Signs PDF 
di Davide Tarò   

Film "inessenziale" questo, se per essenzialità cinematografica si volesse intendere la messa in atto di una propria 'storia' e della sua relativa messa in scena, con le sue metafore ed una sua simbologia particolare annessa. Se questo si intendesse per essenzialità, allora quest'ultimo film di Shyamalan non ne rispetterebbe assolutamente i crismi, essendo un lavoro totalmente formato da altri materiali cinematografici ed iconografici non "suoi", entrati però nel comune sentire, che 'lavorano' e 'funzionano' da soli nella pellicola come nell'inconscio collettivo dell'umanità, se vogliamo.

Signs, da un punto di vista strettamente tecnico, per ammissione dello stesso regista, è una perfetta e parsimoniosa parafrasi degli Uccelli di Alfred Hitchcock per il primo tempo, e della Notte dei morti viventi di George Andrew Romero per il secondo, mentre 'soggiace' per tutta la pellicola un'aria di sano film di fantascienza americano regalatoci dalla Guerra fredda. La dicotomia esterno-interno, mezzi di comunicazione fallaci o di cui non ci si può più fidare, tutte le 'istituzioni' sociali, famigliari e non, crollano, tutto è perfettamente strutturato in questo film tecnicamente 'bastardo', tutto è messo al punto giusto, gli effetti sonori con la regia, le ellissi, i piani di insieme e quant'altro contribuisca ad avere una visione perfettamente cinematografica della storia (di quelle che sono quasi scomparse dopo Hawks e Hitchcock).

C'è quasi una legge profonda del 'desiderio visivo' in Shyamalan, che in effetti permea tutta la sua produzione, e che in questo film particolare non si smentisce: c'è una vera e propria 'traiettoria del desiderio' ed è simboleggiata, rappresentata essenzialmente da quella finestra della casa del prete (che alla fine non a caso si romperà, lasciando "libera" la visuale), da quel desiderio di guardare fuori, senza più paure, da quel desiderio quasi timido ed atavico di "vedere" qualcosa, e non semplicemente guardare.
Qui il gioco si complica, e molto, se pure di puro "gioco" si può parlare: l'autore non è un regista da poco, lo dimostra mettendo in un film intitolato magnificamente 'signs', tutte le icone, i 'segni' del nostro modo di pensare e di essere, in una società profondamente stratificata, del nostro vero e proprio inconscio collettivo, del nostro modo di "sentire" le cose che ci circondano e la vita di tutti noi (gli alieni, la provincia americana, i 'segni' sul grano e i 'segni' dell'uomo, cioè la città e le vie, i mezzi di comunicazione come la televisione e la radio, il 'baseball' rappresentato dalla risolutrice mazza finale e tanto altro ancora).

L'umanità, essenzialmente, come dice il film, si può dividere in chi crede che qualcosa accada perché esiste una volontà superiore in qualche modo 'ordinatrice', e chi invece crede che tutto accada per accidente. La pellicola è strutturata volutamente e sapientemente con rimandi nascosti di sceneggiatura sopraffina in "double-face", in modo che effettivamente chiunque appartenente indifferentemente a una di queste due fazioni ci si possa "ritrovare", ma il 'medium' in effetti crea il suo messaggio ancora una volta, ed al cinema è difficile non pensare alla 'volontà ordinatrice' del regista, anche in questa magnifica pellicola; lo sa bene anche Shyamalan, ed è così che sottilmente, quasi inavvertibilmente, anche con l'intervento dell'abituale compositore James Newton Howard che spicca per la sua poca presenza (anch'essa 'segno' di qualcosa no?), si vuole propendere per la prima ipotesi.

In un mondo buio, senza grandi speranze in un domani migliore, questi film fanno bene all'anima oltre che al piccolo 'cinefilo' che sta in ognuno di noi: la necessità assoluta di poter dire ai nostri figli la fatidica frase "andrà tutto bene" è un dovere morale ed etico, non una delle tante possibilità, e questa pellicola riesce (come l'Arte dovrebbe fare) ad "elevare" anche solo per un momento effimero l'umanità dalla sua condizione di miseria assoluta, nella speranza/consapevolezza che anche nelle situazioni peggiori e di dolore, tutto dovrà andare comunque per il meglio.
Non è una cosa da poco rappresentare e raccontare questo al cinema senza cadere nella facile dottrina o nel populismo. Shyamalan da vero demiurgo è riuscito a fare qualcosa che pochi sono riusciti a fare in questo modo, con questo tipo di temi trattati: fare un gran bel film "di genere", con le sue ferree regole interne, che piacesse al pubblico, ma nello stesso tempo profondamente umano, di quell'umanità religiosamente laica che ci ha regalato nel corso dei secoli grandi capolavori della storia dell'arte.
Un vero cinefilo, a differenza della vita reale in cui, in effetti, può essere come più gli piace, al cinema non può assolutamente essere "ateo".

 


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