Sherlock Holmes - Gioco di ombre PDF 
Maurizio Ermisino   

“Cosa vede?”. “Tutto. È questa la mia condanna”. È quello che dice lo Sherlock Holmes di Robert Downey Jr. a una cartomante, interpretata da Noomi Rapace. Sherlock Holmes - Gioco di ombre, secondo episodio della fortunata franchise sul detective creato da Arthur Conan Doyle, vede entrare in scena il Professor Moriarty, trafficante d’armi che nel 1891 vuole creare una domanda alla sua offerta: far scoppiare una guerra tra Germania e Francia, per poi armarle a dovere. Per farlo organizza una serie di attentati, da Parigi a Strasburgo.

“Cosa vede?”. “Tutto. È questa la mia condanna”. È la deduzione, bellezza. Guy Ritchie, come nel primo film dedicato ad Holmes, riesce a rappresentare efficacemente sullo schermo la proverbiale dote del detective londinese, con una scelta stilistica che ormai è il marchio di fabbrica della serie dedicata al personaggio di Doyle. Parliamo del ralenti: Ritchie ci fa vedere la stessa scena prima rallentata, con la voce off di Holmes a “leggere” ogni dettaglio dell’avversario che affronta, come se potesse pre-vedere lo scontro, e poi velocizzata, con lo scontro che avviene, secondo le mosse previste, a un ritmo sovraeccitato. È in questo modo che il regista inglese rappresenta per immagini il dono di Sherlock Holmes: vedere. Vedere tutto, vedere velocemente, vedere prima degli altri, vedere cose che altri non vedono. Raccontare la dote della visione attraverso il cinema è una sfida affascinante, e Ritchie la vince, con una scelta semplice eppure efficace. È la stessa idea del primo film, qui portata avanti fino alla fine (lì veniva abbandonata a metà film), che può stancare o meno, ma è interessante. In questo modo Ritchie destruttura l’action movie, lo disseziona, lo smonta e lo rimonta a suo piacimento. Piaccia o no, ha uno stile. E Ritchie sa di averlo, uno stile, e a volte ne abusa, eccede in virtuosismi, fa vedere troppo quanto è bravo. Il risultato è che tutto scorre veloce, senza appassionare veramente, senza creare empatia con i personaggi. Perché, se l’ambizione è quella di creare un nuovo supereroe, una sorta di Batman vittoriano (Holmes e Watson come Batman e Robin), o un James Bond d’antan (le citazioni non mancano, dalla statura di villain megalomane del suo avversario alla costruzione di alcune scene, come la tortura alla Goldfinger e l’ambientazione sulla neve di Al servizio segreto di sua maestà), il rischio è che Downey Jr. e Law diventino i nuovi Bud Spencer e Terence Hill, o i nuovi Clouseau e Cato, visto che di scazzottate e di travestimenti comunque si tratta. Sherlock Holmes, insomma è soprattutto un nome, un involucro, dentro cui Ritchie mette i caratteri del cinema che ama e a cui aspira, citando anche il suo Snatch (la boxe, gli zingari). Tanto che la franchise di Sherlock Holmes può essere considerata l’ideale prequel dei suoi gangster movie e del suo cinema british pulp.

Ma non c’è pulp senza droga, come ci insegna Tarantino. E quella di Sherlock Holmes è una dieta a base di caffè, tabacco e foglie di coca, con cui il detective si nutre per restare sveglio durante i suoi esperimenti. Riferimenti al passato tossico di Downey Jr. (qui al solito, gigione e bravissimo) a parte, è un mix che potrebbe definire la cifra stilistica di questo Sherlock Holmes - Gioco di ombre: adrenalinico, ipereccitato, eccessivo. Nella recitazione, come nella regia. Tutto scorre a un ritmo veloce, velocissimo. A volte anche troppo per restare veramente impresso nella mente, e nel cuore, dello spettatore.

Titolo originale: Sherlock Holmes: A Game of Shadows; Regia: Guy Ritchie; Sceneggiatura: Michele Mulroney, Kieran Mulroney; Fotografia: Philippe Rousselot; Montaggio: James Herbert; Scenografia: Sarah Greenwood, Alison Harvey, Katie Spencer; Costumi: Jenny Beavan; Musiche: Hans Zimmer; Produzione: Warner Bros. Pictures, Silver Pictures, Lin Pictures; Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia; Durata: 129 min.; Origine: USA, 2011

 


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