La grande abbuffata - Marco Ferreri PDF 
di Mathias Balbi   

Nel 1973 Ferreri giungeva al culmine di una fama da iconoclasta, da "dissezionatore" acido e lucido, delle procedure e delle debolezze della borghesia, fosse essa quella iberica della fine degli anni '50 - El pisito ed El cochecito, suoi esordi "andalusi" - o quella italiana post-boom economico. Vizi umani e vizi "di classe": i cedimenti bassi alla carne o al denaro che attraversano Una storia
moderna: L'ape regina
(1963) e La donna scimmia (1964) maturano poi nel discorso sociologico e astratto di Dillinger è morto (1969) e si conciliano, nel 1973, ne La grande abbuffata, capolavoro aspro e scandaloso alla visione che, in fondo, non è lontano dal riprendere e dilatare il senso de Il fascino discreto della borghesia (1972) di Buñuel.

Semplicemente Ferreri espone un modello chiuso di borghesia, con quattro rappresentanti ideali (Mastroianni, Noiret, Tognazzi, Piccoli) che vanno a cercare la morte ideale (per ciascuno) nella "clausura" di una villa che sarà l'idea(lizzazione) dell'epilogo del loro mondo; ancora una volta uno spazio chiuso viene ad essere l'espressione principe della borghesia, di per sé (quanto spesso lo ha ricordato il già citato Buñuel) "casta" avvolta e intrappolata nel gioco dei suoi rituali insopprimibili, delle sue debolezze, dei suoi vizi.

La villa ferreriana è sospesa fra la magione surrealista de L'angelo sterminatore (1962) e le clausure orgiastiche di De Sade (altro mito buñueliano) e vive soprattutto della sua natura di luogo concentrazionario che è anche l'idea di un universo arrogantemente autosufficiente.
Il percorso satirico di Ferreri, rappresentato dal cibo-sesso e dal cibo-morte ai livelli più estremi fino ad allora, arriva all'obiettivo di illustrare con sagacia grottesca la libertà di una scelta di vita e di morte ancorata egoisticamente alle gioie e alle ambizioni/ossessioni personali (il cibo soffocante per Tognazzi e Noiret, una vecchia Bugatti per Mastroianni, dentro la quale muore congelato durante la notte), ma alla fine triste, quasi infantile nello strepito ridicolo della sua ostinazione, destinata alla nevrosi centripeta e allucinata di avvenimenti - come quello dell'esplosione di feci dal water intasato - e alla solitudine più completa, di cui la morte è soltanto complemento finale.

 


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