Lasciami entrare PDF 
Matteo Marelli   

Essi non dormono, se non fanno del male; non si lasciano prendere dal sonno, se non fanno cadere qualcuno; mangiano il pane dell'empietà e bevono il vino della violenza.
(Proverbi 4,16-17)

Camminavi verso la scuola, e un odio cupo ti prendeva verso tutti i compagni; elaborando per loro mille morti diverse ti riscaldavi in un’esaltazione che presto putrefaceva in veleno.
(Michele Mari)

"All’interno del genere horror, la figura più popolare e allo stesso tempo più raffinata per la complessità del suo bagaglio culturale, è (e rimarrà) quella del Vampiro” (1). È un rapporto prolifico quello instauratosi tra cinema e vampiri, che ha origini antichissime, risalenti ai primordi dello spettacolo cinematografico. Sebbene si sia soliti considerare come primo film a tema vampirico il Nosferatu di Friedrich Wilhelm Muranu del 1922, la prima apparizione di queste creature è da retrodatare di ventisei anni, precisamente il 24 dicembre 1896, quando al teatro Robert-Houdin fu proiettato Le manoir du diable, cortometraggio di Georges Méliès. Fin dalle sue origini, insomma, il cinema “scopre la vocazione al genere fantastico che non tarda a comprendere nel proprio linguaggio l’icona del vampiro” (2). I vampiri trovano nel cinema una dimora confortevole entro la quale riprodursi. C'è una forte rassomiglianza tra l'immagine cinematografica e la figura del vampiro, un'essenza comune: entrambe si manifestano nell'oscurità e non sopravvivono alla luminosità del sole, hanno una natura umbratile e metamorfica, sono simulacri, condividono la medesima tensione verso l'immortalità. Il cinema, infatti, come analizzato da André Bazin nel saggio Ontologia dell'immagine fotografica, può travalicare la morte per mezzo di un meccanismo di eternazione quasi soprannaturale che può essere considerato simile al vampirismo. Il vampiro dunque, anche per via di affinità costitutive, è tra le icone predilette del cinema, protagonista di innumerevoli e innumerabili pellicole. Ultima, ma solo per il momento, Lasciami entrare di Tomas Alfredson.

Il film di Alfredson rilegge i codici del genere "vampiresco" attraverso la crudele bellezza di un percorso di formazione che descrive il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, fase caratterizzata da un'endemica irrequietezza evolutiva, cuore di tenebra delle più cupe ossessioni, che si rivelerà anche una vera e propria educazione sentimentale. Il regista mette in scena con discreta intensità l'avvicinamento affettivo di due dodicenni, Oskar ed Eli, non integrati col mondo attorno, due entità aliene, allo stesso tempo vicine e distanti. Entrambi vivono infelicemente la quotidianità, subiscono una comune condizione d'emarginazione, diretta conseguenza della loro diversità. La solitudine di cui sono vittime ha però cause differenti. Oskar è bersaglio di continue vessazioni, umiliazioni, mortificazioni, messe in atto con puntuale e accanito sadismo dai propri coetanei, coi quali è incapace di costruire rapporti d'amicizia a causa d'una profonda timidezza, superficialmente interpretata dagli adulti come innata indifferenza. Eli è un vampiro, e vive questa sua condizione come una malattia cronica e incurabile, che la obbliga all'isolamento. Non a caso, le prime parole che le sentiamo rivolgere ad Oskar, suo nuovo vicino di casa, la sera seguente il suo arrivo, sono: "io non posso essere tua amica".

Altro elemento di contatto è la violenza. Anche in questo caso però, come per la solitudine, la violenza per Eli è la conseguenza d'una necessità. Lei è costretta ad uccidere per sopravvivere. Per Oskar è un desiderio che non trova realizzazione. Sono differenti, cosa che viene suggerita anche visivamente: Oskar è d'una chiarezza diafana, quasi accecante, ha un profilo delicato; Eli ha i capelli nerissimi, occhi enormi, tratti acerbi ma già marcati, ed è una forestiera. È quest'amalgama di somiglianze e di diversità chi li porta prima a cercarsi e poi a desiderarsi. Un desiderio ingenuo e immaturo, che si manifesta attraverso gesti lenti, goffi, carichi di tremante pudore. Eli ha una funzione rivelativa per Oskar, lo esorta a guardare dentro le cose con l’onestà e il coraggio di scoprire anche ciò che ferisce e fa male. Lui capisce la sua importanza, il valore salvifico della sua amicizia,  e non vuole perderla, né nel momento in cui gli dice di non essere una ragazza, né quando capisce che si tratta di un vampiro, né quando la vede attaccare e uccidere un uomo. Ma ogni rapporto d'amore comporta delle rinunce, e quelle a cui va incoscientemente incontro Oskar sono dolorosissime. Accettare Eli vuol dire autocondannarsi ad un'irrimediabile solitudine, privarsi di ogni altro affetto, convivere quotidianamente con la violenza e con la morte. Quello di Oskar è un sacrificio totale, lo stesso affrontato da Håkan, l'anziano accompagnatore di Eli all'inizio del film, costretto a commettere complicati e maldestri omicidi per poter far sopravvivere la giovane vampira. Egli altro non è che Oskar tra alcuni decenni.

