Conversazione sul cinema di Andrej Tarkovskij PDF 
di Paolo Landi, Paolo Lago   

La scultura del tempo e la logica dell'azione
Il cinema di Tarkovskij intende essere una scultura del tempo (1), ma quale è la condizione per una rappresentazione di questo genere? A tal proposito, si deve tenere presente che il tempo raffigurato in un testo narrativo, sia esso a carattere visivo o di genere letterario, è connesso ad una serie di eventi, i quali, a loro volta, ineriscono a delle circostanze obiettive, che appartengono allo spazio - o, come affermerebbe Wittgenstein, ad una serie di stati di cose, i quali formano i contesti o le situazioni entro cui il tempo stesso si svolge, con il suo ritmo mutevole. Ciò posto, in Tarkovskij abbiamo la delineazione di un corpus narrativo rarefatto, dove pochi eventi e contesti spazio-temporali di grande respiro ma delineati in poche ed elementari unità - che formano dei blocchi altamente compatti - rendono possibile la liberazione del tempo in un modo diverso da quello della narrazione tradizionale, ove essa è fortemente incentrata, come si può dire, sulla logica dell'azione.

Una prima distinzione è dunque questa: da un lato abbiamo la logica dell'azione, che come sostiene Deleuze, si incentra sulla connessione reciproca fra una qualche situazione e l'azione medesima - in modo che la situazione stessa è come un ambito di passaggio per quell'intervento dell'azione che la modifica -, e da un altro lato abbiamo il tempo che può essere liberato da tale logica. Ma una liberazione completa del tempo da quest'ultima dovrebbe comportare una mancanza di uno sviluppo narrativo, o una percezione per la quale non si possono dare le condizioni proprio entro un testo che si attua nel tempo, e richiede un decorso temporale che ne segua la dinamica ed i mutamenti, perché venga effettuata la fruizione (come è per la letteratura e ancora di più per il cinema). A tale proposito, il tempo nello stato puro potrebbe invece essere rappresentato magari da forme d'arte che non si trovano in questa condizione, e che hanno un carattere diversamente dinamico, in quanto non si attuano con dei mutamenti interni e propriamente fisici o sensibili, ma offrono la superficie di un testo immobile, che viene resa dinamica solo in rapporto alla rappresentazione del fruitore. In questo senso ad esempio la pittura può indicare il tempo allo stato puro, secondo figurazione e scorci in qualche modo allegorici, come è ad esempio in Dalì, o secondo indicazioni metafisiche precise (come si rinviene in un quadro di Peruzzi). In Tarkovskij allora avviene che il tempo venga tendenzialmente indicato con una certa indipendenza dalla logica pronunciata dell'azione, in quanto l'azione stessa è raffigurata in base ad una stretta condizione interiore. Potremmo allora chiederci, innanzitutto, quali sono alcuni elementi che fanno emergere questa connessione fra l'azione e la proiezione o l'incarnazione interiore dello spettro emotivo e spirituale che circola nel ritmo temporale. E in tal senso, dovrà delinearsi un quadro dove l'azione in senso esteriore, il flusso interiore della coscienza e l'andamento temporale si sviluppano entro un quadro coerente.

Un andamento "anti-spettacolare"
Nel cinema di Tarkovskij la scansione temporale viene in qualche modo marcata - e per questo si stacca dalla logica sequenza degli eventi della storia tout court - soprattutto quando ci si trova in situazioni di analessi e scarti temporali, cioè quando l'azione viene vissuta come un ricordo, come ad esempio ne Lo specchio. Prendiamo in considerazione, ad esempio, le prime sequenze di questo film: la donna sullo steccato, l'arrivo del medico e le vicende iniziali nella dacia. Essendo tutte immagini di un sogno, o comunque di un ricordo, lo scalpello del tempo agisce con maggior forza. Esse emergono dalle lande desolate del ricordo e del passato, perciò si presentano scolpite sull'incedere del tempo, che non è un tempo che si realizza nell'hic et nunc. Allora, anche se in queste immagini sussiste pure una storia e una narrazione, gli stessi movimenti della mdp fanno in modo che quest'ultima sia comunque secondaria, e anche che le stesse parole che si scambiano i personaggi di quest'analessi siano subordinate all'incedere scultoreamente definito del tempo. Emergono, proprio in queste sequenze, due elementi che si legano, nel cinema di Tarkovskij allo scorrere del tempo: il vento e il fuoco. Sono quasi due elementi che il regista utilizza per destrutturare e deistituzionalizzare l'azione, la logica degli eventi della storia narrata. Tramite il vento e per mezzo del fuoco si vuole forse imprimere all'intero film un andamento anti-narrativo ed "anti-spettacolare", creare insomma, per dirla con Deleuze, il contrario di "immagini-movimento".

Un'altra situazione che in Tarkovskij allontana le immagini dalla logica di una storia e le immette in un circuito più strettamente temporale si verifica quando ci troviamo di fronte alla rappresentazione di una forte e problematica angoscia interiore. È il caso, ad esempio, di Nostalghia o di Solaris. Il tempo, allora, si determina scultoreamente nell'incedere di un forte status di angoscia e si crea un netto e lancinante stacco fra l'immagine e il succedersi degli eventi nella storia rappresentata. Le immagini riprese da una mdp eterea ed avvolgente al tempo stesso fluttuano in una sorta di limbo figurale in cui la stessa essenza dell'angoscia diviene estremamente eterea e irreale, quasi un'entità incredibile e fantastica. Allora l'immagine si muta nel bianco e nero e nel seppia di un'iconica e 'magica' fantasmagoria temporale, dove le figure umane, se sussistono, diventano esse stesse statue incredibilmente avvolte da una limbica condizione in cui il tempo diviene l'unica materia che in qualche modo sussiste.

