Dopo essersi smarrito negli spazi siderali di Marte (Mission to mars, 2000), con Femme Fatale Brian De Palma torna alle proprie ossessioni, al desiderio di mostrare il cinema a modo suo, all'irreprimibile tentazione di giocare con lo spettatore.
Fin dal titolo è evidente la volontà di De Palma di raccontare un cliché, uno degli stereotipi più accattivanti e conturbanti della settima arte. La donna fatale, infatti (da Barbara Stanwyck a Linda Fiorentino, da Brigitte Helm a Melanie Griffith, da Patricia Arquette a Rebecca Romijn-Stamos) racchiude in sé tre dei motivi su cui si basa il cinema stesso: erotismo, violenza e menzogna. Mettendo in scena le azioni "preconfezionate" di Lily-Laura (Rebecca Romijn-Stamos), il regista si vuole esprimere ancora una volta sull'effimera interazione tra realtà e finzione da un punto di vista sia narrativo sia linguistico.
Il suo personale stile barocco - governato da lunghi piani sequenza, dolly, steady-cam e split screen (il cui uso insistito è un ulteriore richiamo alla bidimensionalità del reale) - è, in questo caso, al servizio di una narrazione inconsistente e pretestuosa: il grande colpo al Festival di Cannes giocato sulle note del Bolero è talmente fittizio da sfiorare il ridicolo come la miracolosa coincidenza di eventi che permette a Laura e alla complice Veronica (Rie Rasmussen) di guadagnarsi l'amore, la ricchezza e la libertà dai due segugi alle loro costole. E ancora la relazione mortifera tra Nicolas Bardo e Lily-Laura ricalca pedissequamente gli stereotipi offerti dal genere, anche se non si possono omettere alcuni a solo offerti dal regista come la ferina lotta tra Bardo e Napoleone ridotti dalla perfida Laura a veri e propri "uomini ombra".
Il regista inganna letteralmente per più di un'ora lo spettatore, non senza però fornire, in maniera elegante, gli indizi utili alla comprensione.
Femme fatale infatti non si risolve nell'inflazionato meccanismo del sogno-risveglio, ma, al contrario, questo è orchestrato secondo tre momenti fondamentali quali anticipazione, visualizzazione e spiegazione.
Che la protagonista sia in procinto di vivere un'esperienza onirica è anticipato fin dalla prima inquadratura con la sovrapposizione-immedesimazione, realizzata attraverso uno schermo televisivo, del personaggio di Barbara Stanwyck con quello di Rebecca Romijn-Stamos, creando così una dissolvenza incrociata "catodica" dal sapore postmoderno. Sempre dallo schermo televisivo arriva il secondo richiamo alla possibilità di rivivere nei sogni esperienze di una vita passata o futura. E ancora un germe della fase successiva si scorge in un piccolo insetto che si muove proprio sul bordo della vasca da bagno dove si addormenta la protagonista, vera e propria porta di connessione tra due realtà: Dalì non visualizzò forse i sogni come dei piccoli insetti che uscivano da una mano?
Per quanto riguarda la visualizzazione, le cose diventano ancora più semplici. Infatti il cielo onirico creato dal regista di Omicidio a luci rosse è costellato di continui richiami alla realtà vissuta dalla protagonista riletti dalla sua psiche. Solo per citarne alcuni, si possono menzionare l'acquario nella stanza dove avverrà il suicidio di Lily, dal quale trabocca un'ingente quantità d'acqua, esplicito richiamo alla vasca da bagno; la scritta deja-vu sul cartellone pubblicitario di fronte alla cattedrale di Belleville che ritrae la foto scattata da Nicolas Bardo (Antonio Banderas); la camicia ancora sporca di sangue del perfido Black Tie; il barista del Sailor Bar, il pessimo locale dove Laura-Lyli e Banderas si recano in attesa dell'arrivo del riscatto, che è la guardia corrotta che li aiuta nel colpo al Festival.
La spiegazione non fa altro che riassumere ciò che già è stato mostrato precedentemente per poi rileggerlo nell'ennesima chiave allegorica. Femme fatale diventa così un perfido gioco di scatole cinesi o un mosaico scomposto come quello creato da Bardo sulla parete del suo appartamento.
L'ultima prova di De Palma - malgrado qualche elemento ridondante come l'utilizzo di una semplice scritta (sette anni dopo) come espediente per visualizzare il passaggio temporale, il citazionismo esasperato dell'opera omnia di Hitchcock o il malizioso richiamo alle nuove atmosfere lesbo imposte da Lynch – è l'ennesima parola aggiunta al vocabolario del nuovo cinema che, a dispetto di quello che professa Greenaway, sembra essere tutt'altro che morto.
|