Il racconto degli ultimi, intensi, dieci mesi della vita di John Dillinger, il rapinatore di banche più ricercato degli Stati Uniti negli anni della Grande Depressione, sono al centro di Nemico Pubblico: dall’impressionante fuga dal carcere di massima sicurezza di Lake County (cinque, spettacolari, minuti di puro cinema) fino al momento della sua uccisione, è l’ombroso e romantico “Robin Hood” d’America (Johnny Depp) a dominare la scena.
Dunque, apparentemente nulla di nuovo, vista la già ampia filmografia (si contano una quindicina di film) sulle leggendarie gesta del bandito. Ma a fare la differenza è la firma di un regista come Michael Mann (Heat – La sfida, Collateral), capace di scorgere dietro all’aura del mito, l’anima di un uomo e di una nazione: Dillinger e l’America. O meglio, Dillinger è l’America: è l’uomo che cerca il suo riscatto, ma che, inevitabilmente, rimane vittima delle proprie ambizioni e delle proprie contraddizioni, incapace di allinearsi ad un mondo che ha sete di progresso e di “giustizia”. Ed è qui che riconosciamo lo sguardo di Mann: al di là del puro tecnicismo – per cui il regista fa proprio l’utilizzo del digitale (in alta definizione), sfruttandone al meglio le potenzialità (vedi la sequenze iniziale della sparatoria) –, quello che traspare è un’(est)etica del tutto personale, attenta alla lezione dei padri (Hawks e Ford), ma poco incline al facile compromesso. Dunque, non più “buoni” e “cattivi”, ma una progressiva simbiosi tra due facce della stessa medaglia: tra il tassista e il killer (Collateral), tra il poliziotto (Christian Bale) e il bandito. Assistiamo ad un (unico) incontro/scontro, che non vede né vincitori né vinti.
Il cinema del regista statunitense è, dunque, un cinema “maschio” (il duello, la caccia, l’amicizia virile) che, lontano da qualsiasi definizione di genere, non dimentica, soprattutto, di mostrare l’uomo ed i suoi conflitti interiori. E non lo fa mai in modo urlato ed esplicito: non è interessato a mettere sulla pubblica piazza il racconto straziante di una vita segnata da un terribile passato, con l’intento di dare maggiore “spessore” alla narrazione, perché le emozioni emergono attraverso un uso sapiente del ralenti (che si inserisce perfettamente all’interno di sequenze frenetiche e veloci) o nelle brevi ma intense “pause di riflessione”, come presa di coscienza del proprio mondo emotivo. Un mondo ed un sentire racchiusi nell’intensità di uno sguardo in funzione metonimica (dunque capace di esprimere la complessità dell’“esserci” attraverso l’utilizzo di un dettaglio): l’umanità dell’uomo Dillinger, al di là della sua inscalfibile mitizzazione, è perfettamente raccontata, prima dall’“abbandono” del suo mentore, poi dall’addio rivolto alla donna amata (Marion Cotillard). Ma ciò non toglie coerenza ad un personaggio che non è in cerca di redenzione: così come il Vincent (Tom Cruise) di Collateral, animale su cui è appesa una taglia, riflette se stesso nell’improvvisa e surreale apparizione di un coyote sperduto in mezzo all’autostrada; in modo analogo fa il Dillinger di Nemico Pubblico, nell’epilogo del film, quando assiste alle gesta del fascinoso Clark Gable, in Manhattan Melodrama, al cinema Biograph.
“Non pensare alla possibilità di vivere per sempre, bisogna morire come si è vissuti”: queste sono le parole pronunciate dal personaggio del film. Dillinger, l’uomo e il bandito, capisce che il suo tempo è giunto al termine: all’uscita dalla proiezione, viene brutalmente freddato da cinque colpi di rivoltella, in mezzo ad una folla "ignara" di quanto stia accadendo. Un ultimo, emozionante, spiraglio di umanità è racchiuso nelle parole dirette alla donna amata, pronunciate poco prima di spirare. Oggi un uomo muore in una metropolitana di Los Angeles (Collateral), ieri in una qualsiasi strada polverosa d’America. Ma per Vincent e John, e quindi per Mann, non fa differenza: eroi e antieroi, buoni e cattivi, poliziotti e banditi. Si muore, comunque, soli. E l’umanità non concede sconti a nessuno.
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