Shine a Light PDF 
Gianmarco Zanrè   

ImageBeacon Theatre, New York. Tra il 2005 e il 2007. Non importa esattamente quando. Come, a ben guardare, non importa esattamente dove. In scena quattro signori – protagonisti con numerosissimi comprimari, e un solo, grande “antagonista”, il pubblico – di nome Mick Jagger, Keith Richards, Ron Wood, Charlie Watts. I Rollling Stones. Quarant'anni fa, si può dire sullo stesso palco, erano sempre loro a farla da padroni. I rivali per eccellenza dei “Fab Four” di Liverpool hanno percorso le strade di vita e musica senza essere sconfitti da eccessi, volontà, destino. Sono di quelli che ce l'hanno fatta: hanno il rock, il sesso, la droga – nei limiti concessi da età e staff –, famiglia e soldi. Tanti. Quasi tutto quello che un giovanissimo Mick poteva solo sognare quando pensava che a sessant'anni sarebbe ancora stato così com'era nel momento in cui un'intervista era la conferma che il sogno si stava d'improvviso realizzando, e che, per davvero, “il tempo sarebbe stato dalla sua parte”. E così è stato. Time is on their side, dunque, come canterebbero e suonerebbero, tra un Jumpin' Jack Flash e un As Tears Go By riesumato dal vivo: eppure, nell'accordatura di questa chitarra mai doma, c'è una nota che non torna, nell'immaginario che Mick e soci ancora scatenano nell'audience planetaria che quasi ogni anno raccolgono. Presto detto: monumentale, preciso al millimetro, stilisticamente perfetto, a dirigere l'orchestra – principalmente di macchine da presa – è nientemeno che Martin Scorsese, regista fra i più importanti del panorama cinematografico mondiale, autore di rockumentaries epocali ed indimenticabili quali The Last Waltz e No Direction Home.

Il lavoro del Marty, idolo di innumerevoli cinefili, è pressochè impeccabile: recupero di materiale accurato, documentazione ineccepibile, montaggio e girato da applausi, perfino una presenza neppure troppo ritagliata all'interno della pellicola, come fosse un Hitchcock del documentario musicale. Eppure, tutta questa lena, precisione, mastodontica presenza incombono (e pesano) sul lavoro di Scorsese più di quanto potrebbero i quattro Stones di fronte al più agguerrito dei loro detrattori. Del resto, per quanto furbi e beffardi siano da sempre stati Mick, Keith, Ron e Charlie, il loro lavoro, la loro musica, il sound che ne ha fatto quel che ne ha fatto, ha sempre mantenuto, costruita o meno che fosse, una vena di romantico, genuino, sanissimo e sporco rock capace di ricordare all'uomo della strada che dalla strada quella musica che “simpatizzava per il Diavolo” per Lucifero in persona tifava per davvero. E non solo. Batteva il tempo come il pubblico con i piedi e le mani, e il sudore, in uno stadio gremito. E come l'uomo della strada lo sapevano Scorsese e il suo pubblico, nella fiammeggiante e dirompente esplosione del primo viaggio della macchina da presa sotto le luci disturbanti del bar di Tony in Mean Streets: ma solo Charlie e Johnny Boy, di quella perla della cinematografia scorsesiana, sono rimasti a testimoniare quello che il loro creatore ha perso di vista, in un oceano di collaboratori così bravi da risultare quasi di troppo, come lui. Robert Richardson, John Toll, Andrew Lesnie, solo per citarne alcuni. Di fronte alle danze inimitabili di Mick Jagger, alla maschera quasi eastwoodiana di Charlie Watts, agli affondi sensuali di Ron Wood e allo sguardo spiritato da festa in onore dei morti, sia essa in un paesino messicano o nel più caraibico degli antri pirateschi di Keith Richards, e ai loro muscoli tesi e nervosi, fatti di allenamenti e chissà quali patti con il suddetto diavolo, la luce che Scorsese e il suo staff si propongono tanto puntigliosamente di catturare risulta fino abbagliante, in grado forse di fotografare un fantasma, ma di certo, non lo spirito di quest'assatanata orda di musicisti indomiti, e dei loro fan.

Dato per certo, di contro, il valore effettivo ed altissimo dell'opera analizzata e della tecnica messa in campo dal regista e da ogni artista e tecnico che abbia lavorato, fotogramma dopo fotogramma, alla realizzazione di questo lavoro, viene difficile poter pensare a una qualche ragione per non giudicare una posizione come quella appena esposta troppo semplicistica, quasi snob, in qualche modo. Eppure, per tutti coloro che hanno avuto il piacere di partecipare ad un concerto degli Stones, e di vederli in persona esibirsi, sudore e pennate selvagge, al centro di un maelström di energia chiamato pubblico, resta radicata la convinzione che nessuna tecnica cinematografica né magia scorsesiana potrà anche solo lontanamente far rivivere l'inesorabile, ipnotica energia che scaturisce da quei muscoli tesi durante gli assoli, come amplessi durati una vita, eppure sempre consumati in un istante, o quanti minuti il rock richieda per un pezzo immortale. Forse, il peso più grande che questo pur ottimo prodotto deve portare sulle spalle è proprio il confronto fra le due immortalità che ne escono fuse, e per nulla “simbioticamente”: il vecchio Marty è un prodigio di tecnica, i vecchi Stones di manualità. E non sempre le due cose vanno d'accordo. Specie quando una pare mettersi, inevitabilmente, un gradino sopra l'altra. Certo, l'annoiato Jagger ha intelligentemente esagerato definendo questo rockumentary “noioso”, spinto da una furbesca volontà pubblicitaria, ma non è facile togliersi dalla testa – e dalle orecchie, e dal cuore – il fatto che Scorsese abbia voluto fortemente girare un film sui “suoi” Stones, e non “sugli” Stones. L'individualità, quasi sempre, se non di fronte a veri lampi di genio, è interdetta ad assurgere ad universalità: la luce, Dio lo sa, ma ancor più il sempre “simpatico” Diavolo, è un fardello pesante, da portare. Molto più di una macchina a spalla. Scorsese ha portato la luce, e tutta la meraviglia che può costruire. Ma ha dimenticato il particolare fondamentale, edilisticamente parlando. Quel particolare che costa sudore e pennate, e che, per l'appunto, è base e fondamento, e ancor meglio, fondamenta, del palazzo sognato da ogni artista, dal Coleridge di Kubla Khan in poi: i muscoli. Quelli tesi, che vengono dalla strada, e che possono portare, e sopportare, ogni peso. Quelli in cui si riconosce ogni fan degli Stones. Che sono pietre, per l'appunto. Erose, ma dure e piene di vigore. Come muscoli ben allenati. È ora che il buon vecchio Marty arrotoli le maniche e torni a fare esercizio. Non di stile. Charlie e Johnny Boy, non me ne voglia una tecnica così perfetta, sarebbero certo con lui.

TITOLO ORIGINALE: Shine a Light; REGIA: Martin Scorsese; FOTOGRAFIA: Robert Richardson; MONTAGGIO: David Tedeschi; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2007; DURATA: 122 min.

 


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