Mi rifaccio vivo PDF 
Alessandro Padovani   

Biagio Bianchetti (Lillo) è un imprenditore in crisi che, soffocato dai debiti e da un complesso di inferiorità nei confronti dell’ex compagno di scuola e ora imprenditore rivale Ottone di Valerio (Neri Marcorè), decide di suicidarsi. L’inizio sembrerebbe promettere un film dai toni cupi di dramma sociale, ma Sergio Rubini usa la tragedia solo come punto di partenza per costruire una commedia post mortem dai toni grotteschi e surreali, giocando con il soprannaturale e il doppio come aveva fatto con L’anima gemella. Infatti, all’arrivo in un aldilà “marxista”, a Bianchetti viene offerta la possibilità di vivere una settimana bonus nei panni di un altro uomo, per dimostrare di meritare il paradiso: Bianchetti sceglie Denis Rufino (Emilio Soffrizzi), braccio destro di Ottone e “maschera etica” della sua azienda, in modo da attuare la tanto sognata vendetta nei confronti dell’eterno rivale.

No, non è Il paradiso può attendere di Warren Beatty e Buck Henry, premio Oscar 1979: la storia è simile, l'esito molto meno. Certo, è difficile accusare di poca originalità un’idea, il ritorno dall’aldilà nei panni di qualcun altro, che ormai può essere considerata un topos cinematografico, quasi un vero genere a sé stante (solo per citarne alcuni, ricordiamo Ritorno dal paradiso del 2001, L’inafferrabile signor Jordan del 1941 o Il cielo può attendere di Lubitsch del 1943). Tuttavia, bisogna dire che la riproposizione italianizzata di Rubini non riesce a imporsi come commedia innovativa e nemmeno, nonostante il tema drammatico, come commedia graffiante alla Frank Capra: sul film rimane un gusto buonista da Canto di Natale, con la prevedibile morale dickensiana finale che in fondo perfino l’imprenditore malvagio Scrooge/Ottone ha un cuore e delle debolezze. Rubini si allontana dalla terra d’origine che aveva fatto da sfondo a molti dei suoi film (da La stazione a Terra) e dalla vena autobiografica (L’uomo nero), e si lancia coraggiosamente nel genere che negli ultimi anni aveva studiato da attore, recitando in film come Tutto l’amore del mondo o Qualunquemente, e che in Italia si conquista il maggior respiro nella distribuzione: la commedia, seppure dal retrogusto amaro. Rubini, pur riuscendo a imprimere il proprio stile al genere, non riesce a sfuggire al virus che sembra intaccare qualsiasi commedia scritta e girata in Italia: l’ansiosa ricerca della risata, anche a costo di gag prevedibili e battute scontate (anche se bisogna sottolineare che Rubini non scade mai nella volgarità fine a se stessa), una recitazione sopra le righe (come quella di Neri Marcorè) che riduce i personaggi a “macchiette”, il puntare su attori conosciuti del cabaret televisivo, che spesso emergono più del loro personaggio. Resta un mistero perché in Francia la commedia di qualità (oltre i film di Dany Boom o Jeunet, ricordiamo il grande successo di Quasi amici di Nakache e Toledano) venga incentivata e di rimando riempia le sale, mentre in Italia si continui a lavorare su storie stanche e scariche della loro vis comica, ripercorrendo i soliti luoghi comuni che puntano alla pancia prima che alla testa (e al cuore) degli spettatori.

Con questo non si può dire che Mi rifaccio vivo sia un totale fallimento o una pellicola di bassa qualità, ma dimostra che questo “virus della commedia italiana” attacchi anche registi di talento come Rubini: certamente qualcosa di buono c’è nella commedia del regista pugliese, come la visione della crisi dal punto di vista dell’imprenditore, la sperimentazione di una comicità più mimica che verbale (a volte sembra quasi rimandare al muto), un surreale e divertente aldilà marxista, una buona recitazione di Soffrizzi (già protagonista con Rubini in Terra) rispetto agli altri interpreti (perfino la bravissima Buy appare opaca). È anche chiaro il messaggio che Rubini vuole comunicare: il senso d’inferiorità che affligge l’uomo, le debolezze che si possono nascondere anche dietro l’uomo più sicuro e potente. Tuttavia, le debolezze che emergono dal film sono quelle di un genere stanco, che ha bisogno della freschezza di nuove idee se vuole provare a riportare gli spettatori in sala (aldilà dei biglietti a tre euro per una settimana). In conclusione, Mi rifaccio vivo si va ad aggiungere al mucchio di altre commedie più che dimenticabili degli ultimi anni, lasciando in bocca l’amarezza per un regista che potrebbe fare molto meglio: speriamo che anche la vis comica dell’antica commedia all’italiana “si rifaccia viva”.

 


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