Un altro momento in cui emerge in modo scultoreo la dimensione del tempo è quello del viaggio o comunque di un incedere che denota uno spostamento. Ad esempio, durante il percorso sulla ferrovia per raggiungere la "zona" in Stalker. La voce dei tre protagonisti scompare per lasciare spazio al suono: nel suo metallico susseguirsi - un suono che evoca solitudini e inquietanti omina, come quello delle sirene delle navi - si distende la cristallina rappresentazione di un tempo e di un flusso interiore che si sono trasformati in scultura, ora così plasticamente e acusticamente presente. Il suono prolungato insieme ai primi piani dei volti sui personaggi instaura nel corso della narrazione una sacca onirica e allucinatoria, un iter verso i meandri più profondi della propria anima. Un iter che porterà in luoghi desolati, cupi, perduti come una irrimediabile e insanabile solitudine, pregni di oggetti morti e cupe grida di sciacalli, di acque stagnanti e erba malata. Ed è forse la "zona" una sapiente scultura del tempo, una sua iconizzazione e una sua stasi. La "zona" è il tempo che non scorre più e si ferma, tremando della propria angoscia e della propria solitudine.

Il lirismo intimista e oltre
Potremmo allora interpretare l'evoluzione del cinema di Tarkovskij come un movimento che inizia con L'infanzia di Ivan e poi con Andrej Rubliov, intrecciando la condizione interiore di un tempo scolpito con quella narrativa o addirittura epica di un tempo legato agli eventi esteriori e congiunto anche alla logica dei fatti, delle azioni, degli accadimenti e dell'attività pratica. Così, nel primo film abbiamo un lirismo intimista dove una vicenda dai contorni ben definiti è legata in modo costante a delle vibrazioni psicologiche e patetiche molto sensibili, che stabiliscono una relazione precisa fra i ritmi, le risonanze, le tonalità interiori e gli eventi esterni; nel film successivo abbiamo invece, per un verso una dilatazione della logica dell'azione, la quale acquisisce appunto un respiro epico, e per un altro verso l'articolazione di un tempo interiore, e in qualche modo scolpito, che è maggiormente singolare, originale e complessa di quella presente nell'opera che precede. Valgano a tal proposito la sequenza iniziale della rudimentale mongolfiera che viene scagliata verso l'alto e poi precipita schiantandosi al suolo in modo repentino e togliendo il fiato al suo allucinato costruttore, e quella del sogno del protagonista, che avviene nella chiesa che è stata devastata dai tartari. Nel primo caso, infatti, abbiamo la presentazione di un'azione che inizia in un modo immediato, con un ritmo sincopato, una importante cesura ellittica nell'ultima fase, ed una concitazione delirante, dominata dalla tonalità dell'ansia, dell'entusiasmo e infine dell'angoscia.

In altre parole, possiamo dire che il film inizia presentandoci subito nel mezzo di un ritmo temporale che non ha modo di articolare una chiara e distesa versione degli eventi, e che getta su colui che assiste alla visione il fiato prepotente del suo andamento precipitoso e vertiginoso, e, quindi, marcatamente soggettivo, e dominato dall'incubo di un tempo interiore il quale, come in una sorta di imbuto, o di spirale rovesciata, si restringe sino a giungere alla implacabile conclusione, segnata da una interruzione brutale. Nel secondo caso, poi, abbiamo l'indicazione di una circostanza onirica ossessiva, la cui valenza statica e le cui iterazioni sono dominate dall'andamento circolare di Andreij, il quale, parlando con Teofane il Greco, espone il suo sgomento e la sua oppressione, entro la forma incantata di un presente che si sottrae all'incedere temporale e segna un tempo arrestato o sospeso nel blocco di una visione legata all'evento di un precedente trauma. Nel primo caso, dunque, la componente onirica è legata ad un evento epico, drammatico e tragico, segnato da prepotenti forme esteriori, e nel contempo congiunto alla prorompenza allegorica di una valenza che attinge al delirio e delinea una specie di abbozzo difforme del tempo medesimo, il quale sembra uscire con prepotenza dalla crisalide del tempo esteriore ed ordinario, ma non ha il carattere fisso, definito e in qualche modo conclusivo della scultura. Nel secondo caso, tale componente è dovuta all'introduzione di un vero e proprio reperto attinto dal mondo del sogno, ma rappresentato con il carattere fermo di una situazione plastica, la quale esce dalla logica del calco naturale e, invece di riprodurre i contorni di una situazione onirica, delinea un tempo il cui blocco sospeso può essere contemplato dall'esterno, sottraendosi del tutto alla logica dell'azione.

Entrambi questi esempi, poi, rendono palese come l'intimismo psicologico del primo film sia stato oltrepassato per trovare una architettura più originale e più vasta che avesse delle connotazioni temporali capaci di attingere ad un tempo non ordinario, avvalendosi dei suggerimenti ricavati da quanto poteva emergere dall'azione medesima (come è anche per il sogno di Andreij, che scaturisce dal senso di colpa dovuto al trauma insorto per la sua uccisione del tartaro).

