Ken Park: about Ken Park PDF 
di Larry Clark   

Sceneggiato da Harmony Korine, lo spietato autore del controverso Gummo (USA, 1997) e splendidamente fotografato da Edward Lachman, già autore di Far from Heaven (USA, 2002), Ken Park di Larry Clark è una delle pellicole più interessanti e senza dubbio più discusse della stagione.
Presentato in anteprima nazionale al Festival di Venezia 2002 e proposto nelle sale con il solito, imperdonabile ritardo, il film rilancia alcune tematiche del precedente Kids (USA, 1995), attenuando la carica nichilista di personaggi e situazioni per tessere un vero e proprio inno all'adolescenza ed ai suoi turbamenti. Un momento unico ed irripetibile, sospeso tra l'infanzia (spensierata per definizione imposta) ed il compimento della maggiore età, quando (più o meno liberamente) ci si trova costretti alle prime scelte.

Mostrata in tutta la sua mirabolante poesia e volutamente sovraccarica di occasioni e incontri che in tempo zero si fanno esperienza, l'età di passaggio narrata da Clark assurge a paradigma della deriva (capitalistica, integralista e violenta) di una società che ha immolato se stessa al progresso ed al totalitarismo da pensiero unico tipico dell'America Way of life.
Famiglie sbandate, madri sole e coppie in crisi rassegnate all'abitudine di far figli sono il degno contraltare umano delle periferie degradate dell'impero, fatte di casette gradevolmente edificate in serie e giardini ben curati, di pomeriggi noiosi davanti alla TV, di violenza repressa che esplode a tratti e tanta, inevitabile ipocrisia.

Abbandonati i cupi scenari dell'East Coast newyorkese in cui era ambientato Kids, l'autore ci guida dentro la soleggiatissima Visalia, anonima cittadina californiana a metà strada tra Los Angeles e Fresno.
Quasi si trattasse di un documentario, le inquadrature iniziali su cui scorrono i titoli e si condensano i luoghi deputati all'amministrazione della piccola comunità (Visalia Community Bank, Visalia Police Departement, Visalia Community Covenant Chrch), sembrano fornire l'alibi all'intera pellicola, in cui il dramma pensato dallo sceneggiatore è filtrato dall'ossessiva ricerca di quel realismo e quella verosimiglianza che solo un'indagine sul campo può permettersi di mostrare.

Al suicidio armato, violento, messo in scena e filmato con tanto di pubblico; alla perversione di fottersi la madre quanto la figlia di una famiglia per bene; all'assassinio di due anziani rincoglioniti praticato più per noia che per reale necessità; all'alcolismo come fuga da un realtà imprevista ed insostenibile; al dramma di mettere incinta una coetanea minorenne a cui non è concesso di abortire; alla tv come unico residuo del focolare domestico si aggiungono le interviste fuori campo ai protagonisti e gli infintiti dettagli che caratterizzano il delirio della provincia americana (e per estensione occidentale) contemporanea.

Rassegna di luoghi comuni dunque (trama e personaggi compresi), che sorretta da una non comune dovizia di particolari, accompagna l'ultimo viaggio in skate del giovane Ken Park ed insieme il canto del cigno di un'infanzia che, nell'epoca della violenza endemica e della comunicazione globale, non può più permettersi di essere spensierata, ma come gli adulti non ha altro da fare che fuggire nel sogno e nella fantasia, siano essi il successo o l'illusione di un paradiso in cui passare il tempo a far l'amore tutti assieme.
Ed è appunto questo realismo così minuto, inteso come pressoché perfetta rispondenza con la realtà, che sostiene il patos di alcune scene quali il romantico e perverso incontro d'amore tra Shawn e la madre della sua ragazza o la chiacchierata dei genitori di Claude davanti al Jerry Springer Show.

Privo di un vera progressione drammatica verso il proprio climax, chiuso in un cerchio forse prevedibile ma in fin dei conti funzionale all'approccio sperimentale (o entomologico per usare un termine fin troppo abusato) dell'autore, Ken Park si presenta come una trattazione cronachistica, a tratti persino didascalica, della gioventù adolescente di Visalia.
Prima sezionate, poi esaminate al microscopio e infine mostrate allo spettatore senza enfasi, le esistenze dei protagonisti, quasi fossero semplici dati statistici, condensano su si sé tutte le normali anormalità del mondo in cui viviamo e preparano il terreno al j'accuse che l'autore non riesce a trattenere, all'indice (o il medio, fate voi) puntato contro la famiglia, istituzione retrograda e desueta, simbolo per eccellenza dell'ipocrisia e del puritanesimo.

"I don't wanna be a baby killer", dice la ragazza di Ken Park alla fine del film. Ecco perché criticare la prevedibilità di Ken Park, affermare che si tratta semplicemente di un lavoro scontato, pensato unicamente per scioccare mostrando in maniera esplicita il sesso tra adolescenti, non è altro che tirare acqua al suo mulino, confermare al suo autore che qualcosa di buono c'era ed è comunque venuto a galla.

 


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