17° Festival Internazionale Film con Tematiche Omosessuali - Giorni di Laura Muscardin PDF 
di Fulvio Montano   

Mal distribuito al tempo della sua uscita nelle sale, il film è stato presentato da Laura Muscardin (che era anche in giuria) fuori concorso al Festival del Cinema Gay di Torino, proprio per il fatto di essere uno dei pochi esempi di film a tematica omosessuale che si girano in Italia.
Adattamento del testo teatrale di Davide Osorio Il volto dell'assassino, sceneggiato da Monica Rametta (Premio Solinas 1997) e gravato dai limiti dell'esordio della regista nel lungo, Giorni si presenta però come un prodotto ambiguo, bifronte. Bifronte e un tantino paraculo, tanto che se da un lato colpisce per il coraggio di affrontare di petto il problema della sieropositività e (seppur indirettamente) dell'omosessualità, dall'altro delude per la scelta di proporre una trama ed una regia tutto sommato scontate, in cui ambienti stereotipati nella loro scarsa funzionalità e macchiette di mucciniana memoria sono immortalati in una realtà annacquata, da fiction televisiva, che invalida il discorso sulla crudezza e l'assurdità di una sentenza inappellabile e forse ingiusta.
Filtrata dal viso contratto del protagonista prima e dalla sua rabbia poi, la vicenda è raccontata in tono realista e senza lirismo, scandita dalle sue sedute in palestra, dalle visite in ospedale, che omaggiano l'ultimo Jarman dissolvendosi in blu, e dalla claustrofobica ristrettezza dell'ufficio in cui lavora. Un aderire a tutti i costi al reale, un appiattirsi per dirla meglio, che invece di valorizzare personaggi e conflitti, liquida in fretta qualsiasi slancio sia registico che narrativo, tanto che i dialoghi più che scarni ed essenziali risultano alla fine futili, banali.

In un certo senso è come se mancasse l'armonia tra le parti per dar vita ad un tutto coerente e godibile. Lo stesso utilizzo della voce off è superfluo (c'è all'inizio, rispunta qua e là e alla fine si impossessa persino della chiosa, arrogandosi il diritto di spiegarci il film e la sua morale) e non aggiunge nulla al personaggio né alla vicenda, anzi è in contrasto con una storia che sembra non credere nella possibilità di una comunicazione e tende a ripiegarsi su se stessa.
La scelta non più obbligata (caduti i tabù sulla malattia come punizione divina per pederasti) e mal riuscita di raccontare una storia omosessuale, che con tristezza osserviamo ricalcare pedestremente dinamiche da coppia etero, sembra rivelare la distanza della regista da quegli ambienti nonché da quelle dinamiche.
Insomma, Giorni rivela tutte la sua ambiguità riproponendo stereotipi già collaudati da tanta fiction, soprattutto, niente a che vedere con l'ambigua messinscena di Ozpetek nelle sue Fate Ignoranti o del favoloso Happy Together di Wong Kar-Wai. E non solo per il fatto che la Muscardin non è paragonabile al genio di Kar-Wai o all'esperienza di Ozpetek, ma perché nel suo film c'è una rinuncia a sperimentare e nello stesso tempo una volontà, al di là del tema trattato, di omologarsi, un desiderio di essere catalogati ad ogni costo, forse per ottenere un lasciapassare per poter fare del vero cinema.
Se tanto cinema Americano indipendente ricalca modelli del mainstream perché è a questo circuito che aspira, in Italia sembra accadere la stessa cosa per questa sorta di cinema-fiction, inaugurato da Muccino come riedizione della commedia classica italiana.

Curioso nello stesso luogo ed a pochi minuti di distanza dal film della Muscardin, godere del genio Fassbinder e delle Lacrime amare di Petra Von Kant (Die bitteren Tranne der Petra Von Kant, 1972). Gustare la sua freschezza soprattutto, la sua originalità che trasuda di Kammerspiel e l'ostinazione dell'autore tedesco ad un rinnovamento senza sosta, sempre in cerca di una maniera diversa di sfogare le proprie frustrazioni e proporre la sua personale visione del mondo.

 


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