Complici del silenzio PDF 
Anna Barison   

Nel secondo dopoguerra, George Orwell scrisse un libro molto profetico, 1984, uno spaccato apocalittico, ma non irreale, di come i regimi totalitari avrebbero potuto sconfiggere la naturale predisposizione dell’uomo ad agire secondo coscienza, distruggendo un bene assoluto come la libertà di pensare e di agire autonomamente. Complici del silenzio racconta di un passato scomodo ed ingombrante per un’intera nazione, che trova nell’opera di Orwell molti punti di contatto, uno per tutti la distorsione del concetto stesso di democrazia, in cui niente è apparentemente proibito – tranne vivere – se non secondo i dettami del potere vigente. In Argentina, dal 1976 al 1983, fu infatti instaurata la dittatura militare di Videla, una sorta di Big Brother onnisciente e infallibile. Fu un periodo caratterizzato dalla violazioni dei diritti umani e dalla repressione, che intendeva annullare ogni possibile forma di protesta. I dissidenti, una volta arrestati, venivano rinchiusi in luoghi segreti di detenzione e senza alcun processo, dopo torture che potevano durare anche mesi, sparivano senza lasciare traccia, finendo magari in fosse comuni, abbandonati all’oblio e alla disperazione dei propri parenti. Uomini e donne ombra, voci soffocate da un regime che non ammetteva i più elementari diritti, si trasformavano in desaparecidos. La denuncia e la scoperta degli orrori avvenuti in Argentina rimase taciuta a lungo, e solo la coraggiosa azione delle Madri di Plaza di Mayo, madri dei giovani desaparecidos, che sfidarono lo Stato con una protesta pacifica, fece conoscere all’opinione pubblica il dramma che stava martoriando nel loro Paese.

Il film di Stefano Incerti narra di un anno particolare: il 1978, quello del rapimento Moro e delle Brigate Rosse, ma anche quello dei Mondiali di Calcio in Argentina. Un periodo che non aveva ancora fatto conoscere al mondo le atrocità della dittatura: anzi, proprio attraverso il Mondiale il regime cercava di distogliere l’attenzione dalle reali problematiche del Paese. In Italia, soprattutto per gli eventi politici e terroristici che occupavano la maggior parte delle cronache nazionali, non si conosceva il fenomeno Videla e, nonostante molti italo-argentini ne fossero interessati, solo pochi giornalisti ebbero il coraggio e la prontezza di far luce sulla situazione. Gli eventi del film partono proprio da qui: dalla necessità di due giornalisti italiani di raccontare la dittatura per salvarsi la vita. Maurizio (Alessio Boni) e Ugo (Giuseppe Battiston) sono due inviati sportivi che arrivano in Argentina per seguire il Mondiale, animati più da uno spirito di avventura che da un reale interesse per la competizione. Maurizio deve consegnare una busta contenente del denaro ad Ana, ex moglie di un argentino emigrato in Italia. L’incontro tra i due è amore a prima vista. Ma Ana fa parte di una formazione guerrigliera che si oppone alla dittatura, e così, involontariamente, anche Maurizio diventa complice e nel contempo strumento dell’esercito per mettersi sulle tracce della donna e dei suoi compagni, che da tempo vivono in una situazione di clandestinità. Catturati entrambi, conoscono le carceri della giunta militare, e solo alla fine del Mondiale a Maurizio verrà offerta l’opportunità del rimpatrio. L’uomo accetta a patto che anche ad Ana venga concessa la stessa libertà. Ora sono liberi, ma Ana non si fida delle promesse dei suoi aguzzini e così fugge di nuovo, scomparendo nella calca dei festeggiamenti per la vittoria dell’Argentina alla finale del Mondiale. Anni dopo il nome della donna comparirà nella lista dei 30.000 desaparecidos, lasciando però a Maurizio una lieta sorpresa.