Una parentesi lancinante: "Nostalghia"
Lo scarto tra tempo esteriore e tempo interiore raggiunge allora dimensioni lancinanti in Nostalgia. Se in Andrej Rubliov il flusso temporale, nella dimensione fattuale della storia, corrispondeva ad un andamento "epico" della stessa, adesso tale flusso è completamente subordinato ad azioni che scaturiscono da angosce interiori. Quasi paradossalmente, potremmo dire che in Nostalghia, poiché il tempo dell'azione coincide quasi scultoreamente con quello interiore, si ha uno scarto maggiore e pregno di conseguenze. In una sorta di coincidenza tra queste due entità si raggiunge una differenza e una deflagrazione inquietanti. Infatti, come nel film dedicato al grande pittore di icone, il movimento del protagonista, in Nostalgia riflette spazialmente e temporalmente la sua angoscia interiore. Se il movimento, nel primo, assumeva valenze "epiche" o comunque era un vero e proprio movimento, nel senso di uno spostamento, nel secondo esso può anche sussistere nella sua stessa negazione. Ad esempio, prendiamo in considerazione le sequenze iniziali, quando Gorcakov rifiuta di recarsi a visitare la "Madonna del parto"; qui, il non-movimento del personaggio riflette la sua angoscia interiore, la sua impotenza mentale. E, paradossalmente, si deve dire che riflette anche una profonda potenza e lucidità di pensiero.

Allora, qui il non-movimento si configura come tempo interrotto, come negazione del suo scorrere. L'angoscia del personaggio desidererebbe comunque fermare e spezzare il tempo, ma ciò non è possibile. Esso si ferma, è vero, però resta anche iconicamente e plasticamente scandito: diviene figura, scultura, e in tale status resta in ogni caso ai suoi massimi livelli di sussistenza. Il personaggio vorrebbe che il tempo si fermasse: ecco allora l'indugiare ad ascoltare la pioggia nella stanza d'albergo, in momenti del giorno indefiniti, come sogni, ecco allora gli stessi sogni, terribili ed eterei, inquietanti nel loro essere in bilico tra onirismo e realtà, ecco allora l'incedere nella nebbia vicino alla vasca termale, luogo dove la percezione si può annullare e così anche il concetto di tempo, ecco allora il disperdersi dello sguardo su colline lontane che invece non sono altro che minuscoli ed opprimenti mucchi di terra senza orizzonti, senza spazi aperti. Il tempo, in ognuno di questi momenti, è invece scultura, e lo è più che mai quando diviene nebbia, materia bianca come marmo, come statua, come nell'inquietante sogno - essere trasformato in statua - del musicista del quale Gorcakov segue le tracce in Italia. Distruggere il tempo e contemporaneamente annientare anche un interiore flusso di coscienza: forse si può tramite una dinamica speculare, forse si può trovando finalmente il proprio scioccante doppio.

Ed è così che il protagonista si identifica col folle Domenico, altro personaggio il cui incedere spaziale demarca anche un movimento temporale. Così è, ad esempio, nella scena in cui lo vediamo seguire il bambino, scendendo le scale, mentre esce dalla casa dove era stato chiuso sette anni insieme alla famiglia. Il movimento, allora, entra in perfetta sincronia con lo spaesamento interiore e con un'idea di scansione del tempo. Ed ecco che estremo movimento in direzione di una coincidenza-annullamento del tempo sarà proprio il portare la candela accesa attraverso la vasca del paese. Il fuoco, allora, ha la valenza di ciò che sussiste, di ciò che dura, di ciò che è: fuoco come tempo. E il condurlo in salvo, a rischio della propria vita, assume un valore catartico: è missione salvifica e contemporaneamente mezzo di distruzione. Si salva e si distrugge contemporaneamente. E di fronte a tale angoscia e a tale deflagrazione non ci può essere altro che un annullamento del sé, una morte finalmente catartica e quasi apparsa in sogno, quasi nebbia essa stessa, figura del tempo che vive ed aleggia eternamente in quella campagna inquietante e sognante.

ExcursusPotremmo allora dire che in Nostalghia, in Stalker e in Sacrificio il tempo interiore è talmente concentrato, da proiettarsi sulle condizioni esteriori, che acquisiscono un risalto plastico, in qualche modo paragonabile con quella pienezza che si evidenzia nello scorrere del tempo legato alla logica dell'azione e nei suoi risvolti epici. Seguendo il filo del discorso, potremmo insomma affermare che in questi tre film la stessa concentrazione o la stessa intensità del tempo interiore permettono ad esso di riversarsi all'esterno in un modo molto netto, plastico, evidente e prorompente, così da stabilire un equilibrio fra la condizione psichica e spirituale e quella esterna e strettamente ambientale, il quale è diverso dall'assetto o dall'equilibrio che riguarda la logica dell'azione e i suoi sviluppi, ma anche dalla composizione che si registra in generale nell'intimismo, e in particolare, in certi risvolti de L'infanzia di Ivan, e ancora più chiaramente e ampiamente ne Lo specchio. Sotto questo profilo, dunque, alla modalità temporale intimistica de L'infanzia di Ivan, segue quella largamente epica di Andrej Rubliov, con i suoi risvolti marcati dalle intrusioni del tempo interiore, e a queste premesse si lega il tempo strettamente interiore de Lo specchio, che solo a tratti concede dei risvolti plastici analoghi a quelli dei film successivi, con degli effetti che nel contesto risultano tanto più rilevanti e prorompenti, come accade con la sequenza della lievitazione. E ancora, al di là di questo abbiamo appunto la singolare correlazione fra un tempo interiore, molto concentrato ed intenso, e un contesto esteriore il quale lo riflette con grande forza plastica e scultorea, che emerge in Stalker, in Nostalghia e in Sacrificio.

