Draquila - L'Italia che trema PDF 
Alice Sivo   

Il film documentario di Sabina Guzzanti inizia come un disaster movie. Il centro storico dell’Aquila non esiste più. Strade senza vita, piene solo di macerie. Un gatto rompe il silenzio. Il sindaco della città, seguito da una camera a mano, crede di riconoscervi il suo, perso probabilmente durante il terremoto. Le atmosfere da film catastrofico cedono poi il passo a quelle da film dell’orrore. Un orrore al quale è difficile non partecipare, specie quando la regista lascia parlare le immagini, che scatenano sentimenti di sdegno, rabbia e commozione. Per tutte le persone che dopo quella terribile notte si sono trovate senza casa, catapultate in zone di accoglienza “militarizzate”, in anonimi alberghi lontani dalla propria terra, ad attendere, nel migliore dei casi, dimore stile Ikea costruite su terreni agricoli in cui si sentiranno soltanto ospiti, attenti a non rompere le dozzinali suppellettili catalogate dall’alto con pedante diligenza, perché poi dovranno restituirle integre prima di andar via (dove? quando?), così fieri della bottiglia di spumante che il Presidente del Consiglio ha fatto trovare lì per loro da tenere intatta anche quella, per ricordo. Per tutto quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto per prevenire la catastrofe. Per i troppi lati oscuri della gestione del post-terremoto, che è stata per Berlusconi (è questa una delle tesi del documentario) un’occasione d’oro per la ricostruzione della propria immagine.

Gli argomenti trattati sono scanditi da inserti grafici e dalla voce narrante della regista. Prima viene dato spazio alle interviste degli abitanti grati a Silvio Berlusconi (come la signora che se lo sposerebbe e che dice “meno male che abbiamo un uomo a cui piacciono le donne, che non è gay”). I nodi del terremoto cominciano a venire al pettine con le voci critiche di chi ritiene che il “paternalismo oppressivo” di Berlusconi abbia approfittato di una popolazione traumatizzata, e quindi più mite, per trasformarla in un gregge. La vita nei campi di accoglienza al telegiornale non ce l’hanno mai raccontata così. Il divieto di bere coca cola, caffè e alcolici per non eccitare gli animi per un momento può far sorridere, ma poi scatena una rabbia incredula per l’organizzata e graduale sospensione dei diritti (compreso quello all’assemblea) attuata dalla Protezione Civile nelle zone terremotate. Proprio alla Protezione Civile e al suo guru Bertolaso (che promette per mesi un’intervista che non concederà mai) è dedicato ampio spazio, con più di un accenno sulle storture provocate dalla creativa equiparazione tra emergenza e grandi eventi attraverso una legge che è riuscita a mettere sullo stesso piano manifestazioni religiose di ogni genere, il G8 (previsto alla Maddalena e poi spostato con un colpo di teatro all’Aquila) e i mondiali del nuoto, con conseguenze catastrofiche che dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti (ma purtroppo non lo sono). Il momento dell’autocritica è relegato alla rappresentazione del tendone del Pd perennemente vuoto, mentre il capitoletto Berlusconi e la mafia, con l’intervista al figlio di Vito Ciancimino, appare totalmente fuori tema.

La regista fa continuamente capolino nel suo racconto. E anche se dopo un siparietto iniziale nei panni di Silvio Berlusconi il pericolo di onnipresenza totale viene scongiurato, la Guzzanti trova altri modi per occupare l’inquadratura. Sempre di lato, sempre a lasciar parlare gli altri, apparentemente discreta ma in realtà invadente, a sottolineare l’ovvio con commenti pleonastici, occhi strabuzzati e una capigliatura perennemente spettinata ad arte. Il suo stile fonde una militanza alla Michael Moore all’urgenza sacrosanta di parlare ad un pubblico vasto. Sembra aspirare al rigore di Report, ma nei risultati è più vicino ad un servizio de Le Iene (le scelte grafiche ne sono un chiaro richiamo). Al film resta comunque il merito di scuotere, di sconvolgere e di far discutere. Il dolore degli abitanti indignati che sfondano le transenne del centro storico dell’Aquila dopo la pubblicazione delle intercettazioni dell’agghiacciante telefonata tra Piscicelli e Gagliardi è contagioso. Così come la resistenza naïf del professor Colapietra – che ricorda quella del vecchietto di Up –, l’unico aquilano che si è rifiutato di lasciare la sua casa nel centro storico e che continua a vivere lì, tra i suoi libri e le sue cose (la sua storia avrebbe meritato da sola un intero documentario). Le immagini del centro della città abbandonato alle macerie mostrano tutta l’assurdità della scelta di costruire nuovi agglomerati abitativi (con il conseguente sradicamento dei cittadini dalla loro realtà, dalle loro abitudini, dal loro stile di vita), piuttosto che puntare sulla ricostruzione del centro storico. A ripensarci viene ancora da tremare.

TITOLO ORIGINALE: Draquila – L’italia che trema; REGIA: Sabina Guzzanti; SCENEGGIATURA: Sabina Guzzanti; FOTOGRAFIA: Mario Amura, Clarissa Cappellani; MONTAGGIO: Clelio Benevento; MUSICA: Riccardo Giagni, Maurizio Rizzuto; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2010; DURATA: 93 min.

 


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