Tra mito e film - Ideale della felicità platonica: l’emozione di saper comprendere (1) PDF 
di Giuseppe Caragliano   

Mr. Stevens (Quel che resta del giorno), Newland (L'Età dell'innocenza), la marchesa de Merteuil (Le Relazioni pericolose), Ada (Lezioni di piano): personaggi agrodolci, perversamente malinconici, a tratti bui, impenetrabili, volutamente o candidamente cinici, sentimentalmente falliti, incapaci d'amare; eppure personaggi che, immancabilmente, ci hanno affascinato fino all'osso… perché?

Perché mai l'immobilità di Mr. Stevens-Hopkins risulta fascinosa? Perché Newland-Day Lewis, per quanto debole e conformista, c'intenerisce? Insomma qual è il motivo che ci spinge ad andare al cinema a vedere dei film su falliti e derelitti del sentimento? Perché ci assomigliano, perché siamo noi. In un modo o nell'altro quando ci narrano le loro storie noi avvertiamo qualcosa di familiare, ci immedesimiamo, lo facciamo perché questi personaggi attingono ad elementi comuni, fortemente connaturati all'uomo. Ma quali sono queste fonti comuni, quali le radici narrative delle storie dalle quali si sviluppano le sceneggiature?

Freud afferma che l'influenza della cultura greca nella cultura occidentale ha determinato in maniera importante comportamenti, motivi psicologici e loro corrispondenti modelli patologici (2), tanto che possiamo dire che alla base delle diverse elaborazioni di cui si nutre l'immaginario collettivo delle società occidentali c'è la mitologia greca. Figure e situazioni esemplari, che M. Eliade chiama archetipi, passano dai miti alle saghe, dalle fiabe ai racconti popolari, dai romanzi al cinema (fautori di queste tesi sono, di volta in volta, il già citato Eliade e personalità del calibro di V. Propp, J. Campbell, N. Frye, C. G. Jung, C. Vogler) che appare come evoluzione ultima di qualcosa di permanente, evocazione di modelli narrativi anteriori.

Le narrazioni cinematografiche, forma artistica peculiare della nostra epoca, dunque, non farebbero altro che riprendere, sistematizzare, attualizzare, ricreare i miti universali; incarnazione di archetipi cui non abbiamo mai cessato di far riferimento; come sottolinea bene lo storico delle religioni Mircea Elide, "il pensiero mitico non si lascia estirpare, si adatta piuttosto alle nuove condizioni sociali." (3)

Il mito pur di sopravvivere si è adattato, dunque, e sotto mentite spoglie ritorna per continuare a comunicare la sua verità; chi c'è allora dietro Mr. Stevens? Chi indossa la maschera della marchesa de Merteuil? Chi ha assunto le sembianze di Newland per annunciarci il suo messaggio disperato? Tante sembianze, un unico eroe mitico, di chi si tratta? Cos'ha da dirci? A questo punto, anche se la curiosità ci sta corrodendo, occorre pazientare un po' e, nel nostro caso specifico, guardare per un attimo alla storia d'amore come genere.

La figura dell'Amante è articolata e genera tematiche universali talmente forti che finiscono per riguardare ogni aspetto della nostra vita, difatti il genere Storia d'amore è un genere che appartiene un po' a tutti i generi, è sempre, in qualche modo, legato a tutte le trame, ne costituisce l'ossatura parallela. L'archetipo dell'Amante ha a che fare in primo luogo con un certo appetito vitale, un profondo istinto che spinge alla nutrizione, alla pratica sessuale, allo spirito di adattamento verso le difficoltà, tutte azioni rivolte alla salvaguardia della specie.