Per quanto riguarda poi Solaris, possiamo notare che in tal caso, per un verso abbiamo ancora un respiro epico paragonabile a quello di Andrej Rubliov, per un altro verso abbiamo accenti intimistici e rarefatti del genere de Lo specchio, e infine abbiamo la presenza dell'importante connotazione temporale che emerge negli ultimi tre film del regista, ma che in questo caso non possiede la stessa forza e la stessa chiarezza, sia perché l'opera contiene una maggiore varietà di umori, sia perché in essa, comunque, l'immagine non possiede quella definizione e quella evidenza plastica che Tarkovskij ha inseguito nell'ultima fase della sua produzione. E a proposito di quest'ultimo aspetto, è opportuno considerare la valenza che assume l'apparizione del doppio della moglie di Kelvin, che emerge dalle nebbie incerte ed afflitte di una memoria intrisa del senso di colpa. Questo doppio, in un modo molto evidente, delinea infatti una sorta di fantasma, che non possiede né la condizione, né quella pienezza non divisibile da se stessa, dell'individuo; e, d'altra parte, in questo contesto, la condizione del doppio, indicata entro l'alea o l'approssimazione di una fiction fantascientifica, deve possedere dei contorni eterei, o dei tratti evanescenti, che sono congiunti alla sua abbagliante evidenza. Così, in questo caso, da un lato abbiamo una certa approssimazione, dovuta alle convenzioni narrative di un genere di fiction che non si può concedere il carattere crudo, risolto e definitivo di un'epifania immersa in un contesto pienamente reale - come accade in vari tratti delle ultime tre opere -, e da un altro lato abbiamo una condizione psichica irreale e indecisa, come quella di questo fantasma, il cui vuoto richiede delle sembianze sospese e come aspirate in un punto di fuga che affonda nel fascino dell'ignoto. E tutto questo, certamente, fornisce il tratto intimistico di una presenza temporale che non viene scandita nei termini di un presente, inteso nella accezione pienamente reale, ma, piuttosto, accoglie gli echi e i riflessi di quanto viene evocato dalle profondità labili, spaventose, angosciose, vischiose e indefinite che abitano i recessi più inafferrabili della nostra coscienza. Ed è anche per questo che Solaris è il film di Tarkovskij che, sotto il profilo temporale, esprime, come possiamo dire, la linea sinuosa della vertigine.

Il tempo che risucchia: dalla vertigine al vortice
La vertigine temporale, riscontrabile soprattutto in Solaris, assume dunque le caratteristiche di un fluido vorticoso e avvolgente. Quindi, si può dire che essa si configura entro una struttura a vortice, sulle cui pareti sono scolpite le orride tracce di una distruzione psicologica, i resti di precedenti deflagrazioni, distruzioni, orrendi annegamenti come quelli che il protagonista del racconto di Edgar Allan Poe vede intorno a sé mentre discende nel Maelstrom. La struttura del vortice, della vertiginosa discesa nei meandri della propria coscienza nella quale si risvegliano cristallini fantasmi si ha allora quando Kelvin compie il suo viaggio fino alla stazione orbitante "Solaris" (la salita al cosmo, quindi, è anche una discesa regressiva verso i propri incubi). Se gli effetti speciali molto modesti (niente a che vedere con una scena analoga di 2001: Odissea nello spazio di Kubrick) suggeriscono che ci troviamo di fronte a un film che appartiene apparentemente a un genere, tuttavia al regista quest'ultimo non importava molto, poiché ci presenta le proprie ossessioni e le proprie tematiche esattamente come negli altri suoi film. La struttura a vortice diviene quindi un viaggio verso l'ignoto e verso i propri fantasmi, un viaggio regressivo verso un milieu spettrale e inconsistente, dove la separazione fra realtà e irrealtà non ha più ragione di sussistere.

Comunque, anche sulla Terra non mancano vortici in cui affondare i propri incubi: si ricordi a questo proposito la scena del tunnel dove si infila l'autovettura che trasporta lo psicologo. Anche qui, come nel viaggio spaziale, si ha un'accelerazione del tempo, quasi cominciasse a prendere fuoco in virtù di una sua velocizzazione. Non meno importante, in queste sequenze, è la colonna sonora: il suono è quello metallico e artificiale di un'angoscia che tenta di materializzarsi plasticamente in ogni momento dell'avanzare di tali spostamenti. Un po' l'equivalente del suono metallico del carrello che corre sulla ferrovia in Stalker, durante lo spostamento allucinatorio verso la "zona". Il vortice si ritrova anche, sotto le vesti della sinuosità della fiamma, ne Lo specchio. E così anche in Nostalghia: la vorticosa fiamma della candela che deve essere condotta attraverso uno spazio esprime l'irrequietezza che deriva da situazioni di spostamento, come in una situazione di spostamento e di viaggio verso l'ignoto si configura anche la storia narrata dal film. Il vortice conduce a una perdita del sé, a un non luogo: non luogo è infatti l'ambientazione solcata dalla sinuosità delle colline senesi dove il protagonista giunge e dove troverà l'annullamento del sé. Se guardiano del non luogo e sacerdote del fuoco è il folle Domenico, un'identificazione con quest'ultimo segnerà irrimediabilmente anche il destino del protagonista.