Stefano Incerti è sempre stato un regista attento a delineare situazioni ai margini, di perdenti e di persi, di tutte quelle persone cioè la cui esistenza è segnata da una difficile lotta per la sopravvivenza, alla ricerca di quel fragile equilibrio che è la propria identità. Con questo suo ultimo lavoro il procedimento narrativo è lo stesso. Sullo sfondo di questi atroci sconvolgimenti politico-sociali, il film suggerisce più chiavi interpretative. Innanzitutto è un preciso atto d’accusa nei confronti di un potere assoluto e repressivo, che ha messo in ginocchio un’intera nazione, ma su cui soprattutto non si è fatta ancora pienamente luce. Basti pensare che alcuni politici del tempo sono ancora liberi e che lo stesso dittatore Videla non è in carcere, ma soltanto agli arresti domiciliari. In secondo luogo, il film intraprende una riflessione sulla complessità dell’animo umano e sulla capacità che hanno gli individui di essere se stessi, cadute le maschere e le sovrastrutture sociali, proprio nei momenti di difficoltà. Lo stesso protagonista scopre a sue spese il significato della sofferenza, e da uomo superficiale e disattento qual’era inizia un percorso di crescita che risveglierà in lui non solo quel sentimento rivoluzionario che anima giovani studenti universitari, gente comune e intellettuali, ma anche l’inalienabilità di valori assoluti come la dignità umana e la libertà. Una crescita lenta e consapevole che diventa il motore della sua lotta e che, poco alla volta, diventerà il suo scopo, ristabilendo l’attaccamento alla vita e la solidarietà verso i suoi simili. Il viaggio si trasforma in un vero e proprio percorso di formazione, nel risveglio sempre più vivido delle aspirazioni umane che iniziano ad agitarsi quando l’esistenza è sotto pressione o quando inizia a manifestarsi l’istinto di sopravvivenza. Il rapporto tra Maurizio e Ana ha la capacità di amplificare un interesse per la vita che sembrava spento, di accendere quell’enorme potenziale che è l’identità dell’essere umano di fronte ad un pericolo imminente, per produrre degli anticorpi che hanno la capacità di preservarci e ristabilire un contatto con la realtà. La sceneggiatura ha proprio questo intento, di portarci per mano, poco per volta, alla consapevolezza morale del protagonista. E lo fa attraverso una storia d’amore, ma anche sfruttando l’elemento perturbante che richiama i film di genere: la paura.

Da qui la genesi del racconto, che offre oltretutto momenti di derivazione storica come, per esempio, le immagini di repertorio di Videla che inaugura il Mondiale e che ricorda molto da vicino la tradizione nostrana dei film dell’impegno civile di Rosi o Petri. E così, sullo sfondo di una guerra civile, assistiamo ad una reale documentazione dei fatti: abrogazione dei diritti costituzionali, sospensione delle attività politiche e di associazione, proibizione dei sindacati e della libera attività dei giornali, utilizzo della tortura come forma sistematica per estorcere informazioni. Ma soprattutto osserviamo il percorso umano del protagonista e la storia dei suoi sentimenti. Confrontandosi con il presente e scontrandosi con gli eventi, conosce la tragedia di una nazione che fino a poco tempo prima gli era oscura, esce dalla sua ignoranza per nobilitarsi come individuo, sia attraverso l’amore, sia aderendo ad un sentimento collettivo. La scelta registica è quella di scavare nella sua personalità, introducendo un forte monito nei confronti dei regimi totalitari in genere. In una serie di eventi concatenati, si arriva ad una risoluzione finale che apre la strada a molteplici dibattiti, primo fra tutti una chiara denuncia per un passato troppo spesso dimenticato, ma anche la scoperta che la possibilità di riscatto è un evento doveroso in ogni essere umano. Il realismo con il quale è raccontata la storia è molto crudo, e se la violenza è suggerita piuttosto che mostrata, le scene sono comunque forti, i corpi sono torturati nel fisico e nell’animo, e la follia sembra essere l’unica causa di un male assoluto come questo. Gli stessi politici che compaiono sulla scena sono rappresentati come schiavi del potere, proni di fronte ad un’entità che è più forte di loro e che meccanicamente fa eseguire loro gli ordini più assurdi, anche se devono uccidere i propri parenti o amici.

In quest’opera la maturità dell’autore si poggia su solide basi e si fortifica grazie alla scelta dei due attori, Alessio Boni e Giuseppe Battiston. Il primo ha uno spessore inquadrabile sia in un’ottica televisiva e nazional-popolare, sia in un’ottica autoriale. Il secondo, invece, è capace di sdrammatizzare gli eventi con la sua aria bonaria, creando un connubio felice nell’insieme. La speranza è che film come questi possano uscire allo scoperto e venire premiati anche dal grande pubblico. La conoscenza del nostro passato è il mezzo più efficace contro le forme di pensiero devianti e i poteri assoluti, ma è anche lo strumento per uscire dalla mediocrità e da un’incoscienza distruttiva.

TITOLO ORIGINALE: Complici del silenzio; REGIA: Stefano Incerti; SCENEGGIATURA: Stefano Incerti, Rocco Oppedisano; MONTAGGIO: Cecilia Zanuso; MUSICA: Aldo De Scalzi, Pivio; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 100 min.

 


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