Uomini di Dio PDF 
Nicolò Vigna   

Cinque anni dopo Il grande silenzio del tedesco Philip Gröning, un altro film torna a riflettere (e a “far riflettere”) sul ruolo del sistema monastico oggi. Si tratta del nuovo lavoro di Xavier Beauvois, Uomini di Dio (Des homme et des dieux), film in cui il regista  francese ricostruisce la strage di sette monaci trappisti per mano di un gruppo di terroristi islamici, avvenuta nel 1996 in Algeria. Una ricostruzione che, a ben vedere, non limita il proprio discorso al singolo caso preso in esame, ma tenta (riuscendovi) a dirci molto di più. Evitando riferimenti specifici sulla localizzazione degli eventi (attraverso l’assenza di didascalie iniziali e dialoghi ridotti all’essenziale), il film di Beauvois vuole farsi garante di un messaggio universale che, partendo dal microcosmo del monastero situato sulle montagne dell’Atlante, diviene metafora religiosa e umana. Nella “semplicità” della storia raccontata possiamo infatti intravedere l’essenza stessa del sacrificio: un gruppo di monaci dediti alla cura dei malati in Algeria viene minacciato dalla presenza di alcuni terroristi islamici. Da un dissidio iniziale, che ne mette in crisi l’unità, il gruppo di monaci, attraverso il dialogo e la comprensione reciproca, deciderà (a dispetto delle autorità francesi che vogliono il loro rientro in patria) di rimanere nel monastero e di non cedere alle pressioni. Questo li porterà alla morte, ma il loro messaggio di pace si propagherà negli anni diventando esempio per le generazioni a venire.

Beauvois, per la prima volta nella sua carriera, si confronta con la Storia, riuscendo a svincolarsi da alcuni vezzi autoriali cui aveva abituato i suoi spettatori (N’oublie pas que tu vas mourir e Le petit lieutenant) e ad approdare quindi a temi forti, importanti, che lo stanno imponendo all’attenzione del grande pubblico. Gran premio della giuria di Cannes, il film ha infatti riscosso un inaspettato successo (soprattutto in Francia): inaspettato in quanto Uomini di Dio difficilmente si può considerare un film “semplice”. E se lo stile del film richiede un approccio complesso alle sue dinamiche, i temi non certo concilianti – quello del martirio, della scelta, del sacrificio – non sono sicuramente tra i più “facili” che il cinema può oggi proporre. Quello che colpisce maggiormente del lavoro di Beauvois è l’apparente naturalezza del suo approccio: piuttosto che puntare all’accumulazione di fatti narrativi, il regista riduce all’essenziale la storia, di modo da potersi concentrare sul messaggio finale. Se è vera la concezione che “la forma è il contenuto”, Uomini di Dio si presenta come un caso paradigmatico. All’austerità della vita monacale fa da contrappunto la regia essenziale di Beauvois. Essenziale, ma che non scade nell’ingenuità della mera documentazione dei fatti. Il film, infatti, si potrebbe idealmente suddividere in due parti: la prima prettamente documentaristica, in cui il regista ci racconta, con austerità, la vita condotta dal gruppo di monaci; e una seconda, ovvero quella che corrisponde alla crisi del gruppo religioso dopo le prime minacce dei terroristi, in cui il “grande silenzio” viene rotto e i toni del film assumono connotati epici. Dalle lunghe panoramiche illustrative che raccontano la vita nei campi dei monaci, o la fredda rigorosità dei totali con cui ci vengono mostrate le messe nel convento, si passa ad una messa in scena maggiormente coinvolgente. La partecipazione emotiva per gli eventi raggiunge il suo apice nella sequenza (probabilmente la migliore dell’intero film) dell’“ultima cena” dei monaci prima della strage, in cui il gruppo si concede il piacere dell’ascolto de Il Lago dei Cigni di Tchaikowsky. L’uso dei primissimi piani e il contributo della musica diegetica intensificano vertiginosamente l’impatto emotivo del film, andando quasi a stridere con la prima parte, che ci aveva abituati ad una sorta di distacco partecipativo.

Ma Uomini di Dio non è solo “registicamente” interessante. Notevole è anche la cura rivolta ai particolari. Che siano quelle poche candele accese per la celebrazione del Natale oppure i vasetti di miele che vengono confezionati e riposti nelle apposite casse, Uomini di Dio descrive con grazia bressoniana il rapporto tra il mondo materiale e quello spirituale. Non sono le (poche) parole a contare nel film, ma gli oggetti, i gesti, le azioni. E, in questo, gli interventi “mediativi” dell’arte pittorica paiono assolutamente centrali. I quadri (che siano presentati profilmicamente, come nel caso della Vergine di Antonello da Messina, oppure siano tradotti in tableau vivant, come il Cristo Morto di Mantegna) ricorrono nel film come intensificazione del ruolo dell’oggetto e del rapporto con il divino. In particolare una sequenza, in cui il monaco si rivolge ad un dipinto caravaggesco, sembra suggerire questa ricerca interiore del personaggio attraverso l’elevazione spirituale dell’oggetto. Vi è quindi, nel film di Beauvois, un interesse non semplicemente registico, ma anche di carattere scenografico: il percorso dei monaci verso il martirio passa anche attraverso questa dialettica tra oggettuale e spirituale. Non da meno è il lavoro svolto dagli attori, in particolare da Lambert Wilson e Michael Lonsdale, che, attraverso una recitazione misurata ma intensa, riescono a suggerire allo spettatore il travaglio interiore dei loro personaggi. I loro volti, catturati in primissimo piano durante la già citata sequenza dell’“ultima cena” si fanno rivelatori, e lasciano spazio alla commozione, che, fino a quel momento era stata come trattenuta. Ognuno con le proprie debolezze troverà nell’unione finale la propria forza. Basti pensare ad un’altra sequenza forte del film, quella dell’elicottero che sorvola il monastero: qui, attraverso il canto, i monaci si contrappongono al rumore stordente delle pale dell’elicottero, riuscendo a sopraffare il pericolo e vincere la propria paura individuale con la loro forza collettiva. 

In conclusione, Uomini di Dio, pur presentando una prima parte forse poco “intrigante” (per il lavoro di anti-spettacolarizzazione della regia), sembra procedere in crescendo fino a raggiungere momenti di grande emozione, riuscendo bene nell'intento di far riflettere, ancora una volta, sul rapporto tra scelta individuale e vocazione religiosa, sul sacrificio e sul martirio, e, soprattutto, sul significato stesso delle proprie azioni.

TITOLO ORIGINALE: Des homme et des dieux; REGIA: Xavier Beauvois; SCENEGGIATURA: Xavier Beauvois, Etienne Comar; FOTOGRAFIA: Caroline Champetier; MONTAGGIO: Marie-Julie Maille; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 2010; DURATA: 120 min.

 


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