L'Amante tende a tutto ciò che è vitale, sente se stesso come parte integrante di tutto ciò che lo circonda, egli in qualche modo è connesso con tutto il resto; è Eros, nel mito orfico della creazione, a mettere in moto tutto l'universo, nato dall'uovo deposto dalla notte dalle ali nere fecondata dal vento, dea che s' impone perfino a Zeus. È l'immagine primordiale dell'uomo edenico, è il bambino che sente il mondo magico e indifferenziato, non c'è confine tra sé e il mondo, tutto può entrare dentro di sé. Questa completezza si esprime nella completa innocenza sensuale dell'uomo espressa in molte mitologie e religioni: l'uomo viveva in un luogo di delizie primordiali, egli non aveva bisogno del desiderio, ma del tutto godeva, essendo parte di un tutto.

E infine ritroviamo l'energia che anima l'Amante dentro di noi nell'unione che riusciamo a creare con il partner; è quella tensione che spinge verso la connessione, l'unità, che ci fa desiderare l'altro (sedurre, condurre a sé, tutti vogliono sedurre perché nessuno vuol morire) come sembrerebbe descrivere il racconto di Platone nel Simposio a proposito dell'androgino originario: dall'abbandono di questa unità nella dualità deriva la forte nostalgia di un amante, perdita dell'unità causata dal peccato originale, completezza da riconquistare.

 

Il film d'amore è la storia dell'incontro tra due esseri umani: un sé e un altro da sé, dove il movimento è generato dal loro tendere verso l'unione, che può riuscire o meno. Quando la storia riflette sull'incapacità del protagonista di rapportarsi ad un altro da sé allora si tratteggia uno degli aspetti alterati dell'Amante.

Queste narrazioni sono incentrate su una dinamica di valore iniziatico, si ripercorre quella fase della crescita che prevede la morte simbolica della precedente identità dell'adolescente per giungere alla maturità del sentimento amoroso. Questo passaggio è realizzato solo se l'eroe riesce a rompere la barriera del proprio amore egotista, è così che si giunge alla maturità, compiendo un sano distacco dal sé.

Figura archetipa che esprime l'inflazione dell'ego è Narciso, mito che narra di un eccessivo accentramento su se stessi. Narciso porta all'esasperazione tale atteggiamento: il suo essere più intimo risiede nel doppio in cui si specchia, non c'è realmente un altro da sé ma un doppione, nel suo destino c'è la morte, finirà affogato. In questi casi si considera il proprio ego in maniera assoluta (non si cerca più la dualità vera); l'energia dell'amante si disperde. Chi manifesta l'energia dell'Amante in una maniera così introversa risulta essere realmente prigioniero.

Prigioniera del salone di Darlington Hall, una colomba si ritrova a svolazzare disorientata all'interno dell'ampio ambiente. È Mr. Stevens, maggiordomo-capo della residenza, che tenta di liberarla, di farla librare in volo; è questa una delle sequenze-metafora più esplicative di Quel che resta del giorno di James Ivory. Gli efficaci flashback mostrano i ricordi di vent'anni prima, quando il rigido Stevens non ammetteva deroghe. All'epoca il maggiordomo Stevens-Hopkins non riusciva a distogliere lo sguardo dal proprio doppio, ruolo fatto di competenze e rigore. Fermamente convinto che bisognasse garantire il perfetto funzionamento della tenuta, non permetteva infrazioni, né agli altri, né a se stesso, non concedeva il minimo spazio a rapporti che non fossero rigorosamente professionali, così da non temere equivoche "aperture", in tal modo lo spazio protetto della proprietà era divenuto luogo confortevole, grembo materno sicuro. Le emozioni venivano sigillate, non era permesso loro esprimersi, neppure di fronte l'evento drammatico della morte del padre.

L'incontro del protagonista con una figura femminile, Sara-Thompson, rispecchia la frustrazione inflitta ad Eco; testimonia uno sviluppo assai precario del mondo "oggettuale" di Narciso. Così il bell'adolescente può costruire la sua realtà solo in modo incompleto, il suo mondo percettivo non è in grado di esprimersi pienamente. A partire da questo stato di cose si sviluppa una cultura narcisistica, senza, cioè, prospettive di sviluppo: il tempo, forma simbolica di primaria importanza, appare frammentato, manca la dimensione del futuro, elemento che nel racconto si cristallizza e che non può che portare alla morte.