Lasciami entrare recupera un'antichissima credenza, raramente utilizzata sia in ambito letterario che cinematografico, secondo la quale per un vampiro sarebbe impossibile poter accedere in un'abitazione se non invitato.  La casa, pregna dell'energia vitale dei suoi abitanti, passati e presenti, possiederebbe un'aura difensiva invalicabile per qualsiasi creatura oscura. Alfredson ha la straordinaria capacità di piegare questo tòpos alle proprie esigenze narrative, facendo della  richiesta d'invito una straziante domanda d'affetto. Come ogni vampiro che si rispetti Eli fa la sua comparsa da una finestra. Il lento carrello iniziale ci mostra Oskar affrontare la sua immagine riflessa come se si trattasse d'uno di quei compagni su cui vorrebbe vendicarsi. Ad interrompere questo sfogo solispsistico è l'arrivo della macchina di Eli. Fin dall'inizio la giovane vampira ci si presenta come l' "Altro" rispetto ad Oskar, che si intromette nella sua vita distogliendolo dalla propria solitudine. È un avvicinamento graduale quello tra i due protagonisti, che via via si fa sempre più intimo. Fino a quando Eli entra letteralmente dalla finestra di Oskar, e ancora sporca di sangue, per aver commesso un brutale e necessario omicidio, si leva gli abiti e si sdraia accanto lui in cerca di un abbraccio che riesca a scaldarla anche solo per un attimo. Il suo entrare dalla finestra può essere letto anche come gesto simbolico che, ricollegandosi con quanto accennato precedentemente, rimanda all’ingresso nel mondo cinematografico attraverso un quadro/schermo per farsi, usando una definizione pirandelliana, “parvenza evanescente”.

Alfredson lavora di sottrazione, la sua regia è essenziale. La scelta estetica di lasciare quasi sempre l'orrore fuori fuoco, o addirittura fuori campo, facendo emergere una figura e sfocando la restante parte dell'inquadratura, fa venire in mente le soluzioni adottate da un grande maestro del cinema, Carl Theodor Dreyer, per Vampyr, film in cui molte scene suggeriscono che qualcosa di terribile sta accadendo appena fuori dall'inquadratura, e che i carrelli e le panoramiche della macchina da presa arrivano sempre troppo tardi per catturarlo. Altro grande merito del regista è quello di adottare sentieri narrativi più impervi, riducendo al minimo le informazioni, per infittire il mistero e affidare gran parte del lavoro di decifrazione all'immaginazione dello spetttore. Efficacissima la cornice paesaggistica, una Stoccolma invernale, notturna e periferica dei primi anni Ottanta, che Alfredson sa osservare con uno sguardo  di stampo socio-antropologico. Una città ammantata dalle tenebre, dalla neve, e dal silenzio, avvolta in un indolente torpore, scossa da violenti assassinii che fanno affiorare inquietudini profonde e paure inespresse.

Lasciami entrare è un film rigoroso, un horror di alto valore pedagogico, che andrebbe proiettato nelle scuole se insegnanti e genitori non si facessero convincere e spaventare da facili etichette. È delicato e toccante, aperto a molteplici chiavi di lettura, un potente melodramma gotico che descrive con sincerità i misteri e la notturna vitalità proprie di un'età inquieta.

Note:
(1) M.D. Cammarota Jr., I Vampiri, Fanucci, Roma, 1984, p.9
(2) Maurizio Fantoni Minnella, Morire di piacere: il mito del vampiro nel cinema, GS Editrice, Santhià (VC), 2000, p. 62.

TITOLO ORIGINALE: Låt den rätte komma in; REGIA: Tomas Alfredson; SCENEGGIATURA: John Ajvide Lindkvist; FOTOGRAFIA: Hoyte Van Hoytema; MONTAGGIO: Tomas Alfredson, Daniel Jonsäter; MUSICA: Johan Söderqvist; PRODUZIONE: Svezia; ANNO: 2008; DURATA: 114 min.

 


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