Tredici variazioni sul tema PDF 
di Lorenzo De Nicola   

Già con il suo primo film, Clockwatchers - Impiegate a tempo determinato (vincitore nel 1997 alla quindicesima edizione del Torino Film Festival), Jill Sprecher aveva dimostrato di possedere un'acuta sensibilità per la messa in scena del quotidiano, delle impalpabili sfumature che distinguono e diversificano le relazioni tra gli individui.

Ma a differenza della sua opera precedente, alle cinque impiegate della Global Credit la regista sostituisce un vero e proprio affresco di personaggi, una composizione corale basata su una sceneggiatura intrigante che tratta, per usare le parole di Turturro, "di qualcosa che la gente sperimenta e cerca nella vita"; proprio il suo personaggio, Walzer è l'icona del paladino - sconfitto - alla ricerca della felicità, tema su cui si snodano le variazioni enigmatiche di questa pellicola.

La Sprecher investe la scala sociale nella sua totalità, dall'impiegato all'architetto affermato, dalla donna delle pulizie all'avvocato rampante, accomunandoli nel destino di affrontare una vita in cui si è costretti inevitabilmente a guardare avanti, impossibilitati nel prevedere gli accadimenti in grado di scuotere e cambiare per sempre il loro destino, assetati di qualcosa di nuovo e al tempo stesso terrorizzati dalla possibilità che questo possa avverarsi.

Sono anime in pena che s'incrociano all'interno della solita frenetica e dispersiva Grande Mela (anche se il tempo e lo spazio in questo caso sembrano essere smarriti!), lanciate all'inseguimento di quel sorriso, di quell'appagamento sincero e spontaneo, che sembra proprietà solo di Wade Bowman (William Wise), Mr. Sorriso appunto, tanto capace di salvare le vite delle giovani donne disperate quanto di essere trasformato in capro espiatorio per questa sua dote che sembra non condividere con gli altri protagonisti.

Nell'universo tratteggiato dalla Sprecher il sorriso di Bowman si amalgama con la smorfia di Walker, la rabbia di Gene (uno splendido Alan Arkin) si fonde con la disperazione di Patricia (Amy Irving), la baldanza spaccona e vitale di Troy (Mattew McConaughey) si schianta contro la rassegnazione di Ronnie (Alex Burns), così come le teste delle bambole possono predire il futuro e le leggi fisiche divenire drammatica testimonianza degli errori di un uomo.

La regista pertanto riesce a dare vita ad un equilibrio che sorge spontaneo dai contrasti o dalle affinità, affettando la narrazione - finemente orchestrata in un intreccio sapiente e calibrato - e la messa in scena. Con l'ausilio dalla maestria fotografica di Dick Pope (firmatario di gran parte dei lavori di Mike Leigh), genera il microcosmo dei suoi personaggi attraverso l'uso di una policromia caratterizzante, che si oppone alla luce unica che governa gli ambienti comuni.

La macchina da presa si muove poco, abbandonandosi all'ampio respiro di lunghe inquadrature fisse dove la gestualità e le movenze di questo battaglione di ottimi attori sono immancabilmente indagate; un cast variegato e di grande esperienza, che non manca di lasciar spazio alla bravura d'ogni singolo componente.

Ogni personaggio viene svelato allo spettatore gradualmente, fornendo col contagocce tutti i dettagli necessari per comprenderne lo spessore, nessuno dei quali risulta di troppo. Il ritmo della narrazione sembra godere della presenza di un metronomo invisibile che scandisce il tempo, vietando le accelerazioni o i rallentamenti.

Tredici variazioni sul tema si trasforma pertanto in un lento e costante fluire di avvenimenti che emoziona, commuove e si conclude solo quando ogni anello della catena ha trovato la sua giusta collocazione, solo quando un timido sorriso farà la sua prima apparizione sui volti contratti di un uomo e una donna che, per la prima volta dopo molto tempo, si "riconoscono".

 


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