La figura di Eco è fatalmente passivizzata, può essere attivata solo dalla speculare attività dell'altro da sé, essa, in ultima analisi, rappresenta, nell'economia del racconto di Narciso, l'incompiutezza. In tale dinamica la morte per annegamento è determinata dall'incapacità di incontrare "realmente" il proprio doppio ed amarlo.

Siamo ormai vicini all'epilogo, un Mr. Stevens assennato dal trascorrere del tempo confida a Sara che la parte della giornata che predilige è la sera: momento in cui la gente più confida, nel quale si ferma dopo una frenetica giornata di lavoro, magari davanti ad un camino, occasione per Mr. Stevens per fermarsi a riflettere, e prendere la decisione di tornare da Sara.
L'evoluzione adesso è compiuta, ma arriva troppo tardi, Sara donna coraggiosa, decisa, viva, ha rifiutato il destino di Eco e adesso attende di diventare nonna.

La realizzazione di un sano distacco dal sé è l'unico percorso da intraprendere se si vuole raggiungere la piena maturità, il fatto che ciò avvenga, avvenga troppo tardi o non avvenga per nulla, disegna altrettante traiettorie all'interno del percorso etico del protagonista.

 

Uno di questi percorsi è intrapreso, tra amore e morte, da Ada, H. Hunter, protagonista di Lezioni di piano, che esprime bene una determinata fase narcisistica della personalità. In questo caso sembra necessario correre sul filo del rasoio per realizzare un sano distacco dal sé: lasciare che la caviglia sia pericolosamente avvolta dalla fune che lega il pianoforte è un chiaro segno di morte, infatti trascinerà giù la giovane donna, nel fondo del mare; decidere di liberarsi, di risalire, di vivere, sarà il primo atto d'amore compiuto verso se stessa; adesso, solo adesso, vinta la pulsione di morte, Ada può pensare di amare un altro da sé.

Tutti gli esempi visti sino ad ora non sono altro che la messa in scena di un percorso iniziatico che vede il bambino impegnato nell'evoluzione della propria personalità, affinché possa essere in grado di creare un rapporto sentimentale con l'altro. Crescere può significare realizzare un sano distacco dal sé (Narciso esprime bene i rischi che si corrono se non si è in grado di farlo) o viceversa un inglobare il proprio sé correttamente.

Il passaggio tra amore e morte, Eros e Thanatos, appare come un passo obbligato, bisogna sempre che qualcosa muoia per dare la possibilità a qualcos'altro di nascere.

Abbiamo visto quanto complessa possa essere la figura dell'Amante, impegnata com'è a percorrere un tragitto che prima di condurre ad un maturo rapporto di coppia presuppone un momento di crescita personale complesso: per potersi definire all'interno della coppia bisogna che prima si sia maturata una propria personalità, impensabile credere di poter gestire un rapporto con un altro da sé prima di aver creato un sé, o almeno dei presupposti solidi. Lungo questo percorso è facile perdersi, la figura dell'amante non correttamente definita porta all'Amante perverso, colui cioè che, per immaturità o a causa di mute sofferenze, rimane alla superficie del rapporto interpersonale.

La marchesa de Merteuil-Glenn Close in Le Relazioni pericolose assume la fisionomia di Don Giovanni: donna sessualmente attiva che utilizza indistintamente gli uomini in una calcolata strategia diretta al proprio piacere e al soddisfacimento dei propri bisogni sessuali. La figura dell'amante libertino è vecchia quanto il mito, Zeus più volte ha dovuto subire l'ira di Era, ma solo il libertinaggio del XVIII secolo poteva permettere a Choderlos de Laclos la trattazione di un Don Giovanni al femminile, anche se accostata da una figura maschile, Valmont, che alla fine rimarrà vittima del complicato meccanismo di ingranaggi e trappole sessuali organizzate da lui stesso e dalla marchesa.

