TOFIFE 2007/Lars e una ragazza tutta sua PDF 
Caterina Bonora   

ImageNominato al Golden Globe per l’interpretazione dell’attore protagonista, Ryan Gosling, accolto da una standing ovation al Chicago e al Toronto Film Festival, salutato da un lungo applauso al Torino Film Festival, Lars and the Real Girl intreccia sfumature continuamente divergenti, tanto che si è detto di questo film che unisca i sogni ideali alla Frank Capra alla causticità dei fratelli Coen. Lars è un disadattato, un asociale traumatizzato che, messo ai margini dalla piccola comunità in cui vive (un innevato paese del Wisconsin) e dalla famiglia, cade nella follia. Lars non si inventa un amico invisibile, ma una fidanzata, Bianca. Peccato che la ordini per posta, trattandosi niente meno che di  una bambola gonfiabile prenotata su un sito porno. Davanti a tanto disagio mentale, la cognata, il fratello e tutto il paese decidono di assecondare Lars, di non stigmatizzarlo, in attesa che qualcosa in lui maturi.

Lars and the Real Girl è giocato su quello che emerge prima di tutto dal titolo, che è venuto inevitabilmente a perdersi nella sua traduzione italiana Lars e una ragazza tutta sua. “Real Doll” sta infatti per “bambola gonfiabile”, mentre Lars trasforma il manichino in una persona vivente, la “realizza” attribuendogli una personalità pura, indipendente e idealizzata. Il film evita di giocare su facili doppi sensi, tanto più che il rapporto tra il protagonista e Bianca è puramente platonico, secondo l’osservanza dei valori cristiani. I “normali”, per compiacere Lars, si vedono così costretti ad interagire con la bambola come se fosse una persona vera, creando inevitabili effetti di comicità e scivolando anch’essi, gradatamente, nell’illusione. Ciò che viene mostrato attraverso il filtro della più tipica commedia degli equivoci è insomma qualcosa di molto triste: la solitudine, l’indifferenza, la malattia mentale. In realtà non c’è nessun equivoco, solo un surreale, quanto fondamentale patto sociale per il bene del singolo. Nel film Lars e il fratello hanno un dialogo su cosa significhi diventare adulti: smettere di pensare solo a sé stessi, al proprio ego, e agire spontaneamente per il bene delle persone a cui tieni. Si assiste dunque alla presa di coscienza di una necessità di crescita in questo senso da parte della società, proprio tramite il comportamento scioccante di Lars. Non è tanto la comunità a curare il ragazzo, ma il contrario. Ed è lo stesso concetto di comunità ad acquistare una maturità fondata sull’altruismo, anche laddove esso sembra andare contro le convenzioni normalmente date. Qui il film assume decisamente i tratti della favola sociale. Il paese decide, come un unico organismo, di agire in modo atipico, di recitare, sulla base del consiglio della psichiatra Dagmar, perché il rinsavire di Lars possa essere da lui stesso elaborato senza pressioni esterne. La “realizzazione” di Bianca è uno strumento, un messaggio di Lars alle persone che gli stanno intorno e che dovrebbero prendersi cura di lui, e non lo fanno. Anche i colleghi del protagonista, d’altronde, hanno oggetti, pupazzi, idiosincrasie, su cui riversano un’emotività altrimenti inespressa. La differenza tra normalità e follia, allora, si innesca paradossalmente nel fatto che l’una si rinchiude in sé stessa, nell’individualismo dato per scontato come un qualcosa di tristemente sano, mentre l’altra sconvolge i confini, crea una rottura, un’instabilità degli stereotipi e, soprattutto, determina un rinnovato rapporto tra le persone.

ImageLa sceneggiatrice Nancy Oliver, autrice anche del telefilm Six Feet Under, gioca sul continuo rilancio di situazioni paradossali. Il film, girato in Canada in 31 giorni, è l’esordio al lungometraggio di Craig Gillespie, nome noto nel mondo della pubblicità e dei videoclip. Se il film ha suscitato molti entusiasmi, parte della critica ha sottolineato invece il calcolato effetto consolatorio che la storia produce sullo spettatore, tanto da far affermare a Manhola Targis del NY Times che Lars and The Real Girl è “part comedy, part tragedy and 100 percent pure calculation”. Di fatto la creazione dell’utopia sociale di cui parla il film (il passaggio dall’individualismo più bieco al puro e disinteressato interesse per il prossimo), la magnanimità e l’unità di un gruppo nei confronti della malattia di un singolo, del debole, suona come l’espressione di un desiderio forse falsato, ammantato com’è da una patina asessuata programmaticamente irrealistica. La crescita dell’intelligenza emotiva (che, pare suggerire il film, può avvenire solo in una comunità ristretta) si impone improvvisamente, senza una profonda messa in discussione di ciò che ha portato ad una situazione estrema, degenerata, malata. Non viene seriamente presa in considerazione la storia precedente alle situazioni comiche e alla bontà che viene improvvisamente ed inspiegabilmente elargita da questi rappresentanti dell’America profonda.

É tutto molto “carino” - se si può passare il termine piuttosto fastidioso - e rassicurante. Il gruppo trova il modo di auto-conservarsi, di riscoprire quello che c’è di buono e che unisce le persone, un sentimento solo sopito, temporaneamente dimenticato, ma sempre presente. La tenera naiveté del plot stride allora contro la sensazione che anche gli stessi creatori di Lars fingano solo di credere al sogno pacato di una società che possa davvero rinsavire grazie alla messa in crisi del principio della solitudine.


TITOLO ORIGINALE: Lars and the Real Girl; REGIA: Craig Gillespie; SCENEGGIATURA: Nancy Oliver; FOTOGRAFIA: Adam Kimmel; MONTAGGIO: Tatiana S. Riegel; MUSICA: David Torn; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2007; DURATA: 106 min.

 


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