L’incontro con Raoul Ruiz nella nicchia del Cinema (Riace, 24 maggio 2008) PDF 
Alessandra Mallamo   

Le strade del cinema sono infinite e i luoghi verso cui convergono non sono meno importanti delle problematiche e dei contenuti proposti dalla settima arte. Lo testimonia il continuo fiorire di festival, rassegne, concorsi di rilevanza internazionale che si legano in maniera indissolubile alle città in cui tali manifestazioni vengono organizzate: Cannes, Berlino, Venezia, e adesso Roma. Come la moda, e ogni forma d’arte legata in qualche modo alle esigenze del mercato, anche il cinema ha (i suoi e) le sue capitali. A volte però, al pari delle madonne che fino al secolo scorso apparivano nelle grotte di sperduti paesini di campagna, succede che il Cinema imbocchi una strada che porta verso la periferia dell’impero. Mi scuso per la metafora religiosa, ma la portata dell’evento che sto per raccontare impone un linguaggio del genere, da un lato per sottolinearne l’importanza, dall’altro per coglierne l’ironia.

In effetti, quella di un maestro del calibro di Raoul Ruiz nel piccolo teatro dell’Istituto del Sacro Cuore di Riace è da considerarsi una vera è propria apparizione. Per capire, bisogna necessariamente fare un passo indietro e spiegare che l’Istituto comprensivo di Riace (RC) ha potuto organizzare, grazie ai finanziamenti PON erogati dalla Comunità Europea, una sorta di “scuola di cinema” per i ragazzi delle scuole medie che procedeva in molte direzioni: storia e teoria del cinema, analisi di film, sviluppo del senso critico verso l’immagine, della comprensione di nuovi punti di vista, della creatività (quest’ultima attraverso l’ideazione e la produzione di un cortometraggio). Nell’ambito di questo progetto era prevista una manifestazione che pubblicizzasse l’attività della scuola, e, grazie ai contatti col DAMS dell’Università della Calabria, era stata organizzata la presentazione della rivista “Fata Morgana”. Il destino ha voluto che proprio negli stessi giorni Ruiz svolgesse un laboratorio presso l’Università e così è stato invitato anche lui.

Torniamo quindi al nostro teatro, concesso alla scuola dalle suore, in un piccolissimo paese dell’entroterra calabrese che si affaccia sulla costa ionica, in mezzo a calanche ormai dorate dall’estate giunta in anticipo, e che affascinano tanto il Maestro da farne delle immagini per il suo prossimo film. Ruiz parla, con il suo “parlare debole” di cui si scusa continuamente, con in faccia tutto il Sudamerica: i baffi alla Pancho Villa, gli occhi grandi e aperti dei cileni, i capelli, sicuramente neri un tempo, sono quelli di un indio. Un sud che parla a un altro sud: tra allievi, insegnanti e genitori, che non hanno molta confidenza con la settima arte, in un posto dove nemmeno c’è mai stata una sala di proiezione, Ruiz viene a raccontarci la sua esperienza, dopo aver attraversato, nei suoi centoventi film o più, altrettanti mondi. Parla di cinema come se fosse un racconto popolare, di quelli che i vecchi del paese narrano ai bambini; si dice d’accordo con Gabriela Mistral, poetessa cilena, per cui ogni volta che si deve spiegare qualcosa è necessario partire sempre da un racconto, anche se si tratta di matematica o biologia, perché la [i]fabula[/i] finisce per diventare il sostrato plastico di quella conoscenza.  Sul piccolo palcoscenico c’è un fondale, disegnato dai bambini per chissà quale recita di fine anno, con un volo di rondini che migrano anch’esse verso qualche altro sud.

Da lì il regista ringrazia per tutte le cose dette su di lui dagli altri relatori, ma rivela che “ci si annoia spesso con Raoul Ruiz”, dice di amare la filosofia ma “non può dirsi filosofo, è come se una mucca si dicesse poeta”, però poi inizia a raccontare del suo amore per il cinema, delle domande che nascono dall’analisi dell’esperienza esistenziale, ma anche “neurologica” del film: “Vedere un film significa guardare ventiquattro immagini al secondo. Se nel luogo della proiezione è tutto assolutamente buio, il nostro cervello entra in una fase simile a quella del sonnambulismo; che cosa avviene al pensiero in quel momento? come lavora la nostra immaginazione? la nostra intuizione?”