Questa figura di libertino è quanto mai tragica, sempre ai margini dell'amore vero, sempre a distanza, per poi trovarsene completamente invischiato e morirne; come un uccellino che, incapace di volare, prova tutt'a un tratto a librarsi dalla cima più alta. Valmont, è contorno tragico per quella che è la vera protagonista, lei, la contessa: cinica, spietata, fredda, perversa, edenica, divoratrice, ferita.

"Le persone che subiscono un danno sono le più pericolose… perché sanno di poter sopravvivere" è questa la frase su cui si fonda Il Danno, Damage, capace di descrivere al meglio la marchesa de Merteuil, resa cinica da una società fatta di maschi cinici, quegli stessi maschi che, nell'ultima scena del film, quando la marchesa è sul palco dell'opera, brutalmente la fischiano, la rifiutano.

È qui che ritroviamo in Glenn Close-de Merteuil l'austero, orgoglioso comportamento del Don Giovanni: malinconica, solitaria; gli occhi umidi ma composti, fissi, esprimono qui non rabbia, ma dolore, lasciano emergere tutta la gravità di quello che è il trauma inconscio del personaggio.

Abbiamo visto quanto sia emblematica la figura di Narciso nell'esprimere i rischi che si corrono se non si compie una corretta evoluzione, tesa ad un sano distacco dal sé, e di come la verità di questo mito si sia insinuata tra le maglie della società contemporanea attraverso personaggi come Mr. Stevens; speculare a questa figura "perversa" di amante è quella dell'Amante impotente: Newland, il suo desiderio tristemente inappagato, la rinuncia dettata dalle convenzioni, dall'onore, che percuotono e rinnegano l'amore per il timore dello scandalo. La legge, in questo caso le convenzioni sociali, castra Newland, personaggio maschile de L'Età dell'innocenza.

Nel film una parte importante è rivestita dagli oggetti: le porcellane, i candelabri, i tagliasigari, i binocoli, le lettere, i fiori, i gioielli, espressioni di soffocanti rituali di una società che teme lo scandalo più del malanno. Il profilmico messo a punto da Scorsese è eloquente: pranzo in casa Archer, si parla dell'arrivo della cugina, la contessa Olenska, il vorticoso giro di inquadrature è costituito da primi piani in cui le figure appaiono serrate dai candelabri posti sulla tavola.

Newland, intenerito dalla vicenda della contessa, è stretto all'interno dell'inquadratura prevista, incorniciato; egli deve fare, e farà, ciò che ci si aspetta da lui, d'altronde la data del suo matrimonio è ormai prossima.
La "negazione" qui costituisce l'essenza dei rapporti, il desiderio costruisce, nella mente dei protagonisti, immagini irreali, appartenenti solo al mondo interiore (l'abbraccio di Newland nella baita che si materializza nel sogno di Ellen, visione che tenta di addolcire le linee spigolose della società vittoriana), è l'assenza che sostituisce all'unicità del possesso la proliferazione immaginativa.

La sottrazione e insieme l'attesa definiscono il desiderio, nella speranza di una comunione dell'anima (Ellen attende di essere raggiunta sul molo, l'attesa durerà lo spazio di tempo necessario affinché una barca doppi una boa). La sequenza finale vede Newland attendere sotto casa della contessa, incapace di avvicinarla anche adesso che le convenzioni e le regole sembrano essere lontane. Il suo sguardo è rivolto verso la finestra illuminata dal sole, ma l'immagine di lei che si affaccia per cercare i suoi occhi non si realizza, è sottratta dal tempo. È ciò che poteva, ma che non è stato.

