James è già una leggenda.  Proprio da questa data parte il film del giovane Andrew Dominik (acclamatissimo per Chopper) che riprende il famigerato bandito - interpretato da un intensissimo Brad Pitt - alla vigilia dell’ ultima grande rapina, tralasciando gli episodi e gli anni che lo hanno reso ciò che è per concentrarsi sull’ ultimo periodo della sua mitica vita. Il governo gli è alle costole, sente che qualcuno della banda vorrebbe intascare la lauta taglia che pende sulla sua testa, si isola, è diffidente e porta un presagio di morte negli occhi. “Tutti volevano stare con lui, essere come lui”, eppure la Storia offre notizie discordanti, ora presentandolo come un eroe rivoluzionario, ora come un bastardo sanguinario, ma comunque un uomo carismatico tanto da attirare attenzioni ed invidie. Forse proprio per questo Bob Ford gli spara un colpo alle spalle. La magnifica interpretazione di Casey Affleck porta con sé tutta l’ammirazione morbosa, la paura e l’odio per Jesse. Il suo sguardo dietro i vetri deformati accentua una distorsione dei sentimenti e quindi delle intenzioni.

Dopo decine di pellicole su questo personaggio, Dominik scrive e dirige un’opera straordinaria basandosi sul racconto storico (che dà il titolo al film) di Ron Hansen e lo fa con uno stile particolare ed inaspettato. Non siamo di fronte ad un western, almeno non nella sua accezione assoluta. Non ci sono deserti rossi e duelli, ma regna uno s-guardo malinconico che ricorda il miglior Peckinpah, nonché inquadrature grandangolari di immensi paesaggi alla Malick. Vi è un’enorme valle innevata ed una macchia nera di nome Jesse James che l’attraversa per uccidere ipotetici traditori. Il tempo passa con nuvole che sembrano fiumi in piena e con raggi di sole che si stendono su pavimenti passando in rassegna mobili in legno scuro in camere completamente vuote. Una sensazione di perturbante attraversa tutto il film. È un dramma psicologico che si insinua tra le tensioni e le pulsioni di esseri umani alla deriva, di chi sa che potrebbe morire da un momento all’altro e di chi vorrebbe prenderne il posto. Una riflessione sul concetto di celebrità e relative conseguenze, una rivisitazione storica e psichica che riesce a spogliare i personaggi dall’alone creato dalla leggenda e che lascia allo spettatore molti interrogativi aperti. Forse Bob era solo in cerca di fama, forse ha ucciso per paura, forse Jesse si è lasciato uccidere perché stremato di guardarsi continuamente alle spalle, di cambiare nomi, città e cancellare tracce. Un’opera intensissima che dilata un lasso di tempo -lo sfinimento psicologico di Jesse - dove TUTTO è già accaduto, un tempo che non ci viene mostrato eppure lo percepiamo. Ciò che riesce a fare il regista è filmare le conseguenze, gli effetti, di una storia precedente mai illustrata, negata agli occhi dello spettatore, ma che comunque alla fine egli sembra già conoscere. Il merito va anche alle mastodontiche interpretazioni di Pitt (eternamente sottovalutato per essere anche bello) e Affleck che portano addosso tutto il peso della loro condizione, condannati ad essere servi-schiavi l’uno della loro propria storia, l’altro della propria e di quella di Jesse. Gli altri personaggi come quelli interpretati da Sam Shepard, Mary-Louise Parker, Sam Rockwell e Paul Schneider appaiono come fantasmi minacciosi agli occhi di Jesse e dello spettatore, immersi nel cielo plumbeo fotografato da Roger Deakins (tra i suoi lavori i film dei Coen e l’ultimo di Haggis) e nelle musiche di Nick Cave e Warren Ellis. Si consiglia la versione originale, questa volta offesa dal doppiaggio italiano e che nasconde la voce tremante di Affleck-Ford. Per apprezzare un film che solo tra vent’anni verrà riesumato per essere ri-letto e considerato un capolavoro. 

 


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