Il cinema viene assimilato alle visioni collettive che sono capaci di provocare gli sciamani con la trance: immateriale eppure coesistente.  Continua, sviluppando infinite variazioni sul tema: “una parte del film che vediamo è sempre di buio, perché l’otturatore si chiude tante volte quanti sono i fotogrammi che compongono la pellicola. In quel buio brevissimo e subliminale, il nostro cervello crea, ricorda, immagina”.  In quegli impercettibili momenti di buio la nostra mente si illumina, il pensiero lavora retroattivamente sulle assonanze delle parole che ascoltiamo, sulle suggestioni che ci lasciano certe immagini: vediamo nell’invisibile.

Ruiz continua, parla di come nascono i suoi film, dice di essersi reso conto che in un certo senso essi rappresentano le note a margine dei libri che sta leggendo nel momento in cui gira; delle glosse, delle deviazioni semantiche che finiscono per allargare la nozione di razionalità verso un continuo andar fuori, riscrivere, riprendere. Le intuizioni del regista sono come le griffe della macchina da presa che catturano di volta in volta la pellicola e che si ritirano quando essa viene esposta per registrare l’immagine. La pellicola finisce per diventare il pensiero, il luogo materiale della luce. Per contrappunto il suo ragionare diventa cinema. Raoul Ruiz, in quella sala affollata e rumorosa è già cinema, proietta le parole: le frasi sono movimenti di macchina, carrellate, inquadrature, dettagli. Come gli stordimenti di James Stewart in Vertigo quando guarda nella tromba delle scale, anche le sue riflessioni sembrano scaturire da una vertiginosa zoomata in avanti mentre la m.d.p. si muove velocemente all’indietro.

Sembra divertito, nel suo osservare come un bambino tutto quello che lo circonda, di vedere le ragazzine di prima media scherzare con i compagni più grandi addetti alla ripresa dell’evento. Le mamme, che si sono portate anche i più piccoli, a volte non riescono a frenare gli urli liberatori dei neonati, ma non escono dalla sala, perché vogliono ascoltare, e in fondo sentire quel grido che copre, per dirla impropriamente con Artaud, i bla bla dello scritto, rappresenta il fuoricampo che è sempre la vita. Guarda il pubblico, il regista, e dice che gli ricorda le assemblee caotiche di indios che si tengono in certi villaggi del suo paese, manca solo qualche cane che gironzola qua e là, ma non lo dice per fare un appunto ironico, anzi sembra quasi dispiaciuto di questa mancanza. Una poetica tanto profonda può nascere solo dall’umiltà, e l’umanità che si percepisce stando vicino a Ruiz è quella di un cinema che si muove alla ricerca dell’inafferrabile, che guarda ogni cosa con riconoscenza. Di fronte a una mamma che, durante il rinfresco, gli dice di sentirsi onorata di averlo potuto ascoltare, ringrazia come se fosse la giuria di Cannes a rivolgergli quelle parole. Poi, nella confusione che gli lascia un momento di solitudine, non visto, fa un gesto che per me diventa la sintesi della sua grandezza artistica: odora il mazzo di fiori offertogli e sorride, colpito dal profumo. La presenza di un maestro che ha lavorato con alcuni tra i più grandi attori del cinema, basti citare Marcello Mastroianni in Tre vite e una sola morte, tra ragazzi che durante quest’anno scolastico hanno potuto scoprire nuove forme di espressione e di pensiero nonché praticarle, ha significato un momento di vero cinema militante.

Raoul Ruiz non rappresenta solo un pezzo di storia del cinema, è il cinema che cerca continuamente di catturare l’invisibile del reale e materializzare l’indicibile dell’intuizione, senza mai scindere le due cose, in una “stereologhia”, una doppia dimensione del pensiero nell’immagine che aspira a riprodurre l’unità originaria di materia e concetto. La sua poetica acquista rilevanza soprattutto qui dove non si può fare a meno di parlare di cinema di nicchia, dove l’espressione non indica un pubblico elitario, ma il gruppo dei fortunati che hanno potuto assistere a un evento più unico che raro, un’apparizione appunto, in un posto dove i tempi dello sviluppo e del mercato cancellano continuamente quelli della storia e del racconto.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.