È Merde il titolo inequivocabile del mediometraggio firmato da Leos Carax contenuto nell’opera collettiva Tokyo! Come i colleghi Gondry e Joon-Ho Bong, Carax getta il suo sguardo autoriale sulla metropoli giapponese, facendone scenario della folle storia di “Mr Merde”. L’attore feticcio di Carax, Denis Lavant, è qui uno strambo e spaventoso “folletto delle fogne” di verde vestito, personaggio ripreso dal regista nel suo ultimo (auto)citazionista Holy Motors. Denis Lavant dà corpo (spaventoso) a un reietto che terrorizza la città uscendo per strada da un tombino. Poco incline al rispetto delle più basilari regole del vivere civile, il nostro Signor Merde si aggira per la metropoli rubando fiori e banconote (di cui si ciba) e facendo esplodere bombe a mano tra la folla. Come si conviene per un terrorista, viene incarcerato e poi processato. Egli parla una lingua incomprensibile per tutti tranne che per un avvocato francese, il quale gli somiglia nell’aspetto e dà l’impressione, per questo, di appartenere alla sua stessa “razza”.
Tuttavia, più che un discorso razziale, Carax sembra qui raccontare lo scontro tra la società e un suo reietto. Merde incarna, in fondo, la ribellione al mondo e alla società, in modi e lingua incomprensibili al mondo stesso. È una storia sull’incomunicabilità esistente in un paese e in un sistema in cui, per assurdo, l’ossessione all’esibizione mediatica sembrerebbe e vorrebbe dimostrare il contrario. Per questo Carax scandisce il racconto con le breaking news televisive su Merde, costanti e ripetitive, che dovrebbero spiegare tutto e, invece, quasi appaiono ridicole. Non è un caso, allora, che arringhe e interrogatori durante il processo siano incasellati in doppi e tripli split screen, tipici del linguaggio televisivo. Qui Merde giustifica i propri gesti dichiarando di disprezzare il popolo giapponese. Le motivazioni però sono inesistenti e superflue e in quel momento si attua il gesto più estremo di ribellione: l’imputato si mette contro, palesemente e senza vie d’uscita, non solo i presenti in aula ma un paese intero (a parte i fanatici simpatizzanti che impazzano per strada, come i detrattori). Quella di Merde è una dichiarazione di inappartenenza al suo auditorium, a una nazione e, per esteso, a ciò che normalmente vi abita e vi prende forma. Viene dal basso, Merde, e forse nemmeno appartiene a ciò che è materico, come sembra suggerire il finale. E di contro, invece, i suoi aguzzini protetti dietro un vetro vogliono avere la prova tangibile della sua morte per la pena capitale da loro stessi inflittagli, in un gesto voyeuristico che è un condensato di vera violenza.
Anche qui, come in gran parte della sua filmografia, Carax dà prova di grande sapienza registica, mutuata dalla nouvelle vague e condita con elementi di generi e tradizioni diverse. L’enfant prodige del cinema francese sembra strizzare l’occhio a certo cinema a metà tra il grottesco e lo splatter, ma è sufficiente godere del piano sequenza in cui Merde percorre a perdifiato una via commerciale di Tokyo per capire che qui, come altrove, Carax miscela Godard e punk, colore e straniamento, montaggio e negazione del montaggio.
|