Vortici come specchi, come luoghi in cui lo spazio e il suo concetto vengono aboliti (vedi l'interno della casa di Domenico), come gli spazi e i tempi eternamente immobili solcati dalla bicicletta sospesa che Domenico spesso inforca. Il vortice spazio-temporale in cui precipita il protagonista Gorcakov è anche quello che crea e demarca uno status confusionale e incerto. L'incertezza del luogo si materializza nella sovrapposizione continua di immagini e spazi, la casa russa lontana e le colline senesi, fino al culmine finale, in cui vediamo la casa avita sovrapporsi alla cattedrale scoperchiata di San Galgano. Ed è l'estremo ordine di un disordine spazio-temporale che si raggiunge dopo aver condotto come un magico strumento la candela attraverso l'acqua della follia e del sogno. Pensiamo adesso a Sacrificio: la figura del vortice erompe alla fine, nell'incendio che il protagonista impazzito appicca alla propria casa. Ma si era incontrata anche in precedenza. Cos'altro è infatti l'incedere sinuoso e incerto del personaggio mentre in bicicletta si reca a casa della strega, in un paesaggio lunare e glaciale, solcato da cupi suoni di sirene? È un incerto incedere verso un non luogo, verso la magione incantata di un essere forse soprannaturale, depositario di inenarrabili segreti, mentre il confine fra realtà e irrealtà si è completamente e irrimediabilmente infranto. Allora si percorre lo spazio vorticoso e spasmodico di una foresta pietrificata, una specie di tundra dei pensieri smarriti e cristallizzati, una nordica tundra della propria coscienza. Somatizzazione, anche qui, come la "zona" di Stalker, di emozioni esistenziali forse terribili, di un tempo che deve inesorabilmente pietrificarsi perché non si può più sopportare il crudele suo scorrere.

Il certo, il vero e il tempo universale
In effetti, nel cinema di Tarkovskij possiamo notare questa tensione: da un lato abbiamo il polo di condizioni ed eventi altamente drammatici, e da un altro abbiamo lo sguardo fermo dell'autore, che in modo implacabile articola la sua visione, o presenta il suo spettacolo, il quale emerge come un grandioso teorema o un maestoso e calmo orizzonte della visione; e la calma, ovviamente, non esclude il tormento, ma, anzi, in un certo modo è come il sedimento di un tormento trattenuto, assimilato e dominato, che a sua volta offre la materia per disporre questo orizzonte, o per delineare i contorni di quella forma olimpica, che in qualche maniera riflette quella calma alla quale Tarkovskij ha alluso nelle sue dichiarazioni circa il proprio lavoro. Da un lato, dunque, abbiamo la sofferenza, quale condizione che l'autore coltiva sotto la forma di una specie di esercizio ascetico, e di lavacro penitenziale per le colpe proprie e del mondo intero, e da un altro lato abbiamo il frutto di questo dolore e di questo atteggiamento ascetico, segnato nelle immagini dominate da una architettura tanto estesa e comprensiva, quanto stabile e capace di assorbire le onde d'urto di ogni tormento e di ogni sconvolgimento nello specchio limpido del proprio mondo interiore, e della propria attitudine alla decisione e alla determinazione.

Ma tutto questo come rientra nella concezione del tempo che l'autore dispensa entro l'alone universale ed entro la forma sacrale delle proprie immagini? Direi che questo aspetto riguarda proprio la sintesi possente fra il tempo interiore e quello esteriore, alla quale si alludeva. Al di là del vortice e del Maelstrom, dunque, ed oltre ogni sconvolgimento, abbiamo lo sguardo fermo che assorbe questi elementi di decadimento, di vertigine e di spavento nelle ampie braccia di una certezza, la quale opera come un dogma. E il dogma in questo senso è appunto la congiunzione fra il mondo interiore e quello esteriore, e la loro connessione, ferma come un anello saldato completamente ai due capi o stabile come la pietra angolare dove il sapiente, seguendo Hegel, trova la congiunzione fra l'immagine della certezza sensibile, e quella del vero, a sua volta offerta dall'ambito della ragione (la quale si articola con tale esperienza e riconosce in essa la propria essenza). E tale dogma, nonché tale congiunzione tra la sfera del certo e quella del vero, sono appunto dati dall'incontro fra il mondo interiore e quello esteriore, a sua volta sigillato dall'articolazione che si stabilisce, avvolgendo due forme temporali che si impongono, come due ali o due capi di una indistruttibile fiamma (disposta al di là di ogni possibile vortice). E direi che anche queste nostre annotazioni, almeno per quanto mi riguarda, e almeno per un breve tratto, potrebbero e dovrebbero assumere la forma di uno sguardo fermo (se questa condizione potesse venire in qualche modo raggiunta). Ma, a tal proposito, occorre in questo momento che mi attenga all'esercizio ascetico, dovuto al fatto di limitarmi alla sola considerazione del tempo interiore e di quello esteriore (allontanando il concerto delle altre possibili considerazioni, che urgono alle porte della coscienza, poiché Tarkovskij, con la sua forma visiva, ha comunque adunato e convocato innumerevoli spettri, che si sono presentati, dopo essere stati emendati nel fiume di una perenne catarsi).

