Zavattini e Fellini: due estetiche a confronto PDF 
Francesco Di Benedetto   
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Zavattini e Fellini: due estetiche a confronto
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Sul piano delle garanzie pratico-operative via via indicate da Zavattini, vorrei ricordare almeno l'abolizione del montaggio, la scelta di soggetti non straordinari e la pratica del film non narrativo. Quanto all'abolizione del montaggio, essa va intesa in termini non strettamente letterali: ciò che rileva è lo spostamento dell'attenzione dello spettatore da una serie di situazioni narrative differenti, fra di loro più o meno logicamente correlate secondo principi di causa ed effetto, al singolo evento o momento della vita di un uomo, sufficiente di per se stesso a costituire materia per un film; un esempio, evinto da "Neorealismo ecc.", può essere quello dei "novanta minuti consecutivi della vita di un uomo". Fra le varie conseguenze di una simile pratica del medium cinematografico ricordo l'abolizione di ellissi e gerarchie fra gli eventi finalizzate alla costruzione di un intreccio: l'apertura dell'autore nei confronti dei materiali della realtà comporta infatti un pari amore e una pari disponibilità a lasciarsi emotivamente segnare da ciascun momento dell'esistenza dell'uomo; la costruzione di un intreccio composto solo dai momenti più appariscenti si rivela così un'eccessiva forzatura dell'elemento oggettivo nella dialettica instauratasi fra la soggettività dell'autore (e dello spettatore) e il mondo. Lo stesso discorso opera riguardo alla "lotta" intrapresa da Zavattini nei confronti dell'"eccezionale", da cui scaturisce l'esigenza di scegliere soggetti ascrivibili alla sfera dell'ordinario, della quotidianità. Un cinema standardizzato sulla misura di ciò che comunemente si ritiene eccezionale comporta la chiusura dei soggetti coinvolti nella realizzazione e nella fruizione a quanto di altro, di diverso, di imprevisto e di non programmabile "eccezionale" non è. In entrambi i casi si impone dunque la necessità dell'esercizio della pazienza, della lotta contro la noia (prima e più superficiale reazione dell'uomo di fronte alla realtà, secondo Zavattini) da parte dello spettatore, quale condizione imprescindi bile di un'autentica comunione con l'altro.

Quanto al film non narrativo, eccetto l'ipotesi limite e tanto discussa del "film lampo", si tratta di un film che escluda qualsiasi ipotesi di rappresentazione di una storia (reale o inventata) già compiutamente prefigurata in precedenza, e di un film che abbia ad oggetto d'indagine quegli stessi uomini che compaiono nelle inquadrature. L'intreccio è infatti da Zavattini considerato un'astrazione che possa prefigurare in maniera fin troppo penetrante l'alterità oggetto dello sguardo della macchina da presa. Al di là dell'intreccio si apre la possibilità di un effettivo operare del medium quale arte del presente: gli elementi oggettivi saranno autonomamente presenti nel momento e nel luogo stesso dell'espressione (la ripresa), non potendo essere semplicemente ricondotti alla sfera virtuale di un passato che li abbia, sia pur tendenzialmente, già previsti e configurati. Ciò non esclude un'attività di preparazione del film e in particolare la sussistenza di un piano d'indagine posto in essere da chi la condurrà poi in loco servendosi della macchina da presa.

