Che cosa succede dopo il lieto fine di una favola? Se lo saranno chiesto in molti. Se lo chiede anche Bridget Jones.Che pasticcio, Bridget Jones! parte da questo spunto, dopo che nel precedente Il diario di Bridget Jones la nostra "cenerentola" si era fidanzata col principe azzurro Marc Darcy. I problemi per lei non sono finiti: sempre insicura e impacciata, deve farsi accettare dai colleghi e amici di lui, seriosi avvocati, e temere una rivale in amore, la bellissima Rebecca, collega di Marc. Oltre a combattere con la linea, con la madre, con l'ex Daniel Cleaver e, stavolta, addirittura con le autorità tailandesi (chi scrive ha visto il film prima del disastro del 26 dicembre: l'effetto per chi ha visto la pellicola dopo deve essere stato straniante e doloroso…).
Il primo film della serie, Il diario di Bridget Jones, aveva tolto ogni aspetto della sociologia (seppur spicciola) del romanzo, vero e proprio manifesto per le trentenni single, per virare verso una commedia sentimentale scontata e prevedibile, con tanto di triangolo (mentre nel libro i suoi ragazzi, Cleaver e Darcy, non si incontrano mai) e rincorsa finale sotto la neve. Aveva eliminato quasi completamente la forma diaristica e i monologhi in prima persona, e ridotto i personaggi minori, come gli amici, importantissimi nell'universo dei singles, a piatte macchiette. Quest'ultimo lavoro va ancora oltre, e spinge l'acceleratore sulla farsa e sul grottesco. Bridget è una ragazza imbranata, come tante, ma qui diventa una sorta di Fantozzi (o Paperino, vedete voi) in gonnella. Il tono, insomma, è piuttosto diverso dall'ironia e dalla satira più caustica della pagina scritta (che ne è stato della "nominite", il tormentone del libro?)
Se però non ci si aspetta niente di sociologico legato alla realtà e si accetta di stare al gioco, il film diverte: il ritmo è buono, le gag e le battute - seppur fini a se stesse e poco legate nella storia - sono spesso irresistibili. Certo, è puro intrattenimento e niente di più: ma visto che è stato tradito il primo romanzo, tradire il secondo, già di per sé più superficiale e inutile, non è un gran peccato; si tratta di una trasposizione da Helen Fielding, non certo da Shakespeare. Renee Zellweger, qui ancora più in carne che nel primo episodio, è sempre molto sexy e bravissima nelle sue smorfie di imbarazzo e nella sua camminata buffa, quasi da cinema muto. Così com'è bravo Colin Firth; Hugh Grant, il cui personaggio non appare nel secondo libro, viene ovviamente recuperato per questioni di cassetta, ma nel film ci sta, tutto sommato, bene, e nel personaggio del donnaiolo impenitente è perfetto. Ancora piatti e poco presenti invece i personaggi minori, ed è un peccato sia per la loro importanza nella storia, sia per come i personaggi di contorno avevano rappresentato un vero e proprio valore aggiunto in altre commedie della Working Title: Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill erano un'altra cosa.
Quando verso la fine del film si sente Barry White (You're the first, the last, my everything) vengono subito in mente le disavventure di un'altra eroina dell'insicurezza femminile, Ally McBeal: proprio queste due ragazze, Ally e Bridget, spingono all'identificazione e alla catarsi le insicure di tutto il mondo: quelle più problematiche e cerebrali con la prima, quelle più imbranate e con problemi di linea con la seconda. Forse è questo il segreto di Miss Jones: guardandola le ragazze un po' in carne capiranno che anche così si può essere sexy. E avere il proprio lieto fine.
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