Ecco dunque quello che allora intravedo: nel cinema di questo autore, dopo un primo contatto con la forma epica, con quella intimistica e con una loro mescolanza o una loro alternanza, si è sviluppato uno sguardo che ha attraversato la mirabile trilogia delle ultime opere, ed è culminato nell'ultimo film, delineando con plastica fermezza un sovrano equilibrio tra il tempo interiore e quello esteriore, laddove, il primo è stato inteso come una radice, che doveva essere rispecchiata all'esterno in un modo compiuto. E in questa conclusione della parabola creativa dell'autore il tempo interiore, sia pure nella sua corrispondenza con quello esteriore, si è imposto come un sovrano punto di origine, sino a rischiare la commistione torbida ed equivoca dei fantasmi evocati, con il trascorrere lento e quasi immobile delle ombre vaganti del mondo esterno. Ma la necessaria lentezza di Sacrificio è appunto il testamento di Tarkovskij, che rivela l'implacabile necessario tempo universale, quale pietra angolare presente innanzitutto nella caverna della nostra memoria (la caverna di Agostino), e quale iridiscente tessuto che disperde e raccoglie il proprio mare nelle forme del mondo esteriore. Così, in questo film il tempo trascorre con una pazienza che supera quella dimostrata nei due precedenti, e giunge al fondo del proprio essere, per ribaltarsi all'esterno, mediante la calma infinita del proprio mondo. Il testamento di Tarkovskij è qui l'emergenza compiuta del tempo universale, che in questa opera ha finalmente trovato la sua forma conclusiva, ponendo davanti agli occhi e presentando all'ascolto la stridente caverna della memoria, il cui polmone bruciato trasforma il cancro e la sua corrosione nel doloroso balsamo di una distesa e insieme contratta contemplazione (perché l'autore, preda del cancro, muoia dentro la forma compiuta del proprio pensiero, del proprio dolore e del proprio sapere, deliberando un ultimo atto di amore).

Sommovimenti interiori visti da lontano
Il tempo epico di Andrej Rubliov è solennemente scolpito dalla sua dimensione di passato. Esso è il tempo della Storia, di una vicenda svoltasi in epoche remote ed assolute, cristallizzate in paradigma per la concezione storica russa. Si potrebbe riprendere allora la distinzione che Michail Bachtin attua tra epos e romanzo. Per il grande teorico russo, infatti, "l'epopea, come determinato genere letterario a noi noto, è stata fin dal principio poema sul passato, e l'atteggiamento dell'autore (cioè di chi pronuncia la parola epica), immanente all'epopea e costitutivo per essa, è quello di un uomo che parla di un passato per lui inaccessibile, l'atteggiamento pieno di venerazione di un postero" (3). Bachtin parla altresì di un passato epico, lontanissimo ed inaccessibile, irraggiungibile proprio biologicamente dalla struttura stessa del romanzo. Ci siamo qui appropriati di categorie letterarie discutendo di cinema, nonostante sia evidente, in questo caso, come i confini teorici (e critici) fra le due discipline diventino molto labili. Il passato epico di Andrej Rubliov è quello inaccessibile dell'epopea, perciò interamente rivestito della lontananza storica ed assoluta. La dimensione interiore, pur essendo presente (si tratta infatti di una biografia), viene sfaldata dallo slancio temporale all'indietro, in quel passato assoluto e ormai definitivamente scolpito di cui parla Bachtin.

Allora, si è detto che dopo un andamento temporale prevalentemente intimista nel corso degli altri film, Tarkovskij riesce con Sacrificio a creare una sorta di equidistanza dal tempo epico e da quello interiore (che, volendo, riprendendo i termini bachtiniani, potremmo anche denominare "romanzesco"). Vediamo adesso di analizzare più da vicino quest'ultimo punto. Innanzitutto chiedendoci: dove avviene, nel film, una dilatazione epica del tempo e dove invece esso subisce una contrazione verso le sfere interiori o, ancora, dove, tempo epico e tempo interiore riescono ad incontrarsi e amalgamarsi? Prendiamo in considerazione i movimenti, intesi sia come movimenti di macchina che come movimenti dei personaggi. Si ha allora la funzione dell'incedere, del camminare, del muoversi, funzione importantissima a questo riguardo in tutto il cinema del regista russo. L'incedere dei personaggi appare ieratico, statuario: così è il movimento, nelle scene iniziali in campo lunghissimo, dei tre personaggi, il bambino, Alexander e il postino Otto. La lentezza predomina nei movimenti, anche dove essi siano disordinati, privi di una superiore guida, come nel caso dell'incedere del postino sulla bicicletta. Lentezza marcata dalla lontananza dalla quale noi spettatori vediamo la scena, lontananza determinata dalla posizione della macchina da presa. Allora, si può dire che la posizione della macchina e un certo uso degli obiettivi determinano una sorta di lontananza che però non potremmo definire ancora "epica". Semmai, si ha qui quasi la volontà di mimare una struttura di movimento epico ed epicizzante, un movimento che risulta avvolto da un tempo che è l'antitesi di uno interiore.

