Una canzone per Bobby Long PDF 
di Maurizio Ermisino   

Le nostre star invecchiano. Non solo nel senso dello scorrere naturale del tempo. Ma anche perché invecchiano sullo schermo grazie al trucco: è brizzolato Tom Cruise in Collateral, ha i capelli bianchi anche John Travolta in Una canzone per Bobby Long, presentato al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti. La trasformazione somatica permette ai divi di abbandonare la loro solita immagine, per cimentarsi in nuovi ruoli, all'opposto di quelli in cui siamo abituati a vederli, per fare della "vecchiaia" scenica una nuova giovinezza artistica.

Se per Cruise è stata l'occasione per cimentarsi per la prima volta in un ruolo di cattivo, per Travolta questa è la possibilità di trovare un ruolo diverso dal villain grottesco che ha finito per interpretare all'infinito dopo Pulp Fiction. Dopo i ruoli di macho sexy e danzante degli inizi (La febbre del sabato sera, Stayin' Alive e Grease), e il declino che l'ha portato ad interpretare film come Senti chi parla, Travolta era rinato a nuova vita grazie al "grande ripescatore" Tarantino che gli aveva affidato il ruolo dello scombinato gangster Vincent Vega. Per Travolta poi i ruoli da villain si sono moltiplicati (Broken Arrow, Get Shorty, The Punisher), ma senza copioni geniali come quello di Tarantino a valorizzarlo.

Per questo Una canzone per Bobby Long può aprire una terza fase nella sua carriera. Bobby Long è un ex professore di letteratura alcolizzato. Vive con l'amico Lawson Pines (Gabriel Macht), uno scrittore suo allievo che sta scrivendo la sua biografia, alcolizzato anche lui. All'improvviso nella loro vita entra Pursy (Scarlett Johansson), figlia della loro ex coinquilina, una cantante, che ha ereditato da lei la casa dopo la sua morte. L'incontro tra Bobby e Pursy segue lo schema un po' prevedibile diffidenza – rottura – riavvicinamento, ma il film è sincero, ben scritto e interpretato. E nonostante tratti l'alcolismo, non punta tutto su questo tema, e soprattutto non indulge nelle scene pietose tipiche di questi film (vedi Via da Las Vegas). E non tenta improbabili love story, riuscendo a commuovere senza trucchi di sorta. Il tono del film non è mai rassegnato, e la fotografia dalle tinte chiare, quasi pastello, contribuisce a rasserenare l'atmosfera.

Accanto a Travolta, che azzecca con sensibilità il ruolo che può valere una carriera, andatura stanca, ma sguardo pieno di luce, spicca la prova di Scarlett Johansson, che, dopo Lost in translation e La ragazza con l'orecchino di perla, disegna un altro personaggio di giovane donna in cerca di certezze, di se stessa, e del proprio posto nel mondo, affascinante anche quando tiene il broncio scostante. Ed è una sorpresa anche Macht, che non sfigura accanto alle due star, interpretando il suo Lawson con misura.

Ma insieme ai tre personaggi, il film ha un'altra protagonista, New Orleans, che Gabel ha definito "una città bella e tenebrosa", perfetta per ambientare una storia "tra realtà e finzione in quella zona nebulosa che ognuno di noi si crea per sopravvivere." Così come affascinano le numerose citazioni letterarie, i libri che a volte salvano la vita, come nei film di Truffaut. Le parole di Walt Whitman, Dylan Thomas e molti altri danno spessore al film e ai suoi personaggi, creando un valore aggiunto a quello che sarebbe un semplice film drammatico. Personaggi che si nutrono di letteratura, per diventare letteratura a loro volta.

Oltre alla storia, è riuscita tutta l'atmosfera del film, che odora di alcol, blues e letteratura, come in una sorta di Attimo fuggente decadente e da sbornia, in una New Orleans rifugio di perdenti, ma con l'anima.

 


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