 

Alla base della figura della contessa Olenska, e di tutte le figure che nell'economia del racconto rivestono lo stesso ruolo, abbiamo la figura di Arianna. Arianna costituisce il prototipo dell'amante abbandonata cui tutta una tradizione attingerà a piene mani. "Ti aiuterò ad uccidere il mio fratellastro, il Minotauro", promise Arianna a Teseo in segreto, "purché io possa fare ritorno con te ad Atene come tua moglie", Teseo accetta e giura di sposarla. A seguito delle ben note vicende alcuni giorni dopo la spedizione sbarca a Nasso, qui Teseo abbandona Arianna, addormentata sulla spiaggia, e riprende il largo senza di lei (4).

La figura di questa eroina è già molto famosa nell'antichità grazie al Carme Ventiquattro di Catullo, ma è anche grazie alla figura che ne tratteggia Ovidio che essa sarà consacrata a tragica eroina. Nell'epilogo della vicenda che la vede protagonista, Arianna viene abbandonata da Teseo a Nasso (è proprio da qui che ha origine il modo di dire "piantare in asso") per poi essere scelta come sposa da Dioniso, motivo per cui Ovidio ne parla nella sua Ars Amandi. In virtù di quest'amore Bacco, il Dioniso greco, può essere considerato protettore d'amore.

Ci sono anche altre figure mitologiche che contribuiscono a plasmare la figura dell'amante abbandonata e molte le ritroviamo nelle Heroides, sempre di Ovidio, opera costituita da ventuno lettere d'amore indirizzate da donne del mondo del mito ai loro amanti: Penelope a Ulisse, Fillide a Demofonte, Briseide ad Achille, Fedra a Ippolito, Enone a Paride, Ipsipile a Giasone, Didone ad Enea, Ermione ad Oreste, Deianira a Ercole, Canace a Macareo, Laodamia a Protesilao, Ipermestra a Linceo, Medea a Giasone e appunto Arianna a Teseo. Alla base c'è il motivo dell'amore infelice, quale fu cantato dalla poesia alessandrina, in particolare quello della donna abbandonata, al quale si affiancano numerose altre suggestioni letterarie: Omero e i tragici greci, e poi Catullo, Virgilio e Orazio.

Varie sono le vibrazioni sentimentali presenti nell'opera ma tutte riconducibili alla sofferenza di un animo che si misura con l'abbandono: la penetrante, soffice, seduzione che Fedra vuole a tutti i costi esercitare su Ippolito, l'amato figliastro; la vanità tanto intensa quanto puritana di Elena che non vuole cedere, ma cede, a Paride; l'atmosfera romantica e le incantate sospensioni dell'impossibile storia di Ero e Leandro; impossibile e scellerata la passione di Canace per il fratello Macareo, in una lettera di cupo pathos e presaga di morte, come quella infine di Ladamia a Protesi.

Alla fine di questo percorso, tra mito e film, quello che più affascina è constatare che l'uomo non ha mai smesso di parlare a se stesso attraverso le narrazioni, "Che altro potremmo fare in un mondo nudo, se non popolarlo del fantasma di una vita immaginaria?" (Rohmer). "E' di importanza decisiva che la vita possa essere ancora narrata, sia pure attraverso trame fragili e provvisorie, tese apparentemente a catturare la forza del desiderio che, se non può pronunciare il suo nome, può almeno costringerci a compiere una progressione invertibile, complessa e non conclusiva verso il significato." (P. Brooks, Trame)

Cos'è un racconto? Nelle Mille e una notte il racconto si mostra salvifico: una storia per mantenere il desiderio, per non essere decapitati; una storia per non morire.
 

(1) J. Ballò, X. Pèrez; Miti del cinema semi immortali; 1999, Cit. p. 5
(2) Cfr S. Freud; Totem e tabù
(3) M. Eliade; Mito e realtà; p. 199
(4) Plutarco; Teseo; p.20
 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.