Corea del Sud. 2003. Si diventa uomini quando si consuma la vendetta, cruda, servita da una giovane donna in un ristorante dove si può mangiare solo pesce...Oh Dae-su morde la testa di un polipo vivo, la stacca, ne inghiotte il corpo percosso ancora di singulti vitali e sviene, mentre i tentacoli della bestia , ancora via, si agitano a metà strda tra la sua bocca e una storia che sta per incominciare.... eppure sono trascorsi già 15 anni. 1998. ubriaco e molesto, Oh Dae-su scompare sotto la pioggia, rapito. Un carceriere lo tiene rinchiuso in una stanza nella quale può solo meditare la sua vendetta accrescendo l'odio per chi in quella condizione, e senza giustificazione soprattutto, lo ha rinchiuso. E' un discorso politico, siamo in Corea del Sud, e si sente che nasce da una cultura divisa in un paese spartito da pregiudizi, e ancor di più separato da una effettiva impossibilità. Un popolo segregato, rinchiuso come Oh Dae-Su in una stanza, e che medita vendetta: diventa questa una delle prime chiavi di lettura di una pellicola a suo modo sconvolgente, in grado di far emergere anche altro oltre questa prima lettura, perchè un giorno Oh Dae-su viene liberato. Senza motivo così come era stato rinchiuso, abbandonato ad un mondo che adesso si nasconde dietro il perchè della sua carcerazione. L'incubo vero ha così inizio e l'ossessione per la verità prende piede su una strada diretta alla follia. Un piano sequenza su un carrello che lento procede verso destra, ed un'esplosione di violenza senza esaltazione o tripudio di compiacimento, armati di martello e pugni.
Da questo momento in poi Old Boy diventa una pellicola che trasuda complicità, tra regista e spettatore, tra resistenza e violenza, attraverso una trama capace di concretizzare il tutto in un incesto cinematografico cui si assiste senza via di scampo. L'incesto, sì, divenuto conscio in sala, perchè si è partecipi con trasporto, affetto e comico erotismo ad una piccola storia d'amore fatta di possedimenti e violenza, i cui protagonisti diventano in un voltar di pagina padre e figlia, e il carceriere Lee Woo-Gin un'anima senza pena distrutta dal chiacchiericcio che ha condotto alla morte di sua sorella.
Ad un rapporto orizzontale dell'incesto, tra fratello e sorella, il regista rilancia dunque nel finale con un tabù verticale, più profondo perchè transgenerazionale, tra padre e figlia, al quale la storia stessa non dava l'idea di essere preparata. L'effetto che ha sul pubblico è dapprima quello di rifiuto, almeno fino alla disperazione con la quale il protagonista si rivolge alla figlia Mi-Do, domandandole di non vedere la verità cui lui stesso è stato messo di fronte. E' solo a questo punto, come spetttaore, come Oh Dae-su, che vale la pena di domandarsi se fosse proprio necessario scoprire la verità. Su questo ultimo punto, il delirio di vivere i propri limiti, Seven (1995) di David Fincher, ma anche Dolls (2002) di Takeshi Kitano, in riferimento ai due innamorati folli sospesi nel loro amore.
Tratto dalle tavole disegnate da Minegishi Nobuaki, Old Boy appunto, creato nel 1997 da Tsuchiya Garon, è portato sul grande schermo con un lavoro di grande carattere sull'impianto scenico/visivo. "Sebbene sia peggio di una bestia, non anche io il diritto di vivere?"
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