Lourdes PDF 
Elisa Mandelli   

Lo spettatore che riesca a vedere Lourdes, ultimo lavoro dell’austriaca Jessica Hausner, in una delle poche sale in cui è uscito l’11 febbraio (in coincidenza con l’anniversario dell’apparizione della Madonna nei Pirenei), si troverà, ancor prima dell’inizio del film, di fronte ad una sorta di ossimoro: la serie di cartelli che elenca i riconoscimenti conquistati a Venezia (dove Lourdes era in concorso) accosta senza soluzione di continuità il premio Signis dei cattolici e il Brian di atei e agnostici. Come in una sorta di montaggio eisensteiniano, tra i due elementi di segno opposto si crea un corto circuito, un surplus di senso che prende immediatamente corpo in una domanda: quella che sta per cominciare è una devota riflessione sul miracolo o un’ironica dissacrazione della mercificazione della fede? È un film a tal punto sfuggente ed equivoco da prestarsi a qualsiasi interpretazione o, al contrario, una riflessione tanto ricca e complessa che può aprirsi ad una proficua molteplicità di (opposte) letture?

Tale ambiguità sembra costituire la cifra della trama stessa: costretta all’immobilità da una sclerosi a placche, la giovane Christine si reca a Lourdes con un gruppo di pellegrini, più per svago che per autentica spinta religiosa. Eppure, se la ragazza sembra non confidare troppo nella guarigione, progressivamente riacquista l’uso degli arti, e con esso la possibilità di immaginare nuovamente un futuro, di riappropriarsi della propria esistenza e, perché no, di innamorarsi. Che il miracolo sia vero o presunto, duraturo o transitorio, attorno a Christine cominciano a serpeggiare lo scetticismo, i dubbi e le invidie di chi avrebbe voluto per sé il prodigio o semplicemente la possibilità di sfuggire alla solitudine. Così, quando l’illusione del miracolo sembra dissolversi, in un finale struggente in cui le note di Felicità fanno da ironico contrappunto a quello che pare (ma il film lo lascia in sospeso) il riaffacciarsi della malattia, non manca nemmeno chi accoglie la notizia con intima soddisfazione.

Il fatto è, come diventa ben presto evidente, che alla Hausner non interessa fornire delle risposte, né tantomeno prendere una posizione: la forza di Lourdes sta nella sua capacità di porre domande, di aprire interrogativi che in definitiva poco o nulla hanno a che fare con il divino. Quella che viene messa in questione attraverso la vicenda di Christine è infatti una dimensione pienamente umana: una volta riconquistato l’uso delle gambe (contro ogni aspettativa e, scandalosamente, senza alcuna “illuminazione” interiore), il suo problema diventa, più che l’interrogarsi sui motivi di un prodigio che colpisce per la sua banale casualità, quello di fronteggiare i pettegolezzi, le invidie e i risentimenti che animano i suoi compagni di viaggio. Il miracolo è al centro del film, ed è intorno ad esso (che sia invocato, ricevuto o scetticamente messo in dubbio) che gravitano le azioni (e le reazioni) dei personaggi. Esso assomiglia però, più che ad uno squarcio che lascia intravedere l’opera di Dio sulla terra, ad una sorta di pretesto capace di scatenare dinamiche del tutto terrene. Del miracolo non interessa la dimensione trascendente, ma l’effetto sul qui e ora, il modo con cui fa reagire le forze in campo nel microcosmo dei pellegrini. La guarigione scatena infatti una carica potenzialmente disgregante, che la Hausner è bravissima a bilanciare con un eccezionale rigore formale, giocando sull’essenzialità espressiva e operando per sottrazione sia nell’organizzazione del quadro che nello sviluppo narrativo. Per tutto il film è come se la fissità del piano volesse trattenere ciò che tenta di forzarne i limiti: i pochi movimenti di macchina sono soprattutto zoom che esplorano gli ambienti in profondità e isolano i personaggi, i volti, le più impercettibili reazioni. Uno spazio geometricamente circoscritto in cui le figure costituiscono spesso dei veri e propri gruppi plastici, in un perfetto gioco di equilibri interni che restituisce l’essenza delle relazioni attraverso la fisicità dei corpi.

Se è forte il senso di coesione del microcosmo dei pellegrini, vi è tuttavia qualcosa che irrimediabilmente eccede, che crea una falla in questo mondo ordinato. Primo, forte elemento di instabilità è innanzitutto la parola. Sempre sfuggente, vaga, inadatta, essa sembra perdere ogni consistenza soprattutto quando cerca di diventare strumento di comunicazione: i malati spesso non rispondono ai volontari, le prediche del prete suonano banali, imbarazzate e imbarazzanti. La forza del linguaggio si spegne di fronte ad un universo che pare indicibile, lasciando in sospeso un quesito essenziale, greve e pressante (che valga per la malattia o per il miracolo): perché io? La vera eloquenza è allora quella degli sguardi: sono i vivacissimi occhi di Christine a portare in superficie tutta l’energia che il suo corpo trattiene come un sarcofago. Sono le occhiate che i personaggi si scambiano a dare corpo alle tensioni che li attraversano, a tracciare le linee di forza dei loro incontri e scontri. Tuttavia, esattamente come le parole, anche molti degli sguardi sembrano rimanere sospesi, irrelati, senza un vero oggetto. Certo, le occhiate che cadono nel fuori campo potrebbero a ben vedere avere una giustificazione, potrebbero essere rivolte ad un personaggio appena dietro, o a lato, della macchina da presa. Eppure la Hausner non mostra il controcampo, fa scivolare gli sguardi fuori dall’universo diegetico e con ciò squarcia il velo che illudeva lo spettatore di essere al sicuro, protetto dal buio e ben comodo sulla sua poltrona.

Lourdes accosta dunque, senza mai perdere coerenza, un microcosmo chiuso che assorbe senza troppe scosse anche la carica destabilizzante del miracolo, e una costante apertura verso l’esterno, verso un “altrove” che più che la religione sembra riguardare lo spettatore e la sua coscienza. È qui che troviamo la risposta all’unanime apprezzamento di critici con prospettive tanto diverse: nell’altissimo risultato estetico e nel raro talento narrativo, certamente, ma soprattutto nella capacità di fare del coinvolgimento (nel senso più nobile) dello spettatore un principio strutturale, quasi la sostanza stessa dello svolgimento del testo. E per fortuna la capacità di interrogare (e interrogarsi) piace tanto sia agli atei che ai cattolici.

TITOLO ORIGINALE: Lourdes; REGIA: Jessica Hausner; SCENEGGIATURA: Jessica Hausner; FOTOGRAFIA: Martin Gschlacht; MONTAGGIO: Karina Ressler; MUSICA: Uve Haubig; PRODUZIONE: Austria; ANNO: 2009; DURATA: 99 min.

 


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