La lontananza, il campo lunghissimo, il mostrare orizzonti: tramite quest'estrema apertura sacrale sul paesaggio nordico il tempo si dilata, si modifica entro una dimensione maestosa e ordinata. Lo sguardo ordinato dell'autore qui spazia ogni dove: la lontananza crea ordine e controllo, tanto più necessari alla vigilia di una catastrofe nucleare, come quella narrata nel film. L'ordine, caricato da una prospettiva lontana e sacrale, serve a fortificare lo sguardo autoriale di fronte ad immani disastri cui dobbiamo prepararci. I movimenti dei personaggi - lo ripetiamo - in queste scene iniziali sono quelli ieratici e nirvanici di un'estrema calma, la marmorea parete glaciale che però nasconde lave incandescenti. Ed ecco che a contrapporsi all'estrema fissità di tali movimenti, una volta annunciata la catastrofe, ci saranno i movimenti accelerati ed inconsulti determinati dall'attacco epilettico della donna, insieme ai sommovimenti tellurici che infrangono la delicatezza e l'ordine dei cristalli, provocati dal passaggio di aerei da guerra. L'autore, nel film, ci vuol forse suggerire l'enormità dello sforzo compiuto dal suo sguardo nirvanico per tenere sotto controllo la tremenda follia dell'umanità, della distruzione e della deflagrazione. Ancora, prendiamo in considerazione il movimento del fuoco: pur nella sua estrema dilatazione esso conserva il rigore di un ordo geometrico che cerca in ogni momento di frenare la catastrofe e la distruzione disordinata della mente e del corpo. Il fuoco che Alexander appicca alla casa è fuoco geometrizzato e salvifico, frutto di un estremo ordine. Allora, si potrebbe anche affermare che la follia che pervade il protagonista è invece l'estremo tentativo di mantenere un certo controllo ordinato di fronte agli spettri e agli orrori: follia come estremo tentativo di razionalità. Se incerto e barcollante sarà il movimento del protagonista in bicicletta verso la casa della strega, esso è comunque abbracciato dallo sguardo di una macchina da presa che possiede un occhio estremamente calmo e "catartico". Il movimento barcollante, sinuoso ed incerto diviene allora, tramite il filtro di uno sguardo superiore, scultura marmorea e ieratica, solco temporale scaturito da un ordo nirvanico e catartico. Ciò che sembra e appare disordinato è allora invece estrema espressione di un controllato sguardo autoriale? Lo sguardo epico dell'autore riesce allora a comprimere i sommovimenti interiori di personaggi e situazioni?


Lo sguardo olimpico
In effetti lo sguardo epico che si nota in Sacrificio, sotto la forma di un distacco della mdp e del punto di vista dell'autore, per un verso ha il compito di placare l'urgenza del magma, e per un altro ha quello di contemplare uno spettacolo che in fondo non avviene né nel foro interiore della coscienza personale (forse troppo segnato da ipoteche psicanalitiche) né, semplicemente, nell'arena del mondo esterno: quello che avviene accade nella realtà compresa nel suo intero orizzonte, o, al limite, nell'arena del reale, quale potrebbe risultare da un punto di vista assoluto (se questo fosse possibile). Ma lo sguardo olimpico è appunto lo sguardo di un Dio: dell'unico, se possibile, o di una potenza qualunque, che assume in sé il distacco e il privilegio di una imperturbata perfezione. Ed è singolare: il tormento dostojevskiano di Tarkovskij viene affidato ad uno sguardo che si sottrae all'ipoteca di ogni compromesso con il flusso del tempo reale, con la sua forma incompiuta, con la sua velocitas e i suoi trasalimenti. Ma, appunto, l'arte è l'arte: essa è il regno del paradosso dove il carattere sublime raffigura anche il suo inverso, e l'umano assume le cadenze del divino, anche nel più profondo dolore (che quasi rimanda alla sofferenza universale del Dio assunto come figura espiatoria).

Al di là di questo, possiamo assumere che in Sacrificio finalmente Tarkovskij perviene al tempo universale, o tocca la radice del senso del tempo, nel contesto di una forma narrativa la quale ha la maggiore restrizione entro il novero dei fatti o degli eventi rappresentati, o raffigura un minimo di eventi e di condizioni, rispetto a tutte le opere precedenti. Questa rarefazione della sceneggiatura, ovvero, del registro al quale sono affidati gli eventi che vengono rappresentati, rende possibile al tempo di liberare il ritmo e il palpito della sua ala, erigendola contro il rigore dell'orizzonte e il suo iridato ventaglio: qui il tempo discende nella sua forma assoluta come un angelo vendicatore e un bronzeo guardiano severo, il quale finalmente si accampa a custodire il tempio della rappresentazione e a disporre davanti allo sguardo l'immenso teorema. E qui abbiamo il tempo anche come metodo: il tempo infatti in questo film fluisce con il rigore metrico delle sue scansioni allo stato puro, accogliendo in una forma dolente le sembianze del mondo malinconico, severo e declinante che si nasconde dentro la sua accoglienza senza confini; ma in realtà dietro questa umbratile indifferenza abbiamo il sussulto di un pathos che registra il consumo di un'anima, o di uno spirito, nel solco di una condizione dalla quale devono essere liberati. Il protagonista del film dunque è prigioniero del tempo e nel tempo, e ad esso non può sfuggire. E il suo sacrificio autentico è quello della follia indotta dalla sofferenza, che giunge al culmine con il pesante metronomo che scandisce l'avvolgente e implacata fiamma finale, quale sipario grandioso e purificatorio che avvolge lo scenario di una corsa intrecciata e tortuosa e di una fuga senza rimedio. In questo primo finale del film - prima dell'altro e definitivo finale - abbiamo una corsa che oscilla fra i due margini estremi di una pagina del cinema, che quasi sembra anch'essa venire rapita dal fuoco, e che raccoglie ogni andata e ogni ritorno con la pendenza gotica di una cattedrale dentro il cui vuoto inesorabilmente tutto precipita, con la lentezza di un assoluto. Su questo crinale, insomma, la palpebra luminosa di un Dio sofferente indugia e indaga, disponendo nel metro e nel ritmo il grandioso apparato della sua idea (necessaria e sovrana).