Riguardo alle conseguenze sul piano teorico di questa concezione dialettica del medium cinematografico, d'incontro fra l'autore e il profilmico, si legge in "Neorealismo ecc.", "la macchina (da presa) non fotografa, non deve fotografare, ciò che abbiamo pensato, ma fotografare ciò che pensiamo nell'atto stesso in cui lo vediamo"; come a dire che il cinema è pensiero calato nella concretezza delle cose (il cinema fotografa, dunque materializza nella visione, ciò che si pensa) ed al tempo stesso è un pensiero non preesistente ma attivato ed operativo proprio nel momento della visione. La prospettiva indicata da Zavattini è dunque quella di una sintesi, di una risoluzione, nella pratica del cinema, dell'antinomia occidentale fra l'universo del pensiero da un lato e l'universo del sensorio (e in particolare della vista) dall'altro. Assimilabile allo scioglimento della contrapposizione pensiero e sensorio è lo scioglimento, attuato nel cinema, della dicotomia arte e vita. Si è detto come la concezione che Zavattini ha dell'espressione cinematografica si radichi tutta nel rapporto operativo (nella fattispecie conoscitivo e affettivo) con il mondo, con l'altro da sé, e dunque nella vita, vita e rapporto non sottoposti ad alcuna mediazione che prescinda solipsisticamente dal contatto con suddetta alterità. Zavattini constata a proposito nel 1949 (in una relazione ad un convegno sul cinema, ascritta poi alla raccolta di scritti "Neorealismo ecc.") il fatto che il cinema italiano avvicini "sempre più i due termini vita e spettacolo affinché il primo ingoi il secondo". La compenetrazione fra arte e vita, fra vita e spettacolo, opera così nel segno dell'acquisizione autonoma da parte della vita di una propria valenza estetica. Per comprendere questo delicato passaggio teorico può essere forse utile il paragone con l'estetica dadaista del ready made. Nel dadaismo come nel cinema teorizzato da Zavattini si assiste all'iscrizione nella sfera dell'"arte" di un gesto direttamente correlato alla vita concreta; un gesto che assume nel caso del dadaismo i connotati della proposizione dell'oggetto "già prodotto", e, per quanto concerne il cinema teorizzato da Zavattini, i connotati dell'atto conoscitivo e affettivo di dialettica nei confronti del profilmico; ora però, mentre nel dadaismo l'elemento della vita concreta, il ready made, l'oggetto già prodotto, si lega all'arte solo in quanto funzionale ad una produzione di senso inscritta nel gesto autoriale dell'esposizione dello stesso, nella teoria zavattiniana è l'elemento vitale, e in particolare l'atto operativo di rapporto con l'altro, ad essere idoneo, di per se stesso, ad acquisire una valenza estetica.

Passando poi a Fellini, e in particolare al Fellini di Casanova e La città delle donne, si riscontra un pari interesse rispetto a Zavattini riguardo alla proposizione della questione del rapporto con l'altro, un'alterità qualificata nei due film in questione anche quale alterità sessuale. Solo che, ad una prima e parziale approssimazione, l'immagine cinematografica felliniana piuttosto che potersi leggere quale terreno operativo per un rapporto con l'altro, apparirà più facilmente come un'opportunità privilegiata, concessa all'autore e allo spettatore, per una rappresentazione di un contatto al tempo stesso travolgente, pieno e gradevole con il mondo e con la vita. Lo spettacolo cinematografico si fa così innanzitutto momento di liberazione o sublimazione di pulsioni e desideri profondi, luogo esplicito di seduzione e di esibizione carnale: si tratta dunque di uno spettacolo pirotecnico, parossistico fino a sconfinare nel grottesco, diretto ad un pubblico mai sazio di stimoli e eccitazioni sensorie oltre il limite dell'ordinario. Da parte dello spettatore già questa attitudine all'ingordigia, all'impazienza nel veder puntualmente forzati in chiave caricaturale, conturbante e seducente i materiali provenienti dalla realtà ci segnalano che ci muoviamo in un universo estetico ben lontano da quello zavattiniano: laddove si riscontravano l'esigenza dell'esercizio della pazienza, del superamento della noia nell'analisi approfondita del mondo e l'esigenza di evitare una selezione dei tratti più appariscenti dei materiali della realtà, condizioni necessarie per un'autentica accettazione e comunione con l'altro, ora si richiede proprio l'esibizione di quanto di "eccezionale" si era precedentemente con forza e rigore osteggiato.


 


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