Sette opere di misericordia PDF 
Ottavio Plini   

Nel Lieder giovanile Alla musica di Schubert l’artista ringrazia l’arte di averlo salvato, anche dai momenti grigi; ma, al termine della breve parabola creativa del compositore viennese, a testimonianza di un anelito sempre più vasto, le sue ultime sinfonie presero il titolo rispettivamente di Incompiuta, come a dire interrotta e frantumata, e di Grande. E queste potrebbero essere le (volontarie) destinazioni dell’arte quando smette di descrivere se stessa.

In Sette opere di misericordia l’intento è - si arguisce dal titolo - vasto, abbondante, e l’esito volutamente, dicono i gemelli registi, “scarnificato”. Nel Vangelo secondo Matteo vengono indicate, probabilmente in una ricorrenza di quadratura numerologica e simbolica, sette opere di misericordia corporale e altre sette di misericordia spirituale necessarie ad assicurarsi la salvezza dell’anima. Il referente artistico più immediato è il Caravaggio, che metteva in relazione le prime sette opere con episodi mitologici. Nientemeno. L’espediente, nel film, è di alternare alle immagini in movimento dei cartelloni (tra Kieślowski e Godard) che ripercorrono le opere di misericordia corporale, alcune delle quali leggermente stravolte. La relazione tra immagini e precetti non è proprio didascalica, e neanche ellittica, bensì, tracciando un progresso morale, inizialmente “ironica”, con le malefatte della giovane moldava affamata ai danni del vecchio Antonio (scene, quelle della di lui prigionia, di forte impatto per la loro violenza non effettata). Finchè, da metà in poi, la compassione, la misericordia, derivata dal contatto umano, non conosce una graduale combustione. Dal truce, gravoso squallore di ambienti metropolitani periferici dell’incipit scivoliamo in interni, sempre dai colori freddissimi o neutri, dove assistiamo a una magica, progressiva accensione di calore: e in entrambi i casi lo sguardo sembra sospeso fuori dal tempo, in una lentezza e in un silenzio esasperanti per i più. I registi hanno dichiarato che il film “scarnifica”, appunto, gli stilemi del noir, che sono ravvisabili vagamente in alcuni punti di partenza, dall’ambiente picaresco alla svolta intimista. Ma è più che altro un tentativo di rappresentazione “noir” dell’anima, glaciale e taciturno, lacerato e veemente.

Il contatto tra corpi, reso senza l’ingombro di parole e musica, è forse l’elemento più peculiare e, come vedremo, meditato: corpi martoriati, senza parole e con pochi sguardi, in cerca della più elementare, fisica misericordia. Non c’è altro. In questa prospettiva le interpretazioni di Roberto Herlitzka e Olimpia Melinte sono originali e mirabili. Sull’ossessione per il corpo sembra gravare per l’appunto l’ispirazione di una religione, come quella cattolica, che predica l’eternità e l’inviolabilità, anche ed esasperatamente, del corpo. I registi l’hanno definito, un po’ misteriosamente, “un film di mistero”. Magari il mistero di un’elettricità che sembra animare per un istante la materia greve. Le scuole iniziatiche insegnano che l’anima è invisibile alla Terra, e che si svela nel silenzio mentre si vela nell’apparenza. Il cinema però, diversamente dalla musica, il cui linguaggio ha subito un’evoluzione sino a rinunziare alla stabilità degli accordi tonali per progredire verso l’invisibile e l’ineffabile, esprime l’esigenza di tornare a prendere avvio dai corpi e dai colori dell’esperienza. Di questa lacerazione sono ben consapevoli i registi, che dichiarano: “l’arte è un dialogo costante con l’ineffabile, anche quando è permeata di fisicità, di corpi e realtà cruda, come Sette opere. Il cinema, poi, si presta ancora di più a questa tensione, proprio per la sua duplice natura di realtà visibile e di fantasma”. Da un altro punto di vista, il film assume una valenza di critica sociale, riferendosi alla “misericordia”, o latinamente alla pietas, quale urgenza spirituale velata in una società superficiale: “in questo periodo - continuano i gemelli De Serio - abbiamo capito il sentimento di misericordia, nel senso di prendersi cura dell’altro. […] L’animo umano contiene la possibilità della pietas, che contrasta con una società dove questa è bandita, relegata a gesti isolati, o appannaggio di una concezione puramente religiosa”.

E tutto questo armamentario di ispirazione spirituale, tra pulsione utopica e l’Heidegger della “cura” e dello “svelamento”, potrebbe suscitare qualche brivido. Alcuni tendono a reagire secondo un altro ordine di principi, più intellettuale: si tratta di un po’ di retorica, dicono, dato che certo puntare sul sociale è arguto; secondo questo punto di vista, abbiamo qui degli esordienti poco più che trentenni che l’hanno già fatto, facendo così incetta di riconoscimenti. Questo tipo di discussione, però, non ci interessa, perché riteniamo più prioritario, proprio secondo gli intenti dell’opera, porci altri quesiti. Diremmo, anzi, che l’intera opera è tutta un profondo, importante quesito.

Titolo originale: Sette opere di misericordia; Regia: Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio; Sceneggiatura: Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio; Fotografia: Piero Basso; Montaggio: Stefano Cravero; Scenografia: Giorgio Barullo; Costumi: Carola Fenocchio; Musiche: Plus; Produzione: La Sarraz Pictures, Elefant Film, Rai Cinema, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Film Commission Torino-Piemonte, Film Investment Piedmont, Fonds Eurimages du Conseil de l'Europe; Distribuzione: Cinecittà Luce; Durata: 100 min.; Origine: Italia/Romania, 2011

 


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