La cattedrale e il vulcano
Il tempo, allora, nel cinema di Tarkovskij è la rappresentazione arcana e la granitica cattedrale di un magma interiore che altrimenti potrebbe defluire in modo più disordinato e confuso. Potrebbe, ad esempio, venire espresso con le modalità del "cinema-movimento", per applicare ancora le categorie deleuziane, attraverso un'eruzione di movimenti (sia "movimenti di macchina" che "storie movimentate") e di estreme angosce interiori. Ad esempio, il cinema di Lars von Trier e del "Dogma" è una variante particolare del "cinema-movimento", poiché l'uso estremo e caricato del movimento di macchina esprime in maniera imponente e violenta l'erompere dell'estrema angoscia che attanaglia i personaggi e che spesso si esprime anche attraverso lo stilema dell'urlo. E si potrebbe pensare anche al cinema di Ingmar Bergman che, pur non possedendo la velocità del cinema del danese (derivata comunque da istanze sperimentali), rappresenta l'icona meccanica e razionalizzata dell'angoscia. Quest'ultima, nello svedese, viene incanalata entro una scansione precisa ed ordinata come quella dell'orologio: è frequente, infatti, il ticchettio dell'orologio che scandisce granulosamente l'angoscia dei personaggi. Tale ordine è comunque trattenuto in una fragile intelaiatura: la violenza e l'urlo che erompono sono sempre in agguato (si pensi, ad esempio, rispettivamente a La fontana della vergine e a Sussurri e grida).

In Tarkovskij, invece, assistiamo ad un controllo supremo del magma dell'angoscia più oscura e inspiegabile - che pure sussiste - che si sublima in un'architettura permeata dalla sinuosità di una iridescente catarsi. Tale architettura è un tempo scolpito, è il tempo che diviene scultura e che trattiene la vischiosità magmatica del disordine interiore e oscuro. Il movimento di macchina esprime allora la calma catartica del tempo che tutto avvolge. Esso risulta quindi lentissimo e predilige le inquadrature in campo lungo o lunghissimo e, se indugia su primi piani, inquadra volti abilmente scolpiti dall'icona di un'angoscia ormai anestetizzata e incorporea. Lo sguardo "epico" della mdp di Andrej Rubliov diviene scalpello cesellatore di tempo, di istanze temporali che si susseguono come in una sequenza onirica e imperturbabile. Così è scalpello di paesaggi che divengono essi stessi materia del tempo - si pensi a Lo specchio, Stalker, Nostalghia, ma anche Sacrificio - e scalpello che forgia inconsapevoli e orribili revenant, come gli "spettri" di Solaris, o le immagini della moglie e della famiglia lontane che turbano il protagonista di Nostalghia. Lo stesso sguardo dell'autore si trasforma in tempo e sembra che lo faccia tramite una sua essenza privilegiata, che rappresenta insieme il magma estremo e una compatta calma, il fuoco. È attraverso il fuoco che viene eretta la catarsi estrema di una cattedrale (come quella scoperchiata di San Galgano alla fine di Nostalghia) che salva dallo sgomento e dall'angoscia come da improvvise eruzioni vulcaniche. Il fuoco, contrapponendosi alla massa oscura dell'acqua (simbolo di ieratici e inenarrabili viaggi nella psiche) e contemporaneamente assorbendola, integrandola, rappresenta il suggello che in Tarkovskij racchiude il magma dei movimenti angosciosi. E tale suggello è il tempo scolpito.

Note
1) Cfr. A. Tarkovskij, Scolpire il tempo, Ubulibri, Milano 1997, in particolare alle pp.55-64. A tal proposito, è opportuno considerare la seguente affermazione: "Tra tutte le altre arti quella che risulta relativamente più vicina al cinema è la musica: anche in essa il problema del tempo è fondamentale. Ma lì viene risolto in maniera completamente diversa: la materialità vitale nella musica si trova al confine della sua totale scomparsa. Laddove la forza del cinema consiste proprio nel fatto che il tempo viene colto nel suo legame concreto e indissolubile con la materia stessa della realtà che ci circonda ogni giorno e ogni ora" (cit., p. 59).
2) Per tutto questo, cfr. G. Deleuze, L'immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1984 e L'immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1989.
3) M. Bachtin, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino 1979, p. 455.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.